Violazione degli obblighi di assistenza famigliare. La presunzione dello stato di bisogno e l'incapacità economica dell'imputato

Simone Bonfante
23 Dicembre 2016

In materia di violazione degli obblighi di assistenza famigliare, l'eventuale accertamento dell'insussistenza dello stato di bisogno della persona offesa scrimina la condotta omissiva del genitore obbligato? Un eventuale accertamento dell'impossibilità ad adempiere da parte dell'agente scrimina la sua condotta omissiva?
Massima

Essendo stato commesso il reato ascritto in danno di soggetto minorenne, lo stato di bisogno di quest'ultimo è in re ipsa, salva la sussistenza di elementi concreti idonei a consentire il superamento della relativa presunzione: ne discende che la deposizione della madre del minore, circa il ricorso all'aiuto di terzi per far fronte alle esigenze del figlio, lungi dall'essere insufficiente – così come si assume dal ricorrente – altro non fa che corroborare ulteriormente, ancorché non ve ne fosse necessità, la presunzione anzidetta. Mentre, per ciò che concerne la disponibilità di risorse sufficienti in capo all'obbligato, la produzione della mera sentenza dichiarativa del fallimento della ditta di cui il C. era titolare non vale certo a ritenere assolto l'onere probatorio pacificamente incombente sull'imputato, a fronte del non contestato dato rappresentato dalla sentenza impugnata, nel senso dell'omessa corresponsione, da parte del C., del benché minimo contributo economico e del totale disinteresse manifestato nei confronti del piccolo D., che si sottolineano inoltre datare già da epoca precedente alla ricordata declaratoria di fallimento.

Il caso

La Corte di appello di Perugia confermava la condanna di primo grado nei confronti di Tizio, dichiarandolo responsabile di due delle fattispecie previste dall'art. 570 c.p.: egli, infatti, nell'arco di quasi tre anni, non aveva mai corrisposto la somma mensile di euro 300,00 stabilita dal Tribunale per i minorenni di Perugia per il mantenimento di suo figlio, né l'importo di euro 2.500,00 statuito quale contributo alle spese per lo stesso sostenute (condotta da cui discende la violazione del comma 2, n. 2 della summenzionata norma codicistica) e per di più se ne era dimostrato disinteressato, considerato che lo aveva visto soltanto due volte per tutto il suo primo anno di vita (di qui la contestazione anche del comma 1 dell'art. 570 c.p.).

Tizio, a mezzo del proprio difensore, interponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale deducendo, tra i motivi che in questa sede più interessano, sia l'errata applicazione dell'art. 570 c.p. sia l'inosservanza dell'art. 533 c.p.p..

Sotto il primo profilo il ricorrente lamentava il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei due requisiti tipici del reato de quo, ovvero lo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo e la concreta disponibilità di risorse sufficienti da parte dell'imputato.

Con il secondo motivo invece, lamentava la sostanziale violazione del principio dell'accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio, in quanto non sarebbe stato accertato che la ricorrenza di circostanze estranee alla volontà del prevenuto, quali ad esempio la difficile situazione economica nella quale effettivamente versava, ne avrebbero scriminato la condotta contestatagli.

La suprema Corte ribadiva che in presenza di prole minorenne vige la presunzione dello stato di bisogno, ricadendo al più sul soggetto attivo (il genitore inadempiente) l'inversione dell'onere della prova; in merito alla condizione di quest'ultimo, la prova liberatoria dell'impossibilità ad adempiere deve essere totale e non parziale come nel caso di specie, in cui il ricorrente aveva prodotto la sentenza dichiarativa del fallimento della propria ditta, in parte successiva all'arco temporale sul quale ricadeva la condotta delittuosa.

La questione

Le questioni sulle quali si pronuncia nel caso in esame la suprema Corte sono due:

  1. in materia di violazione degli obblighi di assistenza famigliare, l'eventuale accertamento dell'insussistenza dello stato di bisogno della persona offesa scrimina la condotta omissiva del genitore obbligato?
  2. un eventuale accertamento dell'impossibilità ad adempiere da parte dell'agente scrimina la sua condotta omissiva?
Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento si pone in continuità con l'orientamento della suprema Corte che si è andato consolidando negli anni.

Ad ogni modo, prima di approfondire partitamente le suddette questioni, è utile ripercorrere brevemente la disciplina che l'ordinamento riserva al bene giuridico della salvaguardia della famiglia, evidentemente intesa ancor oggi, malgrado i mutamenti della società e del costume, come l'espressione ed il nucleo elementare dello stesso tessuto sociale.

All'interno dell'art. 570 c.p. si rinvengono tre fattispecie di reato:

1) la prima, individuata dal primo comma, punisce il genitore che abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza genitoriale”;

Il secondo comma, a sua volta punisce:

2) chi malversa o dilapida i beni del figlio minore e

3) colui che fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro.

Entrambi i reati previsti dal secondo comma possono essere commessi anche nei confronti del coniuge, che tuttavia in questa sede non prenderemo in considerazione posto che la vicenda si riferisce esclusivamente al rapporto genitoriale.

Ormai superata, sotto il profilo dogmatico, sia in dottrina che in giurisprudenza la tesi dell'unitarietà della fattispecie di cui all'art. 570 c.p., che relegava a circostanze aggravanti le ipotesi contemplate nel secondo comma, oggi si attesta come prevalente quell'orientamento, avallato altresì dalle Sezioni unite, secondo cui trattasi di autonomi titoli di reato.

Per completezza del quadro normativo, occorre ricordare anche la previsione di cui all'art. 12-sexies l. 898/1970, che disciplina lo scioglimento del matrimonio, nonché quella dell'art. 3 l. 54/2006, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli. Trattasi di norme strettamente collegate tra loro nonché al dettato codicistico in quanto il secondo si richiama al primo che a sua volta rimanda all'art. 570 c.p. per quanto concerne il trattamento sanzionatorio. Le analogie con la condotta contemplata dal comma 2, n.2 dell'art. 570 c.p. sono significative anche per quanto concerne la struttura del reato nel suo elemento oggettivo. Nonostante questo trattasi di ipotesi criminosa del tutto autonoma rispetto a quella codicistica, in quanto individua un reato omissivo proprio che, consistendo nell'inosservanza dell'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6 della legge, integra violazione di uno specifico provvedimento del giudice; mentre l'art. 570 c.p. ha un ambito di applicazione ben più ampio, riguardando la violazione dell'obbligo di non far mancare al coniuge e ai figli i mezzi di sussistenza.

Raffrontando inoltre la circoscritta nozione di mezzi di sussistenza con quella più ampia di mantenimento, le Sezioni unite hanno avuto modo di affermare che solo alla violazione della prima norma (quella codicistica) sarebbe ricollegabile un evento-danno (Cass. pen., Sez. un., 31 gennaio 2013, n. 23866 v. nota di ROMEO)

Tornando all'elemento oggettivo delle condotte previste dall'art. 570 c.p., mette conto rilevare come la prima sia di natura tipicamente affettiva e di supporto psicologico ed educativo, volta a punire ogni comportamento attivo od omissivo lesivo della serenità e della solidarietà all'interno della famiglia e di ostacolo alla crescita ed alla formazione della personalità del minore.

Quelle invece ravvisate dai numeri 1 e 2 del comma 2 sono caratterizzate dall'elemento propriamente economico, rappresentato dal patrimonio del discendente nel primo caso e dall'omessa corresponsione dei mezzi necessari alla sussistenza nel secondo, che abbraccia un'accezione più ampia del semplice sostentamento, sì da ricomprendervi gli strumenti che consentono il soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali ad es. spese per l'istruzione, il trasporto, l'abbigliamento ecc.) (ex multis, Cass. pen., Sez. VI, 21 novembre 2012 n. 49755).

Alla luce di tale concezione viene da sé che la prestazione cui è tenuto l'obbligato sia piuttosto stringente ed infungibile: la stessa giurisprudenza della suprema Corte è costante nel ritenere sufficiente per l'integrazione del reato il mero inadempimento, manifestatosi ad esempio mediante l'omesso versamento dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice in favore dei figli. Irrilevante è stata inoltre ritenuta la sostituzione di tale obbligazione con la corresponsione di altri beni a discrezione dell'obbligato. Difatti, in sede penale è escluso ogni accertamento sulla effettiva capacità proporzionale di ciascun coniuge di concorrere al soddisfacimento dei bisogni dei minori, accertamento che spetta a monte al solo giudice civile: tale competenza gli è espressamente attribuita dall'art. 155, comma 2, c.c., che individua inoltre al suo comma 4 i criteri ai quali il giudice in quella sede deve attenersi nella determinazione concreta dell'obbligo (cfr. Cass. pen., Sez.VI, 16 aprile 2014, n.17691).

La giurisprudenza di legittimità non ritiene necessario nemmeno l'accertamento dello stato di bisogno del soggetto passivo, la cui sussistenza è sempre presunta quando si tratta di figli minori, per di più anche quando l'altro genitore o terzi provvedano alle esigenze di vita dello stesso (ex plurimis Cass. pen., Sez. VI, 20 novembre 2014, n. 53607; Cass. pen., Sez. VI, 4 febbraio 2011, n.8912).

Sotto il profilo della capacità dell'obbligato, la suprema Corte ha più volte ribadito la sussistenza di una inversione dell'onere della prova in forza della quale graverebbe sull'interessato l'allegazione di elementi dai quali possa dedursi l'impossibilità ad adempiere, specificando che l'incapacità economica non deve essere soltanto grave, bensì assoluta (Cass. pen., Sez. VI, 24 giugno 2015, n.33997).

Difatti, il supremo Collegio ha spiegato che una condizione di ristrettezza economica, anche grave, non esime dal provvedere alle esigenze dei figli, anche a costo di sacrificare ulteriormente la propria personale condizione, essendo le necessità dei figli prioritarie rispetto a quelle del genitore.

L'indisponibilità di mezzi economici da parte dell'obbligato deve inoltre essere incolpevole e persistente, dovendosi estendere per tutto l'arco temporale della violazione.

Ed è proprio tale ultimo aspetto ad essere stato più soppesato nella vicenda in esame: l'imputato aveva infatti addotto come prova liberatoria la propria difficile situazione economica, corroborata dalla sentenza di fallimento della propria attività.

La sentenza de quo, in continuità con l'orientamento appena richiamato, ha invece ribadito che la produzione della mera sentenza dichiarativa del fallimento della ditta di cui il C. era titolare non vale certo a ritenere assolto l'onere probatorio pacificamente incombente sull'imputato, a fronte del non contestato dato rappresentato dalla sentenza impugnata, nel senso dell'omessa corresponsione, da parte del C., del benché minimo contributo economico e del totale disinteresse manifestato nei confronti del piccolo D., che si sottolineano inoltre datare già da epoca precedente alla ricordata declaratoria di fallimento.

Osservazioni

Con la sentenza in commento la suprema Corte si pone in linea con il rigoroso orientamento della giurisprudenza sviluppatosi in materia di violazione degli obblighi di assistenza famigliare.

La dimostrazione dello stato d'incapacità economica dell'obbligato pare davvero essere relegata a casi di scuola assai limitati.

D'altro canto, il bene giuridico tutelato, la salvaguardia della famiglia e, nello specifico, dei doveri genitoriali, è comunemente percepito tra i più fondamentali del vivere associato, quindi meritevole di una protezione particolarmente intensa.

Nel caso di specie, invero, la complessiva condotta dell'imputato si prestava addirittura ad essere censurata anche ai sensi al comma 1 dell'art. 570 c.p., ossia la condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie. Durante il primo anno di vita, infatti, l'imputato avrebbe visto il figlio soltanto due volte, dimostrando un totale disinteresse non solo rispetto alle esigenze economiche ma anche a quelle educative ed affettive del minore.

Guida all'approfondimento

ROMEO, Le Sezioni unite sulla pena applicabile alla violazione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile, in Dir. pen. cont.

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