Associazione per delinquere finalizzata alla frode in competizione sportiva. La sentenza della Suprema Corte sul caso “Calciopoli”

Alessandro Avagliano
25 Settembre 2015

Il reato di frode in competizione sportiva, nella accezione generica prevista nella seconda parte dell'art. 1, comma 1, della legge n. 401 del 1989, ha natura di delitto di attentato a consumazione anticipata, nel quale la soglia di punibilità coincide con il compimento di un'attività fraudolenta idonea ad alterare la lealtà e la correttezza nello svolgimento della competizione agonistica.
Massima

Il reato di frode in competizione sportiva, nella accezione generica prevista nella seconda parte dell'art. 1, comma 1, della legge n. 401 del 1989, ha natura di delitto di attentato a consumazione anticipata, nel quale la soglia di punibilità coincide con il compimento di un'attività fraudolenta idonea ad alterare la lealtà e la correttezza nello svolgimento della competizione agonistica.

La fraudolenta alterazione dei risultati del campionato è fatto idoneo ad integrare un'ipotesi di danno risarcibile in favore delle società calcistiche e della F.I.G.C.

Il caso

Lo scandalo “Calciopoli” ha investito il calcio italiano nel 2006, coinvolgendo diverse fra le più importanti società professionistiche e numerosi dirigenti sia delle stesse che dei principali organi calcistici istituzionali italiani (Federazione Italiana Giuoco Calcio, Associazione Italiana Arbitri), oltre ad alcuni arbitri, assistenti (c.d. “guardalinee”) e loro designatori.

Secondo l'accusa i dirigenti delle società coinvolti intrattenevano rapporti con i designatori arbitrali atti a influenzare le designazioni per le partite delle proprie squadre in modo da ottenere arbitri considerati favorevoli. In questo erano spesso appoggiati dagli esponenti della Federazione coinvolti nell'inchiesta.

Il processo penale, instaurato dopo quello disciplinare che per sua natura è connotato da tempistiche più rapide, ha avuto luogo tra il 2008 e il 2011 presso il Tribunale di Napoli e si è concluso con l'applicazione di pesanti condanne, tra gli altri, a Luciano Moggi, all'epoca dei fatti contestati Direttore Generale della Juventus (5 anni e 4 mesi di reclusione per promozione della associazione a delinquere) e all'ex designatore arbitrale Paolo Bergamo (3 anni e 8 mesi di reclusione), mentre Antonio Giraudo, già Amministratore Delegato della Juventus, è stato condannato nel 2009 con rito abbreviato a tre anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva.

Il processo d'appello per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato si è concluso il 5 dicembre 2012, con, tra l'altro, la condanna per Antonio Giraudo a 1 anno e 8 mesi di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva e l'assoluzione degli altri imputati.

Il 17 dicembre 2013 in secondo grado Luciano Moggi è stato condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione, mentre altri soggetti sono stati condannati per essere i promotori dell'associazione a delinquere, mentre gli episodi di frode sportiva per cui erano imputati sono stati dichiarati prescritti.

Avverso la sentenza proponevano ricorso sia Antonio Giraudo che il Procuratore Generale della Repubblica.

Con il provvedimento oggi in esame la suprema Corte di cassazione, nel rilevare preliminarmente che le censure svolte dalla procura generale non contenessero elementi tali da consentire il superamento della soglia di ammissibilità del ricorso, ha annullato le condanne precedentemente stabilite in fase di appello per quanto riguarda l'imputazione di “associazione a delinquere” per Moggi, Giraudo, Pairetto e Mazzini, senza rinvio in appello per sopraggiunta prescrizione dei reati contestati. Per quanto riguarda la maggior parte delle imputazioni di “frode sportiva”, che erano già estinte, il loro ricorso è stato rigettato. Tra coloro che hanno rinunciato alla prescrizione è stata confermata la condanna in secondo grado all'ex arbitro De Santis (1 anno), mentre sono stati annullati, su richiesta del Procuratore Generale, i verdetti condannatori agli ex arbitri Bertini e Dattilo per insussistenza delle frodi sportive a loro contestate in concorso con Moggi e per il reato associativo.Sono stati rigettati i ricorsi di Racalbuto, di Mazzei, di Foti, di Lotito, dei fratelli Della Valle e di Mencucci, le cui imputazioni erano già state prescritte in appello. È stato anche dichiarato inammissibile il ricorso della procura contro le assoluzioni in fase precedente degli arbitri Paolo Dondarini, Gianluca Rocchi e Tiziano Pieri e dell'ex presidente dell'Associazione Italiana Arbitri (Aia), Tullio Lanese.

La questione

Tra le diverse interessanti questioni esaminate dalla suprema Corte di cassazione, appaiono meritevoli di approfondimento le seguenti: che natura ha il reato di frode in competizione sportiva e quali possono essere gli atti posti in essere dall'agente già idonei per il suo compimento? Quali sono gli elementi costitutivi la configurabilità del reato di associazione per delinquere? La fraudolenta alterazione dello svolgimento di una competizione sportiva legittima la richiesta di risarcimento da parte dei soggetti che si siano reputati danneggiati?

Le soluzioni giurdiche

Per quanto concerne la frode in competizione sportiva la suprema Corte precisa chiaramente che la sua configurabilità non può essere circoscritta al classico caso di manipolazione di una singola gara, potendo costituire anche una manovra finalizzata alla alterazione dei risultati del campionato nel suo complesso (come è stato imputato alla associazione promossa dal sig. Moggi).

Per quanto riguarda, invece, la configurabilità del reato associativo di cui all'art. 416, comma 1, c.p., la suprema Corte ribadisce la necessaria presenza di tre fondamentali elementi rappresentati dal c.d. pactum sceleris intervenuto fra almeno tre individui, dalla predisposizione di un programma delinquenziale indeterminato e dalla esistenza di una struttura organizzativa. La Corte precisa che il pactum debba essere tendenzialmente permanente o comunque stabile, e destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati e che la citata struttura organizzativa possa essere anche minimale e rudimentale, purché risulti idonea ed adeguata alla realizzazione degli scopi prefissati dai vari sodali. La cassazione, inoltre, individua anche un importante elemento psicologico che deve sussistere in capo a tutti i singoli adepti, ovverosia la loro consapevolezza di fare parte del gruppo e di condividerne nel tempo gli scopi.

Appare assai importante anche una ulteriore precisazione, la quale pone un limite ed un freno alle sempre più frequenti eccezioni difensive formulate in ordine all'elemento temporale della durata del vincolo. Viene, infatti, precisato che una eventuale anche estrema limitatezza nel tempo della associazione criminosa (quale, per esempio, può essere quella inerente un circoscritto numero di gare di campionato) non possa costituire un dato decisivo ai fini della esclusione o meno della configurabilità della fattispecie. Viene considerata parimenti irrilevante ai fini di un corretto inquadramento di tale reato, la circostanza che i delitti programmati non vengano, in tutto o in parte, realizzati, in quanto la condotta illecita si intende comunque realizzata con il compimento degli atti idonei alla manipolazione (rientrando così nella figura dei delitti di attentato a consumazione anticipata ovvero di pura condotta), oppure che siano commessi solamente da alcuni degli adepti.

In materia poi di configurabilità di risarcimento del danno, la suprema Corte non ha avuto alcun dubbio nel ravvisare che la fraudolenta alterazione dei risultati del campionato, al di là delle prospettive meramente agonistiche, possa ledere anche interessi suscettibili di valutazione economica (si pensi, solamente a titolo esemplificativo, ai contratti di sponsorizzazione ed ai diritti televisivi che possono essere notevolmente più o meno remunerativi in base al piazzamento in classifica).

Osservazioni

Come visto la suprema Corte con la sentenza in esame ha apportato dei pregevoli ed utili elementi di approfondimento volti ad una ottimale qualificazione e studio di configurabilità dei reati di associazione per delinquere e frode in manifestazioni sportive.

Al tempo stesso tale decisione può costituire un punto di riferimento non solamente per gli operatori del diritto impegnati prevalentemente nel campo del diritto penale, ma anche per coloro che agiscono nel contesto dei procedimenti disciplinari instaurati innanzi agli organi di giustizia del settoriale ordinamento sportivo. Difatti, sempre più soventemente, le procure federali danno avvio alle proprie azioni disciplinari anche grazie ai proficui rapporti di collaborazione createsi con le procure della Repubblica le quali ultime, dietro richiesta formulata ai sensi dell'art. 2 della legge n. 401/1989 e dell'art. 116 c.p.p., usano inviare copia della documentazione in loro possesso inerente l'attività di indagine svolta, così sopperendo ai limitati poteri istruttori permessi alle Procure sportive e fornendo così sempre un maggior numero di elementi in comune nelle diverse qualificazioni giuridiche (ordinaria e sportiva) del medesimo fatto criminoso.

È bene anche che la Corte, a tutela dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, abbia ribadito il principio secondo cui tra gli atti fraudolenti che integrano il reato di frode sportiva non rientrino le mere violazioni delle regole di gioco, il cui insindacabile giudizio è demandato in via esclusiva agli ufficiali di gara.

Il tenore complessivo della sentenza in esame, oltretutto, attesta come non sia facilmente possibile in sede di procedimento penale sostenere come le azioni poste in essere dagli imputati possano essere limitatamente qualificate come mere violazioni di profili etici o deontologici, e come tali perseguibili esclusivamente in sede di procedimento disciplinare endofederale, quando invece hanno anche un sicura valenza penale in ragione delle loro conseguenze anche in ambiti diversi da quelli strettamente sportivi (si pensi al fenomeno delle scommesse e comunque ad un generale interesse di tutela della collettività).

Nel caso poi della posizione del sig. Giraudo, la suprema Corte ha individuato una interessante e ancor più sottile sfumatura di interessi il cui perseguimento con mezzi illeciti possa costituire il reato di frode sportiva e che costituisce una novità nel panorama di tali delitti, ovverosia non solo la tutela di una specifica squadra (nel caso in esame la Juventus F.C.) alla quale assicurare una posizione di vertice nel campionato, ma anche la gestione di determinate strategie in vista della attribuzione di posizioni di vertice all'interno del sistema federale che fungessero da idonee garanzie per il condizionamento dell'intero campionato.

Importante è anche poi che la Cassazione abbia fermamente confermato il riconoscimento della sussistenza di danni in capo alle società ed agli enti in conseguenza degli illegittimi comportamenti posti in essere dagli imputati. Sarà anche interessante a questo punto osservare come e in che misura verranno riconosciuti dal Giudice Civile i danni lamentati dalla parti civili, ed in particolare dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio lesa nell'immagine nonché dalle associazioni rappresentative degli interessi dei consumatori ai quali è stato violato il diritto di un regolare esito delle scommesse esercitate.

Costituisce, infine, un rammarico che il ricorso del Pubblico Ministero sia stato dichiarato inammissibile, in quanto un suo esame avrebbe molto probabilmente fatto sì che la suprema Corte potesse apportare ulteriori pregevoli spunti alla qualificazione delle tipologie di reati in esame.

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