Identità digitale e sostituzione di persona

Luigi Cuomo
11 Agosto 2015

Integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) la condotta di colui che crea ed utilizza un "profilo" su social network, sfruttando abusivamente l'immagine di una persona del tutto inconsapevole.
Massima

Integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) la condotta di colui che crea ed utilizza un "profilo" su social network, sfruttando abusivamente l'immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un nickname di fantasia e a caratteristiche personali negative. (In motivazione, la Corte ha osservato che la descrizione di un profilo poco lusinghiero sul social network evidenzia sia il fine di vantaggio, consistente nell'agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete, sia il fine di danno per il terzo, di cui è abusivamente utilizzata l'immagine).

Il caso

La vicenda esaminata dalla Suprema Corte riguarda la configurabilità del reato di sostituzione di persona in relazione alla abusiva creazione di un profilo su social network da parte di un utente, che, attribuendosi una falsa identità associata ad un nickname di fantasia, aveva sfruttato l'immagine reale di una persona del tutto inconsapevole, in modo da indurre in errore coloro che erano entrati in comunicazione mediante chat.

L'imputato, già condannato nei gradi di merito per il reato di cui all'art. 494 c.p., aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo l'insussistenza dell'elemento psicologico in quanto il profilo utente abusivamente creato sulla rete sociale non era pienamente riferibile ad una persona ben determinata, della quale venivano sfruttate soltanto le sembianze riprodotte in fotografia, ma non le reali ed effettive generalità anagrafiche.

La questione

La Suprema Corte ha affrontato la specifica questione riguardante la rilevanza penale della creazione e dell'utilizzo di un profilo su social network mediante sfruttamento, non autorizzato, dell'immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un nickname di fantasia e alla rappresentazione di caratteristiche personali negative.

Il bene giuridico tutelato dal reato di sostituzione di persona.

L'art. 494 c.p. punisce chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.

Oggetto della tutela penale è l'interesse riguardante la pubblica fede, che può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona, alla sua identità o agli attributi sociali: e siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia di un determinato destinatario, il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica e non soltanto alla fede privata o alla tutela civilistica del diritto al nome.

Per tali motivi i giudici di legittimità hanno attribuito rilevanza penale alla creazione di identità parzialmente o totalmente fittizie, ovvero all'assunzione dell'identità altrui sotto forma di impersonificazione, che spesso costituisce lo strumento per ottenere l'impunità dalle conseguenze penali derivanti dal compimento di azioni illecite.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha affermato che lo sfruttamento non soltanto delle altrui generalità, ma anche delle sembianze o dell'immagine di una terza persona, associata a caratteristiche personali negative, per creare un falso account da utilizzare nelle reti sociali, integra il reato di sostituzione di persona.

Nel caso concreto è stato stigmatizzato l'abusivo sfruttamento delle sembianze di un soggetto realmente esistente, di cui era stata fornita una descrizione tutt'altro che lusinghiera, associando l'immagine a commenti del tipo “mangio cibo spazzatura e bevo birra… quando mi ubriaco vado su di giri”, al fine di comunicare con altri utenti della rete sociale e per condividere materiale multimediale.

La giurisprudenza di legittimità era già pervenuta alla conclusione che, ai fini dell'art. 494 c.p., rileva anche la condotta di colui che crei ed utilizzi un "account" ed una casella di posta elettronica servendosi dei dati anagrafici di un diverso soggetto, inconsapevole, con il fine di far ricadere su quest'ultimo l'inadempimento delle obbligazioni conseguenti all'avvenuto acquisto di beni mediante la partecipazione ad aste in rete (Cass. pen., Sez. III, n. 12479/2011).

Osservazioni

Nell'attuale società tecnologica, la creazione di un falso profilo viene inteso come un accorgimento per ottenere l'anonimato o, altrimenti, uno strumento per liberarsi da qualsiasi tipo di legame sociale, temporale o territoriale.

Come è noto, le reti sociali costituiscono comunità virtuali sorte per facilitare le relazioni soggettive e per scambiare informazioni, amicizie o contatti: in tal senso sopperiscono alle difficoltà di comunicazione proprie del mondo contemporaneo derivanti dalle distanze geografiche e dal fatto che gran parte del tempo delle persone è impiegato nelle attività lavorative e negli spostamenti sul territorio.

Già in epoca antecedente alla diffusione di Internet e dei social network, l'autore di sostituzioni di persona utilizzava falsi documenti di identità per indurre in errore le persone o altri soggetti nell'ambito di transazioni commerciali, ovvero per ottenere l'accesso a conti correnti, mutui, prestiti o finanziamenti al consumo.

Mediante l'utilizzo della rete, invece, è possibile entrare in contatto con una moltitudine di persone e con gli utenti iscritti ai social network, i cui profili contenenti molteplici informazioni sulla vita privata, possono essere facilmente clonati e sfruttati a fini illeciti.

La Suprema Corte aveva già affermato che “integra il reato di sostituzione di persona, la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete Internet nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese, subdolamente incluso in una corrispondenza idonea a lederne l'immagine e la dignità (Cass. pen., Sez. V, n. 46674/2007).

Il soggetto indotto in errore non è tanto l'internet service provider o l'ente fornitore del servizio di posta elettronica, quanto piuttosto gli stessi utenti della rete, i quali, ritenendo di interloquire con una determinata persona, in realtà possono inconsapevolmente relazionarsi con una persona diversa da quella che appare dal contesto della comunicazione elettronica.

Non va sottovalutato che la caratteristica fondamentale di colui che partecipa ad un social network è quella di offrire volontariamente agli altri partecipanti alla rete i propri contratti e le proprie informazioni, comprese immagini e opinioni, preferenze, qualità personali o tendenze, al fine di mostrare e rendere disponibili ai destinatari i tratti fondamentali della propria personalità, spesso esaltati e pubblicizzati, al fine di condividere ogni notizia con amici, gruppi di persone o associazioni.

L'imputato, con la sua condotta, aveva illecitamente diffuso in rete un vero e proprio dato personale altrui, ossia l'immagine e le sembianze di una terza persona, che sono tutelate al pari delle altre informazioni fondamentali che connotano un soggetto e sono in grado di distinguerlo dagli altri.

La condotta dell'imputato, in ogni caso, era connotata dal dolo specifico consistente nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, ovvero di arrecare ad altri un danno, coincidente con la possibilità di trarre dalla fittizia identità vantaggi nella comunicazione con i terzi, di soddisfare la propria vanità e di ledere l'immagine e la dignità della persona la cui immagine era stata arbitrariamente sfruttata.

Si trattava, in conclusione, dell'utilizzo di un account che attribuiva all'imputato «una identità sicuramente virtuale», destinata ad esaurirsi nell'ambito delle comunicazioni via internet, ma che poteva estendersi ad una dimensione reale, riferita ad un soggetto effettivamente esistente, che ben avrebbe potuto creare le premesse per un eventuale contatto fisico con gli interlocutori contattati in rete.

Guida all'approfondimento

C. Flick, Falsa identità su Internet e tutela penale della fede pubblica degli utenti e della persona, in Il Diritto dell'informazione e dell'informatica, 2008, pag. 525;

L. Picotti, I diritti fondamentali nell'uso ed abuso dei social network. Aspetti penali, in Giur. merito, fasc. 12, 2012, pag. 2522;

P. Cipolla, Social network, furto di identità e reati contro il patrimonio, in Giur. merito, fasc. 12, 2012, pag. 2672.

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