Esegesi dell’art. 275, comma 4, c.p.p. con riferimento all’assoluta impossibilità della madre a dare assistenza prole

24 Settembre 2015

Ai fini dell'applicabilità del divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti del padre di figli di età non superiore a sei anni, qualora la madre sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, l'assoluta impossibilità richiesta dall'art. 275, comma 4, c.p.p. va letta ed interpretata non con riferimento al soggetto chiamato a dare assistenza, bensì con riferimento al destinatario di detta assistenza, ossia al minore di età inferiore a sei anni, il cui processo evolutivo ed educativo potrebbe essere irrimediabilmente compromesso dalla mancanza di una valida ed efficace presenza di entrambi i genitori.
Massima

Ai fini dell'applicabilità del divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti del padre di figli di età non superiore a sei anni, qualora la madre sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, l'assoluta impossibilità richiesta dall'art. 275, comma 4, c.p.p. va letta ed interpretata non con riferimento al soggetto chiamato a dare assistenza, bensì con riferimento al destinatario di detta assistenza, ossia al minore di età inferiore a sei anni, il cui processo evolutivo ed educativo potrebbe essere irrimediabilmente compromesso dalla mancanza di una valida ed efficace presenza di entrambi i genitori.

Il caso

Il Tribunale di Reggio Calabria – in funzione di giudice dell'appello cautelare – rigettava l'impugnazione proposta dall'imputato avverso il provvedimento di diniego della richiesta revoca o sostituzione della custodia in carcere con altra misura meno afflittiva. Nel rigettare l'istanza, il Tribunale affermava la perdurante sussistenza del pericolo di reiterazione del reato e riteneva che difettassero i presupposti applicativi della previsione di cui all'art. 275, comma 4, c.p.p., non versando la consorte dell'imputato in condizioni di salute tali da rendere impossibile prestare assistenza e cura alla figlia minore di sei anni.

Veniva, quindi, proposto ricorso per Cassazione, deducendo il vizio di motivazione con riferimento a tutti gli argomenti spesi dal Tribunale.

La Suprema Corte ha giudicato fondato il ricorso.

A sostegno della decisione, è stato evidenziato l'obbligo del giudice di valutare la «specificità, concretezza e attualità» delle esigenze cautelari sia nel momento genetico della misura sia in seguito, con esclusione di ogni automatismo legato al titolo di reato per il quale la custodia venga disposta e salve le ipotesi tassative di presunzione, peraltro non assoluta.

È stata ribadita la prevalenza sulle presunzioni di adeguatezza del carcere – previste dall'art. 275, comma 3, c.p.p. ove si proceda per determinati reati – delle presunzioni di inadeguatezza, poste dal comma 5 dello stesso articolo 275 c.p.p. nei confronti di chi versi nelle peculiari condizioni soggettive tassativamente indicate dalla norma stessa. Detta prevalenza trova giustificazione nella finalità di salvaguardia di fondamentali diritti della persona ed è destinata a valere salvo che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, «ravvisabili là dove il pericolo di recidiva sia elevatissimo e tale da formulare una prognosi di sostanziale certezza che l'indagato, se sottoposto a misure di carattere extramurale, continuerebbe a commettere delitti».

Con particolare riguardo al caso della madre di prole di età non superiore a sei anni, con lei convivente, ovvero del padre, qualora la madre sia deceduta od assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli, è stata richiamata la “copertura” offerta dagli artt. 2 e 31, Cost. e valorizzata la ratio di salvaguardare l'integrità psicofisica di soggetti in formazione.

In questa cornice, l'assoluta impossibilità richiesta dall'art. 275, comma 4, c.p.p. è stata letta ed interpretata non con riferimento al soggetto chiamato a dare assistenza, bensì con riferimento al destinatario di detta assistenza, ossia al minore di età inferiore a sei anni, il cui processo evolutivo ed educativo potrebbe essere irrimediabilmente compromesso dalla mancanza di una «valida e efficace presenza di entrambi i genitori».

Tracciate queste coordinate, è stato evidenziato che le valutazioni del giudice devono necessariamente avere riguardo alla «situazione concreta nella sua interezza» e possono beneficiare degli esiti della perizia eventualmente disposta, con l'accortezza, però, di non attribuire surrettiziamente alla perizia il significato di «prova legale», acriticamente recepita.

Nel caso di specie, è stata stigmatizzata la mancanza di autonoma valutazione, da parte del Tribunale, di profili di indubbia rilevanza, segnatamente le ripercussioni «sul versante psicologico degli aspetti clinico-prognostici della patologia oncologica» – sia pure in fase di remissione – della coniuge dell'indagato e gli effetti sulla donna della rivelazione di uno dei figli di essere stato vittima di abusi sessuali; ed è stata altresì censurata la mancata considerazione di eventuali interventi di sostegno dei familiari e delle strutture pubbliche.

È stata, quindi, annullata l'ordinanza impugnata e disposto il rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuova deliberazione.

La questione

Tralasciando gli aspetti ormai consolidati nell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale – quali l'obbligo del giudice di monitorare costantemente la concreta rispondenza della misura prescelta alle esigenze cautelari da soddisfare, la prevalenza delle presunzioni di inadeguatezza del carcere su quelle di adeguatezza e la necessaria autonomia della valutazione del giudice rispetto a quella del perito –, la vera questione giuridica al centro della decisione in commento concerne l'interpretazione da dare a quella assoluta impossibilità per la madre di dare assistenza alla prole che l'art. 275, comma 4, c.p.p. richiede per estendere al padre il divieto di custodia cautelare in carcere, sancito dalla citata disposizione normativa.

Come chiarito anche in precedenti pronunce, «la ratio della norma è individuabile nella necessità di salvaguardare l'integrità psicofisica di soggetti in tenera età, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari e garantendo così ai figli l'assistenza familiare, in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e psichica. In quest'ottica, certamente il ruolo paterno risulta ancora circoscritto all'ambito di una mera supplenza, onde l'incompatibilità con il carcere sorge, per il padre, soltanto ove la madre sia in condizioni fisiche, psicologiche od esistenziali tali da non poter prestare assistenza ai minori» (Cass., 12 dicembre 2013, dep. 31 gennaio 2014, n. 4748).

È, dunque, necessario mettere a fuoco cosa si intenda per impossibilità della madre di assistere la prole, quando ricorra la predetta condizione e quali elementi e circostanze debbano essere presi in considerazione dal giudice per arrivare ad esprimere siffatto giudizio. Tali profili problematici non sono nuovi, ma la decisione in commento si segnala per aver portato a compimento quella graduale “rotazione di prospettiva” dall'adulto al soggetto in formazione, invero preannunciata da precedenti sentenze.

Le soluzioni giuridiche

In punto di impossibilità della madre ad assistere i figli, si segnala come sia stato chiarito da tempo che lo svolgimento di attività lavorativa da parte della donna «non determina, di per sé, quella assoluta impossibilità di prendersi cura della prole (…) che possa giustificare in favore del padre dei minori la concessione della detenzione domiciliare» o il divieto della custodia in carcere (Cass. pen, 28 ottobre 2011, n. 44910, resa relativamente alla situazione di una lavoratrice giostraia impegnata solo nelle ore pomeridiane dei giorni climaticamente favorevoli. Conf.: Cass. pen., 4 dicembre 2008, n. 46290, che ha ritenuto non sussistente l'assoluta impossibilità di assistenza del minore nel concorso di un impegno lavorativo di 44 ore settimanali, dell'assenza in loco di asili pubblici e dell'incompatibilità del costo di quelli privati con il reddito familiare; Cass. pen., 11 gennaio 2007, n. 5664; Cass. pen, 5 aprile 2006, n. 38067).

Si tratta di una esegesi in armonia con la lettera e lo spirito della legge e volta a scongiurare la dilatazione dell'ambito applicativo di una norma di favore, che pospone le ragioni della cautela rispetto alle esigenze della famiglia e, prima ancora, dei minori.

L'esistenza di un impedimento assoluto ad assistere la prole – sia esso dipendente da attività lavorativa o da altra causa – va accertata in relazione alle peculiari connotazioni delle singole situazioni, in particolare attraverso la verifica dell'esistenza di strutture di sostegno e di assistenza sociale ovvero della disponibilità all'assistenza di altri familiari che possano, all'occorrenza, sostituire la madre (Cass. pen., 28 gennaio 2009, n. 13021. Conf.: Cass. pen., 4 marzo 2008, n. 14651; Cass. pen., 23 maggio 2006, n. 20233 tale ausilio abbia carattere meramente integrativo e di supporto e non totalmente sostitutivo dell'assistenza materna» (Cass. pen., 15 febbraio 2008, n. 8636). Ciò vuol dire che, una volta accertata l'impossibilità della madre a dare assistenza ai minori ed esclusa la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, «il giudice non può giustificare il mantenimento della misura prendendo in esame l'eventuale presenza di altri familiari, in quanto ad essi il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva, dal momento che la previsione è finalizzata alla salvaguardia dell'integrità psico-fisica dei figli in tenera età, garantendo loro l'assistenza da parte di almeno uno dei genitori» (Cass. pen., 19 novembre 2004, n. 6691. Conf. Cass. pen., 30 aprile 2014, n. 29355).

È, dunque, costantemente rimarcata la necessità di un giudizio cautelare quanto più possibile personalizzato, ossia ancorato ai dati della fattispecie concreta nella sua interezza e non poggiato su considerazioni aprioristiche ed astratte.

Spingendo nella direzione della miglior salvaguardia possibile delle esigenze del minore nella situazione data, è stata affermata l'esistenza di una condizione di assoluta impossibilità della madre a prendersi cura del figlio di età inferiore a sei anni quando questa versi in condizioni di salute precarie – seppur non estreme – e veda le sue energie assorbite dalla necessità di provvedere ad altro figlio minorenne e portatore di grave malattia (Cass., 12 dicembre 2013, n. 4748 cit.).

La decisione in commento completa il percorso di valorizzazione del soggetto in formazione, precisando espressamente che l'assoluta impossibilità richiesta dall'art. 275, comma 4, c.p.p. va letta ed interpretata non con riferimento al soggetto chiamato a dare assistenza, bensì con riferimento al destinatario di detta assistenza.

Osservazioni

All'esito della disamina condotta, si può osservare che la Corte di Cassazione, nell'esercizio della sua funzione nomofilattica, “suggerisce” di interpretare l'assoluta impossibilità menzionata dall'art. 275, comma 4, c.p.p. avendo come parametro non semplicemente una assistenza materiale minima del minore – quale potrebbe essere assicurata anche da un genitore in precarie condizioni di salute e gravato da pesanti preoccupazioni ed adempimenti, tra i quali il prendersi cura di altri figli in difficoltà – bensì avendo come parametro una assistenza adeguata da parte di almeno uno dei genitori, compatibilmente col contesto di base e magari anche con l'ausilio di altri familiari o delle strutture pubbliche.

È il segno della sempre maggiore sensibilità della giurisprudenza nazionale a quelle esigenze di salvaguardia dei diritti umani, che trovano riconoscimento a livello costituzionale e convenzionale e che vanno sempre tenute presenti nell'esegesi delle norme.

Guida all'approfondimento

Sullo stesso provvedimento si veda anche:

R. Di Palo, S. Vairo, G. Sofia, La scelta della misura cautelare tra esigenze cautelari e tutela dell'infanzia

La tutela dell'infanzia prevale sulle esigenze cautelari

G. BELLANTONI, I limiti alla carcerazione in ragione della tutela del rapporto genitoriale con figli minori, in Giur. It., 2014, p. 1759 e ss.

I. MARCELLI, Il divieto di custodia in carcere per il genitore di prole con età inferiore ai sei anni, in Cass. pen., 2014, p. 2575 e ss.

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