Responsabilità penale degli enti e patteggiamento. I poteri del giudice sull'applicazione della pena

24 Novembre 2016

La Corte di cassazione ha sottolineato come gli accordi tra le parti in materia di patteggiamento della pena in ordine al reato-presupposto vincolano il giudice anche con riguardo alle sanzioni interdittive per l'ente ex d.lgs. 231/2001. I supremi giudici affermano che ...
Massima

È illegittima la sentenza che applichi cumulativamente le sanzioni interattive previste dall'art. 9, comma 2, del d.lgs. 231/2001, ultra petita, in violazione dell'accordo processuale raggiunto sull'applicazione della sola sanzione del divieto di pubblicazione di beni e servizi; il rapporto negoziale intercorso tra le parti, infatti, preclude al giudice di applicare una sanzione diversa da quella concordata, in quanto la modifica in peius del trattamento sanzionatorio, sia pure nei limiti della misura legale, altera i termini dell'accordo e incide sul consenso prestato.

Il caso

Il Gip del tribunale di Venezia, difformemente dall'accordo ex artt. 444 c.p.p e 63 d.lgs. 231/2001 ha applicato congiuntamente alla Talian S.R.L., tutte le sanzioni interattive previste dall'art. 9 d.lgs. 231/2001 anziché la sola sanzione interattiva del divieto di pubblicità di beni e servizi che era stata concordata tra le parti. Il divieto di pubblicizzare beni e servizi era stato concordato quale sanzione interdittiva proporzionata all'illecito, in ragione della condotta collaborativa di Talian S.R.L., che aveva spontaneamente messo a disposizione, ai fini della confisca, una somma rilevantissima. Avverso la sentenza nell'interesse della società la difesa proponeva ricorso per Cassazione rilevando il seguente vizio di legittimità:

violazione di legge in relazione agli artt. 9, comma 2, 14 e 63 d.lgs. 231/2001.

La Corte di cassazione riteneva il ricorso fondato.

La questione

Il d.lgs. 231/2001 ha preciso che laddove gli enti siano ritenuti responsabili di fatti puniti dalla legge come reato questi possano soggiacere a diverse sanzioni, e di natura economica e di natura interdittiva. Per tale ragione come previsto per legge anche per le persone fisiche gli enti possono decidere di definire il processo con l'applicazione di una determinata pena e dunque di patteggiare. Ebbene per gli enti vi è una differenza nel tipo di sanzioni applicabili. L'art. 9 del d.lgs. 231/2001, infatti, prevede che le sanzioni applicabili siano: la sanzione pecuniaria; le sanzioni interdittive; la confisca; ed infine, la pubblicazione della sentenza. Le sanzioni interdittive, a loro volta, vengono elencate nella successiva lett. b) e sono: l'interdizione dall'esercizio dell'attività; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; ed, infine, il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Nel caso in esame, nonostante le parti avessero patteggiato l'applicazione della sanzione del divieto di pubblicizzazione di beni e servizi, il giudice di merito aveva condannato l'ente a tutte le sanzioni interdittive previste dalla norma. Il giudice riteneva da una lettura dell'art. 25-octies del d.lgs. 231/2001, che, l'uso del plurale Nei casi di condanna […] si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2 implicasse una comminatoria cumulativa, prescindendo dall'accordo delle parti. La Corte di cassazione con la decisione in esame non ha condiviso tale decisione, precisando che, nella lotta alla criminalità di impresa, per garantire una più efficace risposta punitiva e tenuto conto delle differenze con la criminalità delle persone fisiche, si è predisposto un sistema sanzionatorio che, affianco alle tradizionali sanzioni pecuniarie, ha previsto, invero, altri strumenti che hanno completato il sistema sanzionatorio e che costituiscono sanzioni principali con funzione prevalentemente general-preventiva. E, quindi, ha distinto, da un lato, le tre risposte punitive principali della sanzione pecuniaria, sanzioni interdittive e confisca, con funzione prevalentemente general-preventiva (in quanto la loro comminazione può paralizzare l'attività dell'ente o, comunque, condizionarne l'operatività); e, dall'altro, una sanzione accessoria, la pubblicazione della sentenza, che viene, peraltro, autonomamente disciplinata dall'art. 18 d.lgs. 231/2001. La Cassazione infatti precisa che il sistema sanzionatorio proposto dal d.lgs. 231 fuoriesce dagli schemi tradizionali del diritto penale – per cosi dire – “nucleare”, incentrati sulla distinzione tra pene e misure di sicurezza, tra pene principali e pene accessorie. Ed ancora la suprema Corte nella motivazione precisa che nell' ipotesi in cui l'accesso alla definizione concordata della sanzione consegua al “patteggiamento” ovvero alla patteggiabilità del reato presupposto- qualora si tratti di un illecito amministrativo, per il quale va applicata, oltre alla pena pecuniaria, una sanzione interdittiva temporanea, anche quest'ultima deve formare oggetto dell'accordo tra le parti. Sul punto la Cassazione consolidando il proprio orientamento ha affermato che in caso di patteggiamento, il giudice è vincolato, nella propria decisione, solo in ordine ai punti riguardanti elementi nella disponibilità delle parti. E quindi, con riguardo al tipo e alla durata della pena principale oggetto di accordo e, non già, relativamente alle pene accessorie (ed, in generale, le misure di sicurezza o la confisca). Quindi, un'applicazione sanzionatoria ultra petita in violazione dell'accordo raggiunto dalle parti non è ammissibile, dato che il rapporto negoziale intercorso tra le parti, preclude al giudice l'applicazione di una sanzione diversa da quella concordata, in quanto la modifica in peius del trattamento sanzionatorio, sia pure nei limiti della misura legale, altera i termini dell'accordo e incide sul consenso prestato. Nel caso di specie la Corte dunque annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa alle sanzioni interdittive di cui all'art. 9, comma 2, del d.lgs. 231 del 2001 non specificatamente oggetto dell'accordo ex artt.444 c.p.p. e art. 63 del predetto decreto.

Le soluzioni giuridiche

È stato ribadito il seguente principio di diritto: la Corte di cassazione, Sez. III con sentenza n. 45472 del 28 ottobre 2016, ha sottolineato come gli accordi tra le parti in materia di patteggiamento della pena in ordine al reato-presupposto vincolano il giudice anche con riguardo alle sanzioni interdittive per l'ente ex d.lgs. 231/2001. I supremi giudici affermano che sebbene il patteggiamento non vincoli il giudice quanto alla determinazione delle pene accessorie, misure di sicurezza o confisca, non cosi invece per le per le sanzioni principali quali sono le sanzioni interdittive a carico dell'Ente, che invece vincolano il giudice rispetto all'accordo su di esse raggiunto dalle parti.

Osservazioni

Il d.lgs. 231 del 2001 disciplina, con ampio rinvio al codice di procedura penale, alcuni procedimenti speciali, che consentono all'ente di evitare il dibattimento e di ottenere una riduzione della sanzione amministrativa: rito abbreviato, c.d. patteggiamento, procedimento per decreto.
Per quel che concerne la disciplina dettata per il patteggiamento l'istituto è modellato sulla falsa riga dell'art. 444 c.p.p. Difatti nel regolare i presupposti di ammissibilità del rito premiale si sono dovute considerare talune particolarità. In primis si è ritenuto di consentire l'applicabilità di questo qualora la condotta illecita dell'ente fosse sanzionata solo in via pecuniaria. Trattasi comunque di casi di minore gravita. In secondo luogo non è sembrato possibile applicare automaticamente all'ente il limite edittale di pena pari ad anni 2 riservata alle persone fisiche. E dunque la normativa privilegiando una strada diversa ha previsto che al di fuori dei casi di illecito amministrativo per i quali è prevista la solo pena pecuniaria,la richiesta di applicazione del rito alternativo di cui all'art. 444 c.p.p. è ammessa qualora il reato presupposto dell'illecito sia un reato definibile attraverso tale rito. L'ammissibilità del rito alternativo viene ancorata cosi ad un dato oggettivo derivante dalla disciplina positiva, incentivando così la definizione cumulativa (del reato e del'illecito amministrativo) attraverso la contestuale applicazione concordata della pena e della sanzione amministrativa. In punto di procedura si osservano le disposizioni di cui al Titolo II del Libro sesto c.p.p. (artt. 444 ss.c.p.p.), in quanto applicabili: in particolare per quanto riguarda i poteri del giudice (previa valutazione della sussistenza di cause di proscioglimento ex art 129 c.p.p.; corretta qualificazione giuridica; corretta comparazione della circostanze; congruità della sanzione) ed i termini per la presentazione della richiesta. La diminuente processuale di cui all'art. 444, comma 1, c.p.p. dovrà operare sulla durata della sanzione interdittiva e sull'ammontare della sanzione pecuniaria, concretamente irrogate.
Non rileva la previsione della possibilità di subordinare l'efficacia della richiesta di patteggiamento alla concessione della sospensione condizionale della sanzione, in quanto l'istituto non è contemplato dal d.lgs.231/2001. Nei casi in cui è prevista l'udienza preliminare, il patteggiamento può essere chiesto prima dell'apertura del dibattimento solo se la richiesta presentata durante l'udienza preliminare non ha ricevuto il consenso del P.M. o se è stata rigettata dal Gup. La sentenza che applica la sanzione non è menzionata nei certificati dell'Anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative.

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