La mancata acquisizione del consenso del paziente ai fini della configurabilità della colpa del medico

Vittorio Nizza
24 Marzo 2016

L'obbligo di acquisizione del consenso informato del paziente alla somministrazione del trattamento sanitario non costituisce una regola cautelare e dunque la sua inosservanza, da parte del medico, non può costituire, nel caso lo stesso trattamento abbia causato delle lesioni, un elemento per affermare la responsabilità a titolo di colpa di quest'ultimo.
Massima

L'obbligo di acquisizione del consenso informato del paziente alla somministrazione del trattamento sanitario non costituisce una regola cautelare e dunque la sua inosservanza da parte del medico non può costituire, nel caso lo stesso trattamento abbia causato delle lesioni, un elemento per affermare la responsabilità a titolo di colpa di quest'ultimo, a meno che la mancata sollecitazione del consenso gli abbia impedito di acquisire la necessaria conoscenza delle condizioni del paziente medesimo.

(In applicazione del principio la suprema Corte ha confermato la sentenza di condanna del medico per le lesioni gravi occorse alla paziente dovute anche all'omessa acquisizione del consenso informato, mancando il quale egli aveva modificato la metodica di intervento originariamente concordata senza poter tenere conto delle patologie della paziente).

Il caso

Nella sentenza in commento la Corte di cassazione affronta un interessante caso relativo alla presunte lesioni colpose cagionate da un medico nei confronti del proprio paziente, in occasione di un intervento chirurgico avente ad oggetto l'inserimento di protesi dentaria su soggetto affetto da malattia paradentale.

In particolare, al sanitario veniva contestato di aver omesso di effettuare le dovute procedure diagnostiche, così facendo una scelta non corretta circa le protesi da impiantare.

Il giudice di primo grado affermava la penale responsabilità dell'imputato, evidenziando come questi avesse, di fatto, omesso tanto le opportune analisi diagnostiche, quanto la terapia necessaria alla preparazione dell'intervento, quanto, ancora, la preventiva scelta della metodologia da adottare nel corso dell'operazione.

Lo stesso giudice rilevava, altresì, l'inadeguatezza del consenso informato del paziente, non avendolo il medico adeguatamente informato in merito alla condotta da tenere immediatamente dopo l'intervento.

La Corte di appello di Milano confermava la precedente pronuncia, ribadendo la genericità e grossolanità delle indicazioni contenute nel foglio sottoscritto dal paziente.

Avverso la sentenza proponeva ricorso l'imputato, deducendo, tra gli altri motivi, l'insussistenza di nesso causale tra l'intervento effettuato e le lesioni riportate dalla persona offesa, nonché l'erronea applicazione della legge penale in riferimento all'adeguatezza del consenso informato prestato dal paziente.

La Corte di cassazione rigettava il ricorso, confermando la penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 590 c.p.

La questione

La suprema Corte, con tale sentenza, affronta il tema della configurabilità, in capo al sanitario, di un'eventuale responsabilità per il reato di lesioni personali colpose, nei casi di inadeguatezza del consenso informato prestato dal paziente.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso di specie, la Corte di cassazione rileva la sussistenza di profili di colpa, tanto di carattere commissivo, quanto omissivo, ascrivibili all'imputato.

Viene, infatti, rilevato come questi abbia, nel corso dell'intervento chirurgico stesso, improvvisamente optato per una tecnica operatoria diversa da quella anteriormente concordata con il paziente.

Tale scelta repentina non era, inoltre, preceduta dagli opportuni esami diagnostici, né da un'adeguata preparazione del paziente.

Il nesso di causa viene, dunque, individuato, dalla suprema Corte, proprio nell'improvviso cambiamento delle modalità di intervento, circostanza, questa, che avrebbe cagionato le lesioni contestate.

Sempre a parere della Corte, inoltre, il comportamento post-operatorio del paziente non è da solo sufficiente ad escludere il nesso di causa tra la condotta dell'imputato e l'evento lesivo verificatosi.

Da ultimo, il collegio si sofferma sul tema della mancanza di consenso informato, ai fini della valutazione in ordine alla colpa del medico.

Più in particolare, la Corte ritiene che l'assenza di consenso non comporti necessariamente la colpa del sanitario, dovendosi, invece, valutare quest'ultima indipendentemente e a prescindere dalla prima.

Ciò, in quanto il dovere deontologico di acquisire il consenso del paziente non integra una regola cautelare. Un simile obbligo non è, infatti, volto ad evitare fatti dannosi, quanto, piuttosto, a tutelare il diritto alla salute del paziente, di cui all'art. 32 Cost., da intendersi anche quale diritto di scegliere liberamente se e fino a che punto sottoporsi ad un determinato trattamento medico.

L'unica ipotesi in cui la mancata acquisizione del consenso rileva, ai fini della colpa, è quello in cui abbia determinato l'impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente.

Nel caso in questione, la superficiale ed inadeguata acquisizione, da parte dell'imputato, delle informazioni necessarie ad un corretto approccio terapeutico ha condotto il sanitario, a parere della Corte, ad effettuare una scelta di intervento scorretta, che ha, poi, portato, all'esito infausto dell'operazione.

Anche la mancanza di consenso informato, rileva, dunque, in tale specifica ipotesi, ai fini della colpa.

Osservazione

La pronuncia in commento si allinea con i precedenti giurisprudenziali in tema di mancata acquisizione del consenso informato del paziente (Cass. pen., Sez. IV, 24 giugno 2008, n. 37077; Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 4541).

Con la sentenza n. 2437 del 18 dicembre 2008, le Sezioni unite avevano, infatti, già chiarito come la mancanza o l'invalidità del consenso non abbia alcuna rilevanza penale ai fini dell'integrazione della colpa medica.

In particolare, si è stabilito che ove il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo della fattispecie di cui all'art. 582 c.p., che sotto quello del reato di violenza privata, di cui all'art. 610 c.p.

Il consolidato orientamento giurisprudenziale nega, dunque, rilevanza penale alla mera circostanza della mancanza di consenso del paziente, dovendosi, invero, valutare la colpa del sanitario indipendentemente dal consenso prestato.

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