Procurato ingresso illegale di cittadini stranieri nello Stato: sanzioni pecuniarie troppo elevate?

Redazione Scientifica
26 Giugno 2017

La Corte costituzionale, sentenza n. 142 depositata il 21 giugno 2017, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate ...

La Corte costituzionale, sentenza n. 142 depositata il 21 giugno 2017, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Gip del tribunale ordinario di Ragusa, dell'art. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. 286/1998, Disposizioni contro le immigrazioni clandestine, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.

Il giudice a quo affermava «che la disposizione censurata, nella parte in cui prevede sanzioni pecuniarie fisse per il delitto di procurato ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio dello Stato (segnatamente nella misura di una somma per ogni persona trasportata pari a euro 15.000 di multa, nell'ipotesi base, e a euro 25.000 di multa, nell'ipotesi aggravata), stabilisca pene edittali irragionevoli e contrarie alla finalità rieducativa della pena, come tali in violazione dei citati artt. 3 e 27 Cost., in quanto non ne consente l'individualizzazione in maniera proporzionata».

I giudici delle leggi rilevano in primis che le sanzioni censurate non sono fisse ma proporzionali, le quali si distinguono dalle prime perché la loro misura è correlata alla fattispecie concreta e al grado di offensività della stessa, nel caso specifico calcolata in ragione del numero di persone coinvolte, proprio per assicurare la sua modulazione aderente ai principi di ragionevolezza e di proporzione desumibili dagli articoli 3 e 27 Cost. «La proporzionalità della pena pecuniaria» si legge nella sentenza «consente di evitare inaccettabili ‘livellamenti sanzionatori', che contrasterebbero con il principio di individualizzazione della pena, insito nell'ordinamento costituzionale […]».

Ciò non comporta un'automatica costituzionalità delle sanzioni proporzionali: «Esse, infatti, come le altre sanzioni penali, potrebbero, in virtù dei parametri quantitativi e moltiplicativi previsti per i singoli casi, imporre un eccessivo e irragionevole sacrificio pecuniario, per ciò stesso censurabile da questa Corte, chiamata a garantire l'osservanza dei principi costituzionali in ogni settore dell'ordinamento».

I commi 3 e 3-ter dell'art. 12 d.lgs. 286/1998, sostiene la Corte, «individuano quali fattori da considerare nel computo della pena, elementi non irragionevoli, pertinenti e adeguati alla gravità del reato di procurato ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato: nell'ipotesi base, di cui al comma 3, la multa si calcola in ragione di 15.000 euro per ogni persona trasportata; nelle ipotesi aggravate di cui al comma 3-ter, l'entità si eleva a 25.000 euro per ogni persona.

Deve osservarsi, in particolare, che le disposizioni denunciate sono volte anzitutto, anche se non esclusivamente, a tutelare le persone trasportate, che spesso versano in stato di bisogno, anche estremo. Ne consegue che il numero delle persone coinvolte – individuato come moltiplicatore variabile della pena pecuniaria – appare idoneo a rappresentare la misura del disvalore espresso dalla condotta tenuta in concreto, considerato che si tratta di reati lesivi della dignità di ciascuna persona, oltre che di interessi generali.

Quanto al valore-base della multa, gli importi fissati non esorbitano in modo manifestamente irragionevole dalla discrezionale determinazione delle sanzioni da parte del Legislatore, dal momento che i beni giuridici tutelati non si limitano a quelli dell'ordine pubblico e della sicurezza dei confini, ma abbracciano anche i diritti fondamentali delle persone trasportate o illegalmente introdotte nel territorio dello Stato italiano, le quali non di rado sono esposte a pericolo di vita e di incolumità fisica nonché a trattamenti inumani e degradanti, a scopo di profitto.

Si deve, perciò, escludere quella evidente irragionevolezza o arbitrarietà della scelta legislativa sulla misura della pena che può giustificare l'esercizio dei poteri di annullamento della Corte costituzionale».

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