Chirurgia estetica: limiti e contenuto del consenso informato

Vittorio Nizza
25 Febbraio 2016

In tema di colpa professionale medica, chirurgia maxillo-facciale, non connotata dall'urgenza ma finalizzata a migliorare l'aspetto fisico il consenso informato del paziente esclude la colpa del sanitario solo se esso non si limiti alla semplice enumerazione dei possibili rischi ma investa anche il giudizio globale su come la persona risulterà all'esito di quest'ultimo.
Massima

In tema di colpa professionale medica, chirurgia maxillo-facciale, non connotata dall'urgenza ma finalizzata a migliorare l'aspetto fisico del paziente in funzione della sua vita di relazione oltre che a regolarne la postura dentale, il consenso informato del paziente esclude la colpa del sanitario solo se esso non si limiti alla semplice enumerazione dei possibili rischi ed alla prospettazione delle possibili scelte, ma investa non soltanto la mera riuscita dell'intervento ma anche il giudizio globale su come la persona risulterà all'esito di quest'ultimo.

(Nella specie, la suprema Corte ha ritenuto carente la motivazione assolutoria adottata dalla Corte d'appello relativamente alla condotta di un chirurgo che, benché avesse concordato l'operazione di osteotomia mandibolare con altri specialisti su una paziente per eliminare l'eccessiva sporgenza degli incisivi superiori da cui la predetta era affetta, anziché sconsigliare l'intervento alla luce degli enormi rischi che esso comportava, vi procedeva ugualmente, provocando alla donna tumefazioni e gonfiori permanenti al viso, difficoltà respiratorie e perdita di sensibilità al labbro, così costringendola ad un ulteriore intervento riparatore a distanza di quattro anni).

Il caso

La Corte nella sentenza in oggetto affronta un caso di lesioni colpose gravissime, consistite nella deformazione permanente del viso e della respirazione, determinate da un intervento di chirurgia maxillo-facciale.

La paziente per risolvere un'imperfezione estetica congenita dovuta all'eccessiva sporgenza degli incisivi superiori, dopo essersi rivolta a vari chirurghi plastici e ortodonzisti, su segnalazione degli stessi medici che l'avevano in cura, aveva contattato l'imputato. Il sanitario l'aveva sottoposta ad un intervento di osteotomia mandibolare prodromico ad altri trattamenti. A seguito dell'intervento, però, la signora aveva accusato disturbi quali tumefazioni e gonfiori al viso, perdita di sensibilità al labbro inferiore, gravi difficoltà respiratorie e persistente rinoliquorrea (tanto da sottoporsi ad un altro intervento chirurgico dopo alcuni anni, ottenendo qualche miglioramento).

L'imputato era stato condannato in prima grado ma assolto dalla Corte d'appello che non aveva rilevato profili di imprudenza, imperizia o negligenza nell'operato del medico, il quale aveva concordato l'operazione con altri specialisti e non era stato inosservante delle regole di prudenza e cautela nella scelta professionale effettuata. Inoltre, a parere dei giudici di secondo grado, non erano stati riscontrati errori di alcun tipo nell'esecuzione dell'intervento.

Avverso la sentenza della Corte d'appello aveva proposto ricorso per Cassazione la parte civile, rilevando, tra gli altri profili, la sussistenza di censure di colpa per la carente e la superficiale preparazione dell'intervento, per la mancanza di documentazione tecnica relativa allo stesso, per la mancata valutazione della natura rischiosa dell'attività chirurgica posta in essere e soprattutto per l'inadeguatezza e l'incompletezza della informativa data alla paziente.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso annullando la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente.

La questione

L'analisi della suprema Corte si incentra principalmente sul valore del consenso informato nell'ambito dell'attività medica ma soprattutto della sua portata nell'ambito della chirurgia estetica, per sua natura priva del carattere di urgenza tipico di altre branche della medicina, e di cui si discute la finalità terapeutica.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ribadisce l'orientamento ormai pacifico in merito al “consenso” informato richiesto al paziente, considerato quale presupposto di liceità del trattamento medico. Il medico, quindi, non può di regola intervenire senza o malgrado il consenso, che deve essere informato. Ossia far seguito ad un'informazione completa anche dei possibili effetti negativi, contrindicazioni e l'indicazione della gravità degli effetti del trattamento.

Il paziente deve pertanto essere libero non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento ma anche eventualmente rifiutare la terapia o interromperla.

Più complesso, precisa la Corte, il problema del consenso nell'ambito della chirurgia di tipo estetico, come nel caso in esame. Tale settore della medicina, infatti, in genere non si caratterizza per l'urgenza dell'intervento ed è discusso se possa ravvisarsi effettivamente una finalità terapeutica, poiché la finalità tipica di tali interventi è quella di migliorare l'aspetto fisico.

In tale ambito, quindi, precisa la Corte, incombe sul sanitario un dovere di informazione più ampio, che va oltre la semplice enumerazione e prospettazione dei rischi, delle modalità e delle possibili scelte, ma dovrebbe estendersi ad un giudizio globale sulla persona come questa risulterà dopo l'intervento, non limitandosi ai soli effetti dati dalla riuscita dell'intervento.

Nel casi in oggetto conclude la Corte, non rileva tanto la presenza di un consenso informato (della cui validità in realtà gli stessi giudici sembrano dubitare, non essendo provata la reale comprensione del suo contenuto da parte della paziente) quanto gli esiti dell'intervento stesso. L'intervento presentava un margine di aleatorietà così elevato: nel consenso infatti lo stesso medico riportava, a mano, i numerosi e gravi possibili esiti perversi, tali da dover indurre il sanitario a sconsigliarlo comunque e persino rifiutarsi di eseguirlo, indipendentemente dal fatto che lo stesso fosse stato concordato anche con altri specialisti all'interno di un disegno concordato per eliminare il difetto estetico della donna.

Osservazioni

La sentenza in oggetto si inserisce nell'ambito della problematica relativa alla configurabilità della responsabilità penale medica con riferimento all'operato di un chirurgo estetico. È discusso se alle operazioni di chirurgia estetica possa essere riconosciuta una finalità terapeutica o meno, poiché anche interventi di tipo prettamente estetico possono avere una finalità quanto meno indirettamente terapeutica andando ad incidere sul benessere psico-fisico del paziente.

Allo stesso modo si è discusso se, a differenza di tutte le atre ipotesi di interventi sanitari, si possa parlare di un'obbligazione di risultati anziché di mezzi, stante il fatto del peculiare rapporto che si viene a creare tra medico e soggetto che si sottopone al trattamento che è di fatto una persona sana e non un vero e proprio paziente, e stante l'assenza delle condizioni di necessità ed urgenza che spesso caratterizzano l'operato del medico.

La giurisprudenza si è da tempo orientata nel ritenere che in questo particolare settore della medicina sia necessario un dovere di informazione da parte del medico più pregnante, in ragione della peculiare finalità, appunto di natura estetica, per cui viene chiamato ad intervenire.

La sentenza in commento si caratterizza, però, per il fatto di estendere, quanto meno apparentemente, i confini di tale obbligo forse in maniera eccessiva. La sentenza infatti afferma che il medico dovrebbe dare un giudizio globale della persona così come risulterà dopo l'intervento. Sembrerebbe, pertanto, che il sanitario non debba limitarsi informare il paziente in merito ai possibili esiti oggettivi, fisici ma fare una valutazione più ampia di tutte le possibili ricadute, le possibili conseguenze sulla sua personalità.

In realtà il caso di specie si caratterizzava per l'aleatorietà dell'operazione, così come emergeva anche dal modulo del consenso informato nel quale era stata aggiunta a mano l'elencazione una serie di gravi e possibili conseguenze negative dell'operazione stessa (poi in parte verificatesi). Nel caso di specie, la Corte ha concluso ritenendo che il medico avrebbe dovuto astenersi dal effettuare un'operazione con un così alto margine di rischio di riuscita negativa, anche qualora fosse stato accertato che effettivamente la paziente era stata correttamente informata di tutte le possibili conseguenze e avesse comunque prestato il suo consenso.

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