Reati ambientali. Il punto di prelievo dei campionamenti sulle acque reflue industriali

Simone Bonfante
24 Febbraio 2017

Qual è il punto in cui gli organi accertatori debbono eseguire il prelievo di un campione di acque reflue industriali al fine di verificare l'eventuale superamento dei limiti tabellari contemplati dal codice dell'ambiente?
Massima

Il campionamento del refluo industriale, finalizzato ad accertare il superamento dei limiti tabellari, deve essere eseguito, in caso di confluenza tra acque di processo e acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo e non sullo scarico finale. Pertanto, l'indicazione circa il punto di prelievo contenuta nell'autorizzazione amministrativa non è vincolante per gli accertatori.

Il caso

La Corte di appello di Milano, con sentenza dell'11 maggio 2015, confermava quella emessa dal tribunale di Monza il 3 settembre 2014, che aveva condannato S.A. violazione dell'art. 137, comma 5, d.lgs. 152/2006 (cod. ambiente), perché nella sua qualità di legale rappresentante dei una S.P.A., nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali derivanti da un'attività per la produzione di articoli tecnici in gomma ed in metallo, superava i valori limite fissati nella tab. 3 dell'allegato 5, alla parte terza del predetto decreto, relativamente alle sostanze: “zinco” rilevato nella concentrazione di 11,4 mg/l (limite di tabella 1 mg al litro).

Ricorreva per cassazione l'imputato deducendo, per quanto in questa sede interessa, l'erronea applicazione degli artt. 101, 107 e 108 del d.lgs. 152/2006 e del punto 1, 2 e 3 dell'allegato 5 alla parte terza. In particolare la Corte di appello avrebbe ritenuto applicabile l'art. 108, comma 5, d.lgs. 152/2006 in quanto norma di carattere speciale, posto che nel caso di specie il campione era stato prelevato non subito dopo l'uscita dallo stabilimento o dall'impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo bensì subito dopo l'impianto di trattamento interno dello stabilimento servente una sola linea di produzione (linea di fosfatazione). Sarebbe infatti stato disapplicato l'art. 107 del citato cod. ambiente che statuisce che lo scarico in rete fognaria è sottoposto alle norme tecniche ed alle prescrizioni regolamentari adottate dall'Autorità essendo il punto di prelievo vincolante erga omnes e non solo per il soggetto titolare.

La suprema Corte, con la sentenza in commento, ha sostenuto che deve trovare applicazione appunto l'art. 108, comma 5,d.lgs. 152/2006 che prevede che, al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, il punto di campionamento del refluo industriale debba individuarsi nel punto di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo industriale, e non sullo scarico finale.

La questione

La principale questione sulla quale è chiamata a pronunciarsi la Corte di cassazione nel caso di specie è la seguente: qual è il punto in cui gli organi accertatori debbono eseguire il prelievo di un campione di acque reflue industriali al fine di verificare l'eventuale superamento dei limiti tabellari contemplati dal cod. ambiente?

Le soluzioni giuridiche

Prima di approfondire le nozioni di scarico e di punto di prelievo delle acque reflue industriali pare utile ricordare come l'art. 137 cod. ambiente nel contemplare una serie eterogenea di fattispecie contravvenzionali, rappresenti la principale norma penale in materia di inquinamento idrico. Il primo comma della norma in parola infatti punisce chiunque scarichi acque reflue industriali senza autorizzazione oppure con autorizzazione sospesa o revocata. Il comma secondo contempla la medesima condotta sanzionandola più severamente in caso di scarico di acque contenenti sostanza pericolose. Il terzo comma invece disciplina sempre lo scarico di acque pericolose questa volta in difformità dalle prescrizioni previste nella autorizzazione. Il quarto comma punisce la violazione delle prescrizioni dei controlli in automatico. Infine, tralasciando altre fattispecie meno rilevanti nel caso in commento, i commi quinto e sesto, sanzionano il superamento dei valori limite fissati nelle tabelle dell'allegato 5 del cod. ambiente oppure dei limiti più restrittivi contemplati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorità competente a norma dell'art. 107 d.lgs. 152/2006.

Trattasi, come di sovente accade in materia ambientale, di fattispecie di reato dalla natura prettamente sanzionatoria (della violazione della normativa amministrativistica di riferimento).

Con particolare riferimento al superamento dei valori limite (art. 137, comma 5, d.lgs. 152/2006) in dottrina si è parlato di fattispecie di pericolo astratto (o presunto). Sul punto si richiama anche quanto di recente affermato dalla giurisprudenza di legittimità: In tema di tutela dei corpi idrici, lo scarico di acque reflue contenenti sostanze pericolose eccedenti i limiti tabellari integra il reato di pericolo di cui all'art. 137 del d.lgs. n. 152 del 2006, che esclude ogni valutazione del giudice sulla gravità, entità e ripetitività della condotta (Cass. pen, Sez. III, 10 febbraio 2015, n. 21463. In motivazione, la Corte ha specificato che la norma intende prevenire il rischio di una concreta offesa all'ambiente da parte dell'esercente un'attività autorizzata che violi, anche colposamente, le prescrizioni dell'autorizzazione allo scarico di cui è munito). Riveste interesse sotto questo aspetto anche il concetto di soglia il quale, come previsto dalla norma sopra richiamata, può essere determinato sia dallo stesso Legislatore che da previsioni più restrittive delle regioni, delle province autonome o dell'autorità competente. Si tratta, in quest'ultimo caso, di una classica ipotesi di integrazione di una fattispecie di reato ad opera di una norma di carattere secondario che va a specificare, dal punto di vista tecnico, l'illecito previsto da una norma di carattere primario.

Ebbene non pare superfluo in questa sede soffermarsi sulla nozione di scarico contemplata dalla norma in esame anche al fine di operare una doverosa delimitazione dei reati in essa disciplinati rispetto ad altre fattispecie in materia di rifiuti. Tale nozione, oggi contemplata nell'art. 74, comma 1, lett. ff) cod. ambiente rappresenta il frutto di una evoluzione giurisprudenziale e normativa piuttosto articolata. Per scarico deve infatti intendersi secondo la norma in parola: qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria[…]. Si tratta del c.d. scarico diretto che appunto prevede un collegamento stabile e senza soluzione di continuità dei reflui industriali con il corpo ricettore, dal quale si distingue il c.d. scarico indiretto che implica una interruzione del percorso tra la produzione del refluo e lo sversamento (si pensi al caso in cui lo stesso viene convogliato in una cisterna). Allo stesso modo si esclude che possa rientrare nel fuoco della fattispecie di cui al quinto comma dell'art. 137 cod. ambiente il c.d. scarico occasionale, non duraturo. In entrambi i casi da ultimo descritti potranno applicarsi, ove ricorrano i requisiti, le fattispecie di reato in materia di rifiuti. Lo stesso art. 185, comma 1, lett. b) cod. ambiente prevede che la disciplina sui rifiuti non si applichi alle acque di scarico, eccettuati i rifiuti allo stato liquido (si confronti sul punto anche: Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2008, n. 6417).

Venendo ora al problema giuridico affrontato in sentenza, definito dalla stessa suprema Corte di assoluto rilievo, deve rilevarsi innanzitutto come il comma 5 dell'art. 108 cod. ambiente preveda come il controllo debba essere eseguito: […] subito dopo l'uscita dallo stabilimento o dall'impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. Ebbene, ai fini di una corretta interpretazione della norma, il supremo Collegio, ritiene doveroso puntualizzare come il prelievo non possa che essere eseguito nel punto di confluenza tra le acque di processo e quelle di diluizione. E ciò all'evidente fine di evitare che il campione possa in qualche modo risultare falsato. Trattasi infatti di verificare l'eventuale superamento dei valori limite di uno scarico industriale non di uno scarico di acque reflue urbane caratterizzato da un processo di diluizione. Da tale premessa ne consegue inevitabilmente che, nel caso in cui l'impianto sia dotato di più linee di produzione, il prelievo dovrà essere eseguito ad ogni punto di uscita di ciascuna linea e non all'uscita dell'intero stabilimento (inteso quest'ultimo, ai sensi dell'art. 74 lett. nn) cod. ambiente, come tutta l'area sottoposta al controllo di un unico gestore, nella quale si svolgono attività commerciali o industriali.

Osservazioni

Ebbene, la sentenza in commento si ritiene abbia fatto buon governo dei principi in materia di scarico delle acque reflue industriali. Principi che si ricavano altresì da quanto previsto dall'art. 101 cod. ambiente dedicato alla disciplina generale degli scarichi. Si tenga infatti presente che al comma 3 della norma in parola è stabilito che: Tutti gli scarichi, ad eccezione di quelli domestici e di quelli ad essi assimilati ai sensi del comma 7, lettera e), devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell'autorità competente per il controllo nel punto assunto a riferimento per il campionamento, che, salvo quanto previsto dall'articolo 108, comma 4, va effettuato immediatamente a monte della immissione nel recapito in tutti gli impluvi naturali, le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, le fognature, sul suolo e nel sottosuolo. Ed ancora il comma 4 prevede che l'autorità competente: […] può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale. Infine si ponga mente a quanto statuito dal comma 5 secondo cui: I valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo. Non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali di cui al comma 4, prima del trattamento degli stessi per adeguarli ai limiti previsti dalla parte terza dal presente decreto.

Ora, si ritiene che il rigore del dettato normativo (nonché della interpretazione fornitane dalla suprema Corte) sia giustificato in questo caso dalla natura industriale dello scarico, individuato secondo in noto principio della prevalenza: La rilevanza penale dell'illecito in materia di scarichi presuppone che lo scarico abbia ad oggetto acque reflue industriali, per cui la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale. Ai fini della tutela penale dall'inquinamento idrico, nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività commerciali e produttive, in quanto detti reflui non attengano prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche (Cass. pen., Sez. III, 10 maggio 2016, n. 35850).

Guida all'approfondimento

RAMACCI, Rifiuti: la gestione e le sanzioni, Milano, 2014;

CHIAROMONTE, Gli illeciti penali relativi allo scarico di acque reflue tra norme speciali e previsioni codicistiche, in www.lexambiente.com.

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