Presunzione di pericolosità e custodia cautelare nei confronti dell'indagato per associazione di tipo mafioso

Giorgio Valentini
24 Giugno 2016

In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, la presunzione di pericolosità di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., di carattere relativo, può essere superata quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga una situazione che, pur in mancanza di una rescissione del vincolo associativo, dimostri – in modo obiettivo e concreto – il serio, effettivo e irreversibile allontanamento dell'indagato dal gruppo criminale e la conseguenza radicale mancanza di attualità delle esigenze cautelari.
Massima

In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, la presunzione di pericolosità di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., di carattere relativo, può essere superata quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga una situazione che, pur in mancanza di una rescissione del vincolo associativo, dimostri – in modo obiettivo e concreto – il serio, effettivo e irreversibile allontanamento dell'indagato dal gruppo criminale e la conseguenza radicale mancanza di attualità delle esigenze cautelari.

Il caso

Decidendo sull'impugnativa ex art. 310 c.p.p. proposta dal pubblico ministero, la sezione specializzata per il riesame del tribunale di Catanzaro ha annullato l'ordinanza con cui il tribunale di Lamezia Terme aveva precedentemente sostituito nei confronti di P.N. la custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, ripristinando conseguentemente la misura di maggior rigore.

A sostegno di tale decisione, il Collegio della cautela ha rilevato come il tribunale de quo avrebbe errato laddove quest'ultimo ha escluso l'operatività della presunzione di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. in considerazione del fatto che l'imputato, condannato per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in continuazione con altra condanna, avesse già espiato integralmente detta pena, stimando le esigenze cautelari concernenti l'ulteriore imputazione per cessione illecita di sostanza stupefacente salvaguardabili con la misura più gradata degli arresti domiciliari. Il tribunale di Catanzaro ha motivato la propria decisione argomentando che, secondo le indicazioni della Corte di cassazione, qualora un imputato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere venga condannato per reati avvinti dalla continuazione, la presunzione di adeguatezza della sola predetta misura, sussistente per uno dei reati satellite ai sensi dell'art. 275, comma 3, c.p.p., resterebbe ferma anche se il periodo già trascorso dal medesimo in regime custodiale superi l'entità della pena detentiva irrogata in sentenza per tale reato satellite. Sulla scorta di tali considerazioni in diritto, il Collegio, ritenendo l'operatività della presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare carceraria prevista dal combinato disposto degli artt. 416-bis c.p. e art. 275, comma 3, c.p.p., il tribunale del riesame di Catanzaro ha annullato il provvedimento di sostituzione e ripristinato la misura intramuraria.

Avverso il suddetto provvedimento ha ricorso per cassazione P.N., chiedendone l'annullamento per violazione di legge processuale e mancanza di motivazione, evidenziando che il tribunale di Catanzaro, nell'annullare l'ordinanza di sostituzione della misura cautelare, avrebbe completamente trascurato di considerare l'ulteriore argomentazione sviluppata dal Collegio, supportata dalle produzioni documentali della difesa, in merito all'intervenuto smembramento dell'associazione per delinquere con conseguente cessazione di qualunque esigenza cautelare in merito al reato ex art. 416-bis c.p.

La questione

La questione sottoposta all'attenzione della suprema Corte è incentrata essenzialmente sulla natura della presunzione di pericolosità prevista dall'art. 275, comma 3, c.p.p. e sul suo rapporto con il reato di associazione di stampo mafioso di cui all'art. 416-bis c.p

In particolare, parte ricorrente ha lamentato l'erroneità delle conclusioni raggiunte dal Collegio dell'impugnazione cautelare che, nel ripristinare la più gravosa delle misure cautelari, ha ritenuto che la presunzione in questione sarebbe da considerare assoluta e che non possa essere superata anche qualora vi siano degli elementi concreti che nel caso di specie dimostrino il significativo indebolimento dei rapporti del singolo con l'associazione di appartenenza.

La sesta Sezione, dopo aver effettuato un dettagliato e puntuale excursus sull'evoluzione normativa in materia, nonché riportando le più rilevanti pronunce emerse nel corso degli anni in seno alla giurisprudenza di legittimità, ha avuto modo di chiarire la portata della presunzione ex art. 275, comma 3, c.p.p..

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte, come anticipato, al fine di fornire una soluzione ragionata al motivo di doglianza lamentato da parte ricorrente, ha inteso svolgere una approfondita analisi dell'art. 275, comma 3, c.p.p., dando atto in primo luogo della genesi e delle varie “trasformazioni” della norma in questione e, in particolare, del meccanismo ivi sancito della doppia presunzione (l'una concernente la sussistenza di esigenze cautelari e, dunque, di pericolosità; l'altra assoluta relativa all'adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere a farvi fronte)

Il Collegio ha infatti evidenziato come – con specifico riferimento alle scelte di politica criminale optate negli anni dal legislatore fra repressione e garantismo – la disposizione in commento abbia subito un'evoluzione “a fisarmonica”, laddove ha visto ora delimitare gli spazi valutativi del giudice ed ampliare l'ambito dei casi di applicazione obbligatoria della misura carceraria, ora irrigidire i presupposti applicativi della misura di maggior rigore.

Da ultimo, anche a seguito delle indicazioni ermeneutiche della stessa Corte di cassazione, nonché in virtù dei reiterati interventi demolitori da parte della Corte costituzionale, si è registrata la riforma ad opera della legge 16 aprile 2015, n. 147, che ha riscritto – fra l'altro – proprio il comma terzo dell'art. 275 c.p.p.

Dopo tale ricostruzione storico-normativa della disposizione in rilievo nel caso di specie, la suprema Corte si è focalizzata sulla struttura e sulla portata dei principi sanciti dall'art. 275 c.p.p. che, nel primo periodo del terzo comma, pone la regola cardine secondo cui la misura cautelare inframuraria deve essere inderogabilmente considerata quale extrema ratio del sistema cautelare dell'ordinamento italiano, cui far ricorso solo nei casi di maggior allarme social-processuale in cui le esigenze cautelari non sono altrimenti fronteggiabili.

Quanto al secondo periodo, che costituisce sicuramente la porzione della disposizione che ha subito i più profondi e numerosi rimaneggiamenti da parte del legislatore, nella sua versione attuale, sottolinea la Corte, la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere continua ad essere operante con limitato riguardo ai delitti di maggior gravità, ossia quelli di associazione sovversiva (art. 270 c.p.), di associazione terroristica, anche internazionale (art. 270-bis c.p.) e di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p., che era il reato contestato proprio nel caso di specie).

Il terzo periodo, infine, stabilisce la regola secondo cui, in caso di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i delitti ivi contemplati, deve essere applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, detti pericula possano essere soddisfatti con altre misure.

A fronte di tale struttura normativa, mentre entrambe le previsioni contenute nel secondo e nel terzo periodo disciplinano una duplice presunzione di pericolosità e di adeguatezza della misura carceraria, esse differiscono, sottolinea la Corte – addentrandosi nel nodo cordiano della questione – sulla natura di tale presunzione di adeguatezza, laddove essa è assoluta con riguardo ai delitti ex artt. 270, 270-bis e 416-bis c.p. ed è, invece, relativa nelle altre ipotesi contemplate dall'art. 275 c.p.p. Qualora sussistano i gravi indizi dei reati più gravi di cui sopra, allorché la presunzione – relativa – di pericolosità non risulti vinta dalla rilevata assenza di una qualunque esigenza cautelare, subentra un apprezzamento legale, vincolante, di adeguatezza della sola custodia carceraria con conseguente esclusione di ogni soluzione cautelare intermedia.

Sul piano pratico, tale disciplina si traduce, da un lato, in un'inversione dell'onere probatorio in favore della pubblica accusa, che è sollevata dal dover dimostrare l'esistenza dei pericula libertatis e l'idoneità della sola custodia in carcere (aspetti presupposti dalla valutazione “bloccata” del legislatore); dall'altro lato, in una semplificazione dell'impianto argomentativo dei provvedimenti de libertate ed in una marcata attenuazione dell'onere di motivazione. In altri termini, la presunzione relativa di pericolosità sociale prevista dall'art. 275, comma 3, inverte gli ordinari poli del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che conferma la misura cautelare non ha un obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei pericula libertatis, ma deve soltanto apprezzare le ragioni di esclusione, eventualmente evidenziate dalla parte o direttamente evincibili dagli atti, tali da smentire, nel caso concreto, l'effetto della presunzione.

Ebbene, sulla scorta di tale ragionamento, viene affermato che, in estrema sintesi, l'obbligo di motivazione potrà ritenersi compiutamente assolto allorquando il giudice abbia dato atto dei gravi indizi in merito alle ipotesi di reato sopra delineate e dell'assenza delle condizioni per ritenere del tutto inesistenti detti pericula, così da vincere la presunzione, con il corollario che spetta all'indagato confutare i presupposti e dunque dimostrare l'insussistenza in radice delle esigenze cautelari. Soltanto nel caso in cui l'indagato o la sua difesa abbiano allegato elementi di segno contrario, il giudicante sarà tenuto a giustificare la ritenuta inidoneità degli stessi a superare la presunzione (che opera in tutte le fasi del procedimento penale e, dunque, non solo in fase genetica ma anche in occasione delle successive valutazioni circa la permanenza dei presupposti applicativi della misura; v. Cass., pen., Sez. unite, 19 luglio 2012, n. 34474).

In virtù di siffatte premesse argomentative, la suprema Corte ha ritenuto erronea la decisione posta alla sua attenzione, in quanto essa ha mosso le proprie fila su un assunto non corretto, ossia la ritenuta natura assoluta – anziché relativa – della presunzione di pericolosità ex art. 275, comma 3, c.p.p. in relazione al delitto di cui all'art. 416-bis c.p.

Tale erroneità, prosegue il Collegio, lungi dall'avere una rilevanza meramente formale, riverbera sul giudizio espresso dal tribunale del riesame, che – proprio perché fondato sull'assolutezza della presunzione – ha completamente trascurato gli elementi dimostrativi dell'intervenuto superamento di detta presunzione relativa di pericolosità.

Abbracciando l'orientamento di legittimità maggiormente ragionevole nel definire i confini applicativi dell'art. 275, comma 3, c.p.p. (v. Cass. pen., Sez. I, 16 dicembre 2003, n. 1848; Cass. pen., Sez. I, 6 novembre 2002, n. 43572) e ritenendo lo stesso più aderente all'attuale tenore della norma processuale, nonché più conforme ai principi generali in tema di misure cautelari così come ridisegnati dalla recente novella, la sentenza in commento ha ritenuto superabile la presunzione qualora, nel caso concreto, vi siano degli elementi che facciano escludere la pericolosità sociale dell'indagato (secondo l'opposta tesi giurisprudenziale, invero prevalente, la presunzione di pericolosità può essere vinta solo quando sia dimostrato che l'associato ha stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa, con la conseguenza che al giudice di merito incombe l'esclusivo onere di dare atto dell'inesistenza di elementi idonei a superare tale presunzione; v. Cass. pen., Sez. V, 22 luglio 2015, n. 38119).

Tanto premesso, la suprema Corte ha cassato l'ordinanza impugnata in quanto il provvedimento, emesso dal Tribunale di Catanzaro all'esito dell'impugnativa ex art. 310 c.p.p. azionata dal pubblico ministero, ha svalutato le argomentazioni sviluppate dal tribunale di Lamezia Terme a dimostrazione del “significativo indebolimento” dei legami dell'indagato con la cosca di riferimento.

Difatti, avuto riguardo al provvedimento emesso dal primo giudice, erano stati individuati specifici elementi e circostanze (non permanenza di rapporti con altri associati del clan, disgregazione dell'organizzazione mafiosa, detenzione della maggior parte degli affiliati, percorso di collaborazione con la giustizia avviato da molti degli associati, ecc.) che, globalmente valutati, avevano fatto ritenere l'assenza, nell'attualità, di concrete esigenze cautelari quanto al reato associativo, in quanto dimostrativi del venire meno dei legami dell'indagato con la cosca, veicolati attraverso una relazione privilegiata dell'indagato con il capo cosca, cessata la quale, in assenza di evidenze quanto alla permanenza di rapporti con altri associati, ha congruamente stimato non più sussistenti. Venuta meno la presunzione (relativa) di pericolosità, conclude la Corte, altrettanto correttamente il tribunale di Lamezia Terme ha stimato venuti meno i presupposti per l'operatività della presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere.

Alla luce del ragionamento di cui sopra, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso proposto dall'indagato ed annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata con conseguente ripristino della misura degli arresti domiciliari in luogo della custodia cautelare in carcere.

Osservazioni

La sentenza della suprema Corte è sicuramente apprezzabile nelle argomentazioni e condivisibile nelle conclusioni, poiché, da un lato, ha inteso valorizzare appieno la riforma dell'art. 275 c.p.p. attuata dal legislatore nel 2015, e, dall'altro lato, ha posto in primo piano la piena valutazione di tutti gli elementi e delle circostanze di fatto al fine di appurare la sussistenza o meno di esigenze cautelari tali da giustificare l'applicazione della misura cautelare maggiormente afflittiva.

Una volta chiarita la natura relativa della presunzione di pericolosità posta dal comma terzo della disposizione processuale in rilievo nel caso di specie (natura invero ormai nota, nel senso di escluderne l'assolutezza e la sua insuperabilità, come affermato dalla giurisprudenza ormai unanime sul punto), la decisione in commento appare ancora più meritevole laddove si è – intenzionalmente ed esplicitamente – voluta discostare dall'orientamento di legittimità dominante (che, come visto, richiede, ai fini della superabilità della presunzione ex art. 275, comma 3, c.p.p., la dimostrazione della “stabile rescissione”, da parte dell'indagato, dei suoi rapporti con l'associazione mafiosa).

In altri termini, a fronte della natura relativa della presunzione di pericolosità, la sentenza che ci occupa si è premurata di andare oltre il rigido schematismo dell'ermeneusi prevalente in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell'indagato del delitto di cui all'art. 416-bis c.p., cercando (e riuscendo) a mettere in primo piano gli elementi fattuali, spesso trascurati in procedimenti relativi a reati associativi di mafia, sì gravissimi in senso assoluto per il loro allarme sociale, ma che rischiano sovente di essere assurti a capri espiatori in nome della logica repressiva da parte dello Stato.

In questo modo la suprema Corte ha voluto sancire quel principio di diritto secondo cui la misura cautelare, lungi dal poter anticipare la funzione retributiva e nonostante la gravità del reato commesso, può essere legittimamente applicata solo in caso di pericula libertatis realmente sussistenti, in un'ottica che rifugga la tentazione di anticipare nella fase cautelare il momento sanzionatorio, stravolgendo in tale maniera le finalità della normativa sulle cautele.

Guida all'approfondimento

AMODIO, Inviolabilità della libertà personale e coercizione cautelare minima, in Cass. pen., 1, 2014;

BORELLI, Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali in Dir. pen. cont.;

GIUNCHEDI, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare. Frammenti di storia ed equilibri nuovi, in Giur.It., 3, 2013;

MAIELLO, Le misure di prevenzione dopo il c.d. codice antimafia. Aspetti sostanziali e aspetti procedurali - profili sostanziali: le misure di prevenzione personali, in Giur.It., 2015, 6, 1520;

Dossier del Servizio Studi del Senato sull'A.S. n. 1232 – Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali in Servizio Studi Senato, n. 95, gennaio 2014.

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