Per una lettura costituzionalmente orientata del diritto di difesa nel caso del c.d. fermo reale

26 Aprile 2016

Le Sezioni unite della Cassazione sono state chiamate ad affrontare la seguente questione di diritto: se, in caso di sequestro preventivo disposto di iniziativa dalla polizia giudiziaria, questa abbia l'obbligo, a pena di nullità, di dare avviso all'indagato presente al compimento dell'atto della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Le Sezioni unite della Cassazione sono state chiamate ad affrontare la seguente questione di diritto: se, in caso di sequestro preventivo disposto di iniziativa dalla polizia giudiziaria, questa abbia l'obbligo, a pena di nullità, di dare avviso all'indagato presente al compimento dell'atto della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (v. MARANDOLA, Sequestro preventivo della P.G. e obbligo di dare avviso all'indagato della facoltà di assistenza di un legale).

Al quesito – sul quale si registrano opinioni contrastanti – la Cassazione ha dato risposta negativa.

Le ragioni sottese alla decisione possono essere così sintetizzate: da un lato, l'art. 114 disp. att. c.p.p. – che richiama l'art. 356 c.p.p. – fa riferimento soltanto agli atti previsti dagli artt. 352 e 354 c.p.p.; dall'altro, il sequestro ad iniziativa della P.G. di cui all'art. 356 c.p.p. è finalizzato alla formazione della prova, mentre il quesito attiene al sequestro preventivo (d'iniziativa della P.G.) connotata da una finalità cautelare.

Sotto il primo profilo, il dato letterale – esclusa anche la possibilità di sostenere un difetto di coordinamento di norme, conseguente alla mancanza di una tempistica coeva ma riconducibile alla stratificazione normativa (ex art. 321, comma 3-bis c.p.p., introdotto con il d.lgs. 12 del 1991) – precluderebbe una lettura costituzionalmente orientata alla tutela del diritto di difesa. Sotto il secondo aspetto, la natura del sequestro preventivo – a differenza di quello teso a materializzare i risultati probatori, stante le sue ricadute sulle decisioni (arg. ex art. 511 c.p.p. ) – escluderebbe la previsione di interventi difensivi anticipati rispetto all'azione esecutiva.

Anche a prescindere dal formulare giudizi critici – a più largo raggio – sulla lettura della disciplina delle misure cautelari reali da parte della suprema Corte – pure a Collegio riunito – le argomentazioni della decisione qui considerata inducono a formulare alcune riserve.

Va, infatti, sottolineato, innanzitutto, che la procedura cautelare comprende alcune situazioni di contraddittorio anticipato: il riferimento, oltre a quanto disposto dall'art. 289 c.p.p., attiene alla disciplina della responsabilità degli enti: ai sensi dell'art. 47 del d.lgs. 231 del 2001, infatti, sull'applicazione e sulla revoca delle misure cautelari nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive, provvede, in camera di consiglio, il giudice che procede. In altri termini, il provvedimento è emesso in seguito dell'interlocuzione anticipata con il difensore.

Va, altresì, richiamato, in termini maggiormente significativi, stante il suo possibile parallelismo con il caso del fermo di indiziato di delitto da parte della polizia giudiziaria, quanto disposto dall'art. 386 c.p.p. (previsione operante anche nel caso del fermo di iniziativa della P.G.: art. 384, comma 3, c.p.p.). Si prevede infatti che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria consegnino all'arrestato o al fermato una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, se questi non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informano, fra l'altro, della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge.

A tale proposito, va ulteriormente richiamato il comma 2 della stessa previsione ove è stabilito che dell'avvenuto arresto o fermo gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria informano immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato dal pubblico ministero a norma dell'art. 97 c.p.p.

Va, infine, ricordato come la ritenuta distinzione tra sequestro preventivo e sequestro probatorio non possa ritenersi così netta come il Supremo Collegio afferma in termini assoluti.

Deve, infatti, richiamarsi come il sequestro preventivo assorba, spesso, se non proprio sempre, elementi tesi a fini probatori. Il dato emerge con chiarezza, non solo dalla possibile omogeneità degli oggetti dei due provvedimenti ma testualmente da quanto disposto dall'art. 262, comma 3, c.p.p. ove si stabilisce che non si fa luogo alla restituzione e il sequestro è mantenuto ai fini preventivi, quando il giudice provvede a norma dell'art. 321 c.p.p.

I riferiti elementi, considerati sia singolarmente, sia soprattutto complessivamente, sembrerebbero legittimare una lettura costituzionalmente orientata della tematica qui considerata, non sembrando giustificato che la procedura maggiormente coercitiva, suscettibile di assorbire quella investigativa, sia regolata da garanzie di rango inferiore.

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