La rilevabilità della prescrizione in sede di legittimità

Lucia Aielli
26 Aprile 2016

Le Sezioni unite penali sono state chiamate a decidere se la Corte di cassazione adìta con ricorso inammissibile, possa dichiarare la prescrizione del reato intervenuta prima della sentenza di appello ma non rilevata né eccepita in quella sede o nei motivi di ricorso.
Massima

L'inammissibilità del ricorso per Cassazione (nella specie, per assoluta genericità delle doglianze) preclude ogni possibilità sia di far valere, sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello ma non dedotta né rilevata da quel giudice (Cass. pen., Sez. unite, 22 marzo 2005, n. 23428; Cass. pen., Sez. unite. 22 novembre 2000 n. 32; Cass. pen., Sez.unite, 27 giugno 2001, n. 33542; Cass. pen., Sez. I , 4 giugno 2008 n. 24688; Cass. pen., Sez. III, 8 ottobre 2009, n. 42839).

L'inammissibilità del ricorso per Cassazione preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare d'ufficio l'estinzione del reato per prescrizione, quand'anche maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello ma non dedotta né rilevata nel giudizio di merito (Cass. pen., Sez. VI, 14 marzo 2014, n. 25807; Cass. pen., Sez. I, 20 gennaio 2014, n. 6693).

Il giudice di legittimità può rilevare d'ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata, non rilevata dal giudice d'appello, pur se non dedotta con il ricorso per Cassazione e nonostante l'inammissibilità di quest'ultimo (Cass. pen., Sez. IV, 17 aprile 2015, n. 27160);

Il giudice di legittimità può rilevare d'ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata, non rilevata dal giudice d'appello, pur se non dedotta con il ricorso per Cassazione e nonostante l'inammissibilità di quest'ultimo ma solo se, a tal fine, non occorre alcuna attività di apprezzamento delle prove finalizzata all'individuazione di un dies a quo diverso da quello indicato nell'imputazione contestata e ritenuto nella sentenza di primo grado (Cass. pen., Sez. IV, 16 giugno 2015, n. 27019; Cass. pen., Sez. V, 17 febbraio 2015, n. 26445).

Il caso

Con sentenza del 14 luglio 2014 la Corte d'appello di Lecce confermava la sentenza di condanna pronunziata dal tribunale di Taranto nei confronti di Tizio per il delitto di rapina pluriaggravata e porto ingiustificato di un coltello.

Avverso tale sentenza Tizio proponeva ricorso per Cassazione censurando il giudizio di attendibilità della persona offesa e lamentava la violazione di legge non avendo la Corte d'appello proceduto alla rinnovazione istruttoria. Si doleva ancora, della misura della pena inflitta, avuto riguardo al diniego della circostanza attenuante comune di cui all'art. 62 n. 6 c.p. ed al bilanciamento, in regime di equivalenza, delle circostanze attenuanti generiche, rispetto alle aggravanti ed alla recidiva contestate .

Ad avviso della Sezione seconda della suprema Corte, le doglianze esposte, anziché concretizzare violazione di legge o carenze motivazionali argomentative percepibili ictu oculi della sentenza impugnata, miravano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello e reiteravano censure già sollevate davanti a quel giudice, che le aveva ritenute infondate, sicché il ricorso veniva dichiarato inammissibile, per essere i motivi manifestamente infondati.

La Sezione seconda, tuttavia, rilevava che il reato contravvenzionale contestato al ricorrente, era estinto per prescrizione, maturata già prima della pronuncia della sentenza di appello e considerato che tale causa di estinzione non era stata eccepita nella fase di merito, né rilevata d'ufficio dal giudice, si interrogava circa la possibilità di rilevare o meno e dichiarare in sede di legittimità, l'estinzione del reato per prescrizione pur in presenza di un ricorso inammissibile. Considerato che sul punto esisteva un contrasto giurisprudenziale, avendo alcune sezioni semplici della Corte di cassazione sostenuto che il giudice di legittimità potesse dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, quando maturata prima della sentenza di appello, anche in ipotesi di inerzia dell'imputato nella fase di merito e di inammissibilità del ricorso in sede di legittimità, il collegio rimetteva la questione alle Sezioni unite .

La questione

Le Sezioni unite penali sono state chiamate a decidere se la Corte di cassazione adìta con ricorso inammissibile, possa dichiarare la prescrizione del reato intervenuta prima della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede o nei motivi di ricorso.

Inammissibilità del ricorso e prescrizione. La sentenza in commento giunge alla composizione del contrasto, esaminando, in primo luogo, la categoria delle inammissibilità del ricorso e conclude per la non rilevabilità della causa estintiva della prescrizione in presenza di ricorso inammissibile, salva la diversa ipotesi in cui l'intervenuta prescrizione del reato, maturata prima della sentenza di appello, costituisca specifico motivo di ricorso per Cassazione.

La sentenza in argomento passa in rassegna i diversi approdi interpretativi in tema di inammissibilità del ricorso e operatività delle cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p. e partendo dalla scomparsa, nel nuovo codice di rito, della distinzione tra dichiarazione e motivi di impugnazione, evidenzia che:

  • l'impugnazione a norma dell'art. 581 c.p.p., deve essere proposta con un unico atto scritto contenente i due elementi di cui consta, ossia la dichiarazione e i motivi, i quali integrano rispettivamente, la volontà di non prestare acquiescenza al provvedimento impugnato e il sostrato argomentativo che esplicita le ragioni per le quali si ritiene ingiusta o contra legem la sentenza impugnata;
  • l'art. 591, comma 2,lett. a), b), c), d), c.p.p.impone la verifica delle condizioni di ammissibilità dell'atto introduttivo del rapporto processuale finalizzato al controllo della decisione avversata e, in difetto di tali condizioni, prevede la corrispondente declaratoria di inammissibilità, la cui omissione determina vizio di legittimità ricorribile in Cassazione ex art. 606, comma 3, c.p.p.;
  • l'art. 129 c.p.p., ispirato al principio del favor rei, impone, al contempo, l'immediata declaratoria d'ufficio in ogni stato e grado del processo di determinate cause di non punibilità (dovute alla estinzione del reato per prescrizione, all'abolitio criminis, alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, alla morte del reo, alla remissione dei querela).

L'antitesi delle due pronunce imposte dall'ordinamento (dichiarazione di inammissibilità del ricorso e dichiarazione immediata di determinate cause di non punibilità) è solo apparente e può essere risolta attraverso le disposizioni che informano il regime delle impugnazioni e dei relativi requisiti di ammissibilità, interpretate secondo canoni di coerenza sistematica con le norme in tema di cause di non punibilità.

Il giudicato formale di cui all'art. 648 c.p.p., che si forma quando avverso la sentenza non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione, o quando è inutilmente decorso il termine per impugnare o quando, se vi è stato ricorso per Cassazione, è decorso il termine per impugnare l'ordinanza che ha dichiarato inammissibile o rigettato il ricorso, non disciplina l'impugnazione inammissibile, atteso che il riferimento ad essa è solo indiretto.

Invero esso, tenuto conto della collocazione topografica della norma, nel Libro X dell'esecuzione, è volto esclusivamente a individuare il momento in cui la decisione diventa irrevocabile e quindi eseguibile.

L'inammissibilità dell'impugnazione nella quale sono comprese le ipotesi di inammissibilità di cui all'art. 591, comma 2, lett. a), b), c), d), e, con riguardo specifico al ricorso per Cassazione quelle di cui all'art. 606, comma 3, c.p.p., è una categoria unitaria che prevede ipotesi che viziano geneticamente l'atto e che ponendosi fuori della cornice normativa di riferimento, provocano la reazione dell'ordinamento e la corrispondente sanzione ad un potere di parte non correttamente esercitato .

In presenza di un atto di impugnazione invalido e quindi inidoneo ad attivare il corrispondente rapporto processuale, non è possibile riconoscere alle cause di non punibilità già maturate in sede di merito (prescrizione) una loro effettività sul piano giuridico, rimanendo le stesse relegate nella categoria di fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale.

L'istituto delle prescrizione è giustificato in quanto il decorso del tempo attenua l'interesse dello Stato all'accertamento del reato e ad eseguire la pena che sia stata inflitta. Quando poi l'istruttoria non abbia avuto luogo o non si sia addivenuti ad una sentenza irrevocabile di condanna, sorgono, col passare del tempo, gravi difficoltà di raccolta delle prove.

Questi sono i motivi che stanno alla base dell'istituto tradizionale della prescrizione.

Il giudicato sostanziale deriva quindi dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido, perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge, che in quanto tale paralizza sin dal suo insorgere i poteri decisori del giudice il quale non è abilitato a occuparsi del merito e a rilevare a norma dell'art. 129 c.p.p., cause di non punibilità quali l'estinzione del reato per prescrizione, sia se maturata dopo la sentenza impugnata, sia se verificatasi in precedenza , in tali casi la decisione è destinata a rimanere immodificabile proprio perché contrastata da un'impugnazione inammissibile.

La rilevabilità di determinate cause di non punibilità ex art. 609, comma 2, c.p.p., in deroga alla prevalenza della inammissibilità del ricorso, non inficia tale ragionamento, posto che è possibile ravvisare la prevalenza dell'art. 129 c.p.p., nel caso di abolitio criminis e dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, in quanto trattandosi di ipotesi che possono determinare la revoca della sentenza di condanna da parte del giudice dell' esecuzione ex art. 673 c.p.p., a maggior ragione possono essere rilevate dal giudice della cognizione in presenza di un ricorso inammissibile.

La non punibilità per morte dell'imputato, inoltre, deve essere immediatamente dichiarata, anche in presenza di ricorso inammissibile, poiché travolge l'intero rapporto processuale, per cui se non venisse immediatamente dichiarata, finirebbe con il determinare la produzione di una sentenza giuridicamente inesistente essendo venuto a mancare il soggetto contro cui far valere la pretesa punitiva.

La prevalenza della causa estintiva delle remissione di querela, sulla inammissibilità del ricorso, a sua volta, è giustificata dalla peculiare natura dei reati cui è riferita e dalla rilevanza che rispetto ad essi il legislatore ha accordato alla voluntas del remittente che ponendo nel nulla la condizione per l'inizio dell'azione penale, incide sulla progressione del procedimento, il cui epilogo non può che essere la declaratoria di estinzione del reato.

La rilevabilità d'ufficio, in sede di giudizio di Cassazione, anche in caso di inammissibilità del ricorso, della illegalità (o non proporzionalità) della pena inflitta in sede di merito, per effetto della pronuncia di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio (Corte costituzionale n. 32/2014), si giustifica per il mutamento strutturale apportato dalla normativa (in particolare in materia di stupefacenti) ai criteri di composizione della pena ed integra un motivo costituzionalmente imposto (art. 1 c.p., art. 25, comma 2,Cost., art. 7 § 1 Cedu e art. 117, comma 1,Cost.) del quale la Corte di legittimità, anche a fronte di un ricorso inammissibile , deve "auto investirsi".

Il ricorso inammissibile perché tardivo, ha sempre natura dirimente poiché trasforma il giudicato formale in giudicato sostanziale ed esclude la rilevabilità di tutte le cause di non punibilità.

La prevalenza del ricorso inammissibile sulla causa estintiva della prescrizione, non viola il principio di uguaglianza in quanto il consolidamento della decisione viziata, non è legato solo all'error iudicis ma anche alla condotta della parte processualmente interessata che propone un'impugnazione non conforme al modello legale e dunque inidonea a instaurare il grado successivo del giudizio.

Non legittima la conclusione che la causa estintiva debba prevalere per il solo fatto diessersi avverata, l'obbligo di rilevare e dichiarare d'ufficio la prescrizione del procedimento ex art. 411 c.p.p., in quanto trattasi di norma ispirata alla regola di giudizio di cui all'art. 125 disp. att. c.p.p., che impone, a chiusura delle indagini preliminari, di operare un vaglio degli elementi acquisiti nella loro attitudine a giustificare il rinvio a giudizio oppure l'archiviazione per la superfluità dell'accertamento giudiziale (Corte cost. n. 88/1991), per cui nella fase delle indagini non può farsi leva sull'art. 129 c.p.p. la cui applicazione è subordinata all'esercizio dell'azione penale ed consentita soltanto nella fase processuale vera e propria.

La proposizione del ricorso cassazione che abbia come unico motivo di doglianza la eccezione di prescrizione maturata prima della sentenza di appello ma non eccepita dalla parte interessata nel grado di merito e non rilevata dal giudice di merito, è ammissibile e deve essere accolto poiché trattasi di ricorso volto a far valere l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p.

La violazione dell'obbligo di immediata declaratoria di cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., da parte del giudice di merito, espone la sentenza al vizio di violazione di violazione di legge e la proposizione del ricorso, teso a far valere tale vizio, esclude la formazione del giudicato sostanziale.

Le soluzioni giuridiche

In base a quanto argomentato sono stati enunciati i seguenti principi di diritto:

L'inammissibilità del ricorso per Cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello ma non eccepita nel grado di merito, né rilevata da quel giudice e neppure dedotta con i motivi di ricorso.

È ammissibile il ricorso per Cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza, un motivo consentito ai sensi dell'art. 606 comma 1 , lett. b) c.p.p.

Osservazioni

L'art. 129 c.p.p. è titolato Obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e stabilisce al primo comma che In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza.

Sembrerebbe dunque che il giudice di legittimità, trovandosi di fronte ad una causa di estinzione del reato quale la prescrizione debba, al pari di quanto accade per le altre ipotesi di cause estintive del reato, rilevare d'ufficio e necessariamente dichiarare la prescrizione, senza doversi interessare di eventuali ostacoli opponentisi a tale pronuncia.

L'inammissibilità dell'impugnazione ex art. 591, comma 2, lett. a), b), c), d), e, con riguardo specifico al ricorso per Cassazione quelle di cui all'art. 606, comma 3, c.p.p., è una categoria unitaria che prevede ipotesi che viziano geneticamente l'atto e che ponendosi fuori della cornice normativa di riferimento, provocano la reazione dell'ordinamento con la corrispondente sanzione ad un potere di parte non correttamente esercitato.

Il supremo Collegio con la pronuncia in commento, conferma l'indirizzo interpretativo emerso nelle precedenti pronunce delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, 22 marzo 2005, n. 23428; cass. pen., Sezioni unite, 22 novembre 2000, n. 32; Cass. pen., Sezioni unite, 27 giugno 2001, n. 33542), seguito da alcune Sezioni semplici della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., Sez. VI, 14 marzo 2014, n. 25807; Cass. pen., Sez. I, 20 gennaio 2014, n. 6693), evidenziando i termini del rapporto che intercorre tra la categoria della cause di non punibilità e l'inammissibilità del ricorso. Nella sentenza si sottolinea che in presenza di ricorso inammissibile, è impedito il passaggio al successivo grado di giudizio ed è quindi inibita la cognizione della questione e la rivisitazione del decisum per essersi ormai formato il cosiddetto giudicato sostanziale.

Occorre rilevare che nella sentenza le Sezioni unite espongono il percorso logico conducente alla soluzione negativa del contrasto, con ricche e convincenti argomentazioni, poggianti sulla ratio dei singoli istituti di natura processuale, ricostruita alla luce delle modifiche normative apportate con il codice del 1988 ( d.p.r. 447/1998). In particolare viene sottolineato che con il nuovo codice di rito si assiste al definitivo superamento della dicotomia inammissibilità originarie/sopravvenute,legata alla vigenza del codice di procedura penale del 1930 ove si distingueva il momento della dichiarazione dell'impugnazione (artt. 197 e 199 c.p.p.) e quello della presentazione dei motivi (art. 201 c.p.p.), tanto che, allo stato attuale, non solo l'unico giudice competente a dichiarare l'inammissibilità del ricorso, è il giudice dell'impugnazione ma le cause di inammissibilità sono ricomprese nell'ambito di una categoria unitaria per cui, in presenza di un atto di impugnazione invalido e quindi inidoneo ad attivare il corrispondente rapporto processuale, non è possibile riconoscere alle cause di non punibilità già maturate in sede di merito (prescrizione) una loro effettività sul piano giuridico, rimanendo le stesse relegate nella categoria di fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale.

Le Sezioni unite giungono, sostanzialmente, ad affermare l'insussistenza del potere – dovere del giudice di dichiarare le cause di non punibilità fino a quando la sentenza non sia divenuta irrevocabile e dunque l'insussistenza di un diritto – interesse dell'imputato ricorrente a far valere la prescrizione maturata in ogni caso prima della sentenza impugnata.

La soluzione adottata, si sottolinea nella sentenza, soddisfa anche un'esigenza di giustizia sostanziale poiché l'inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza, come nel caso esaminato, ha l'effetto di precludere l'accesso al rapporto di impugnazione, al fine di evitare che tale rapporto venga utilizzato come strumento processuale per procrastinare il formarsi del giudicato e sostanziale di per conseguire effetti favorevoli anche in presenza di ricorso meramente apparente .

Il Supremo Collegio esamina tutti gli argomenti utilizzati dalle Sezioni semplici, esponenti il diverso avviso giurisprudenziale e giunge alla soluzione negativa del contrasto, fornendo risposte esaustive anche in relazione alle argomentazioni dei percorsi alternativi.

In particolare tali orientamenti richiamano le specifiche ipotesi in cui le stesse Sezioni unite avevano ammesso per ogni ipotesi prevista dall'art. 129 c.p.p., che si potesse superare l'efficacia preclusiva del ricorso inammissibile, atteso che il giudice ha il potere dovere di rendere una pronunzia che non sia solo meramente enunciativa della predetta inammissibilità. In tal senso militerebbe la funzione e la stessa ratio dell'istituto della prescrizione che per effetto del decorso del tempo determina automaticamente l'estinzione del reato, e il principio di uguaglianza che esclude che possano essere trattate diversamente due situazioni giuridicamente assimilabili posto che, a parità di condanna, laddove la prescrizione non venga eccepita dalla parte o rilevata dal giudice, l'imputato andrebbe incontro alla esecuzione della pena pur essendo il reato estinto .

Il supremo Collegio, come detto, si sofferma generosamente su ciascuna delle cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., distinguendo le ipotesi di abolitio criminis, incostituzionalità della norma incriminatrice, morte dell'imputato, remissione di querela, ed evidenzia che rispetto alla prescrizione, esse hanno una struttura sostanzialmente diversa dalla prescrizione tenuto conto del regime processuale cui soggiacciono: l'abolitio criminis e la incostituzionalità della norma possono essere fatte valere infatti anche in executivis con il che se ne valorizza l'incidenza sul giudice della cognizione; l'estinzione del reato per morte dell'imputato è legata al venir meno il destinatario della pretesa punitiva; la remissione di querela interviene rispetto a reati per il quali secondo il dettato normativo, è essenziale ai fini dell' esercizio dell'azione penale, la voluntas del remittente. Quanto poi alla immediata rilevabilità della estinzione del reato per prescrizione in fase di indagini (art. 411 c.p.p.), essa è giustificata in quanto trattasi di norma ispirata alla regola di giudizio di cui all'art. 125 disp. att. c.p.p., che impone a chiusura delle indagini preliminari, di operare un vaglio degli elementi acquisiti nella loro attitudine a giustificare il rinvio a giudizio oppure l'archiviazione per la superfluità dell'accertamento giudiziale (Corte cost., n. 88/1991).

Occorre altresì sottolineare che la sentenza delle Sezioni unite affronta la collaterale questione della proposizione del ricorso che abbia anche quale unico motivo di impugnazione, quello di far rilevare l'estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza di appello.

Il supremo Consesso ha sciolto il dubbio interpretativo, che permaneva all'esito della sentenza Brancale che aveva escluso la possibilità di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d'ufficio, ritenendo che in tali casi non si sia formato il cosiddetto giudicato interno.

Ritengono le Sezioni unite che il ricorso così strutturato non può essere considerato inammissibile proprio perché volto a far valere una violazione di legge ex art. 606, lett. b) c.p.p., per l'omessa dichiarazione da parte del giudice di merito, della estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

La conclusione che può ricavarsi dalla lettura dell' autorevole pronuncia è che la soluzione fornita alla questione proposta, sia stata rintracciata su basi di natura sistematico processuale, atteso che nella sequenza del percorso argomentativo della suprema Corte, viene conferita rilevanza assoluta alla categoria (unitaria) dell'inammissibilità del ricorso ex artt. 591 e 606, comma 3, c.p.p., cui è correlato il c.d. giudicato sostanziale, salve le ipotesi derogatorie sopra citate ed ampiamente giustificate e sempre che non si tratti di ricorso inammissibile perché tardivo.

Le contrapposte esigenze interpretative, volte a far prevalere la natura sostanziale della causa estintiva della prescrizione, in quanto legata al decorso del tempo e giustificata dal principio costituzionale di uguaglianza, nella visione del supremo Collegio, non sono soccombenti in sé ma in ragione della errata attivazione del processo, dovuta alla proposizione del ricorso inammissibile o manifestamente infondato, cui consegue, quale risposta sanzionatoria dell'ordinamento, quella della non rilevabilità ex officio della causa estintiva.

Il consolidamento della decisione viziata, infatti, non è legato solo all'error iudicis ma anche alla condotta della parte processualmente interessata che propone un'impugnazione non conforme al modello legale e dunque inidonea a instaurare il grado successivo del giudizio.

Tale approccio ermeneutico si rintraccia anche nell' ulteriore principio esplicitato dalla Corte nella sentenza in commento, laddove riconosce la possibilità di rilevare per la prima volta in Cassazione la prescrizione del reato, quand'anche maturata prima del giudizio di appello, nel caso di ricorso proposto allo scopo di eccepire la mancata pronuncia tale causa estintiva.

Risulta così avallato l'orientamento delle Sezioni ordinarie che ha escluso che in tale ipotesi possa ritenersi formato il giudicato interno con conseguente inibizione dei poteri di cognizione del giudice di legittimità , in quanto il ricorso così strutturato non potrebbe essere dichiarato inammissibile perché volto a far valere una violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p., per l'omessa dichiarazione da parte del giudice di merito della estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

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BELTRANI, La rilevabilità di ufficio della prescrizione in Cassazione, in questa Rivista

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