La nuova causa di estinzione del reato conseguente a riparazione

26 Giugno 2017

La Riforma Orlando incide su plurimi aspetti sostanziali e procedurali e, tra le varie modifiche, introduce una nuova causa di estinzione del reato: la riparazione per tutti i reati a querela remittibile (art. 162-ter c.p.).
Abstract

Il testo di legge, approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati il 14 giugno 2017 e recante Modifiche al codice penale, di procedura penale e all'ordinamento penitenziario, meglio noto come Riforma Orlando, incide su plurimi aspetti sostanziali e procedurali e, tra le varie modifiche, introduce una nuova causa di estinzione del reato: la riparazione per tutti i reati a querela remittibile (art. 162-ter c.p.). Evidente è la finalità deflattiva e rieducativa dell'istituto, nonché lo scopo sotteso alla novella: attuare il diritto penale minimo, alla stregua del principio di extrema ratio del ricorso alla sanzione penale.

La struttura normativa, tuttavia, presenta alcune insidie che appare opportuno analizzare.

Inquadramento generale

L'art. 162-ter c.p., disciplina un istituto già noto nella giurisdizione di pace, la riparazione come causa di estinzione del reato; il primo comma della norma, infatti, recita: «nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l'imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato».

Nel delineare i tratti generali della causa di estinzione in esame, si riscontra che l'istituto ha carattere soggettivo, in quanto è applicabile al solo imputato che adempie la condotta riparatoria; hauna portata generale, ossia è applicabile ad un numero indeterminato di reati (nello specifico tutti quelli a querela remittibile). Inoltre, la riparazione si effettua mediante restituzioni, risarcimento e – ove possibile – eliminazione delle conseguenze dannose edè previsto un termine perentorio entro cui porre in essere il comportamento riparatorio (nel caso di specie prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, salvo la proroga delineata dal comma 2 dell'art 162-ter c.p.).

La norma, altresì, prevede la necessaria audizione delle parti e della persona offesa, senza conferire a quest'ultima alcun potere di veto, in modo da svincolare il beneficio dall'eventuale dissenso della vittima. L'assenza di un potere preclusivo in capo all'offeso tutela – di fatto – l'imputato da «un'indebita volontà punitiva del querelante, nei confronti del quale siano state efficacemente poste in essere le condotte riparatorie» (si veda anche la relazione governativa al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, p. 37). Pertanto, il giudice ha un vero e proprio potere di scavalcamento della volontà punitiva del querelante.

Va segnalato che, al fine di evitare problemi di diritto intertemporale, i commi 2 e ss. del testo di legge prevedono l'applicabilità della causa di estinzione a tutti i processi in corso (fatta eccezione per il giudizio di legittimità).

Delineati i tratti generali dell'istituto, appare opportuno analizzare alcuni aspetti che appaiono critici.

Ambito di applicazione

Nel concentrarci preliminarmente sull'ambito di applicabilità dell'istituto, si rileva che questo, circoscritto ai reati a querela remittibile, appare estremamente mesto, soprattutto in considerazione dell'operabilità, per tali categorie di reati, dell'istituto della remissione di querela. Infatti, il beneficio in esame rischia di residuare nelle sole ipotesi in cui la vittima, adeguatamente risarcita dei danni subiti, desista dal rimettere la querela e persista nella sua volontà punitiva.

È opportuno segnalare che l'originaria proposta normativa prevedeva, attraverso l'introduzione dell'art. 649-bis c.p., l'estensione del beneficio anche ad alcuni reati contro il patrimonio procedibili d'ufficio, quali quelli rubricati dagli artt. 624 c.p., nei casi aggravati dal primo comma dell'art. 625 c.p. ai numeri 2, 4, 6, 8-bis; nonché ai delitti di cui agli artt. 636 e 638 c.p. Nel corso dei lavori parlamentari l'art. 649-bis c.p.è stato soppresso, limitando così l'ambito di applicabilità ai soli reati procedibili a querela soggetta a remissione.

A ben vedere, sarebbe stato auspicabile un ampliamento dell'ambito di applicazione, al fine di consentire un ricorso maggiore all'istituto, in modo da estendere la causa di estinzione sia ai reati contri il patrimonio (fatta eccezione delle ipotesi più gravi, si pensi agli artt. 628, 629, 630, 644, 648-bis, 648-ter, c.p. nonché nei casi di delitti contro il patrimonio commessi con violenza sulle persone), sia alle contravvenzioni non oblabili.

La riparazione integrale

La novità in esame espressamente prevede che l'imputato ripari interamenteil danno cagionato dal reato, riaprendo la questione circa l'effettivo oggetto della condotta: integralità rispetto al danno criminale o al danno civile?

Invero, tale seconda interpretazione comporterebbe non poche problematiche applicative: preliminarmente, si rischia di far sorgere in capo al giudice (penale) l'onere di quantificare interamente il danno civile; inoltre, manca la previsione di una preclusione per la vittima, integralmente risarcita, ad agire nell'eventuale giudizio civile; infine, prevedendo una riparazione onnicomprensiva di tutti i danni (compreso il lucro cessante, il mancato guadagno) si correrebbe il concreto pericolo di aver creato un istituto premiale per il solo imputato benestante.

Nel propendere per un'interpretazione in linea con le finalità dell'istituto, si ritiene più conforme al dettato normativo la previsione di una riparazione integrale del danno criminale e, in ultima analisi, proporzionata rispetto alle esigenze di prevenzione e riprovazione nel reato (Per un'analisi dei precedenti sulla specifica questione sorta in relazione all'art. 35 d.lgs. 274/2000, si segnala Cass. pen., Sez. unite, 23 aprile 2015, n. 33864). In tal modo, gli ulteriori diritti risarcitori della persona offesa, inerenti alle pretese civilistiche, non sarebbero lesi, non essendo a questa preclusa la possibilità di agire in sede civile.

Problemi applicativi

Introducendo l'art. 162-ter c.p., il Legislatore ha però omesso una specifica disciplina procedurale, ovvero di richiami al codice di rito. Plurime, pertanto, appaiono le questioni aperte relative al modus operandi della causa di estinzione in esame.

Nella disciplina del termine perentorio (la riparazione va adempiuta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento), si riscontra un vuoto normativo relativamente all'ipotesi in cui sia stato emesso un decreto penale di condanna, lasciando aperta la questione circa la possibilità di ricorrere all'istituto della riparazione estintiva con l'atto di opposizione (e in tal caso andrebbe integrata la disciplina degli avvisi di cui all'art. 460, lett. e) c.p.p.).

Ma anche l'audizione della persona offesa non appare scevra da criticità, infatti, la norma attribuisce a questa il diritto di interloquire, tuttavia, nulla si dispone nel caso in cui l'offeso non compaia (l'assenza sarebbe equiparabile all'esercizio del diritto di non essere sentito?), né si specifica se la mancata audizione della vittima, presente in udienza, possa costituire motivo di impugnazione, alla stregua di quanto è espressamente previsto nella disciplina della messa alla prova per adulti (art. 464-quater,comma 7, c.p.p.).

Relativamente ai poteri del giudice, si rileva che una prima criticità attiene all'assenza – prima che il giudice si pronunci sull'estinzione del reato per riparazione – di un esplicito richiamo all'art. 129 c.p.p. Un'integrazione sul punto sarebbe stata necessaria, apprendo imprescindibile una valutazione sui presupposti per l'applicazione del proscioglimento con le formule di cui all'art. 129 c.p.p.

Inoltre, appare estremamente generica la disciplina inerente ai criteri valutativi del giudice. La proposta normativa, infatti, collega la dichiarazione di estinzione ad una sommaria valutazione positiva delle condotte riparatorie, senza prevedere parametri più specifici come, invece, accade nell'ipotesi di cui all'art. 35 del d.lgs 274/2000 (ove si collega l'effetto estintivo all'adempimento di una condotta riparatoria idonea a soddisfare le esigenze di prevenzione e riprovazione nel reato). La generale previsione indicata nella proposta in esame (il giudice dichiara l'estinzione del reato all'esito positivo delle condotte riparatorie) lascia aperte diverse questioni, poiché non è dato comprendere se il giudice sia chiamato valutare la riparazione in base al grado di colpa, al fatto di reato, alle esigenze sia preventive che rieducative, ovvero se l'assenza di criteri tassativamente indicati renderà del tutto arbitraria e discrezionale l'applicazione del beneficio, con evidenti criticità in ordine alla proporzionalità della riparazione rispetto al fatto e alle esigenze rieducative.

Inoltre, il Legislatore non ha specificato la forma del provvedimento nel caso in cui il giudice ritenga non positiva la condotta riparatoria ai fini della dichiarazione di estinzione del reato, né si stabilisce se questo debba avere dei requisiti motivazionali. Non è neanche previsto se, «fallita» la condotta riparatoria, l'imputato possa opzionare per gli altri riti premiali (patteggiamento, oblazione, messa alla prova, ecc). Nello specifico, la problematica attiene alla coincidenza tra il termine finale per adempiere alla riparazione e quelli entro i quali possono essere richiesti gli altri riti premiali. Infatti, non è dato comprendere se l'intento del legislatore sia quello di prevedere alternatività, ovvero incompatibilità, tra riti strettamente connessi a scelte dell'imputato.

Altro dubbio attiene all'assenza di una disciplina in tema di acquisizione di prove durante il periodo di sospensione; infatti, nel caso in cui il processo venga sospeso per consentire la riparazione (sospensione che può durare fino sei mesi), non si disciplina alcuna ipotesi di acquisizione delle prove non rinviabili.

Emblematica è l'assenza di disciplina nel caso in cui l'indagato adempia una condotta riparatoria, infatti, l'attuale dettato normativo non legittima una richiesta di archiviazione in tale ipotesi, stante l'assenza di una espressa deroga al principio di cui all'art. 112 Cost.

Invero, ben si poteva pensare ad una modifica dell'art. 411 c.p.p., in modo da integrarlo, non solo con l'ipotesi recentemente introdotta di non punibilità per tenuità del fatto (d.lgs. 28 del 16 marzo 2015) ma anche con quella di estinzione del reato conseguente a riparazione, introducendo, altresì, l'obbligo di informativa (già introdotto per l'istituto della messa alla prova, ex art. 141-bis c.p.p.).

Tali vuoti normativi lasciano intravedere numerose criticità applicative dell'istituto.

Coordinamento

Va segnalata l'assenza di coordinamento non solo tra la nuova norma e le cause di estinzione per riparazione preesistenti (ex plurimis l'art. 35 d.lgs. 274/2000) ma soprattutto tra l'istituto di pronta introduzione e tutti gli altri istituti premiali.

Infatti, sono state recentemente introdotte diverse ipotesi di non punibilità, che si aggiungono a quelle preesistenti: non punibilità per tenuità del fatto e messa alla provaper adulti; oltre alle ipotesi preesistenti di oblazione (sia obbligatoria che facoltativa), patteggiamento, giudizio abbreviato. La mancanza di coordinamento tra le diverse ipotesi premiali rischia di concretizzare il pericolo di impunità per l'imputato, anche in considerazione del fatto che non sussistono limiti all'utilizzo del beneficio dell'estinzione del reato per riparazione.

In conclusione

Le problematiche segnalate non rendono l'istituto meno appetibile, tuttavia, emergono plurime lacune determinate dall'assenza di una disciplina processuale e dalla mancanza di coordinamento con le ipotesi previgenti e con gli altri istituti premiali. A ben vedere, la pregnante esigenza di ridurre dei tempi processuali, unita alla volontà di riservare il processo penale solo a reati più gravi, rischia di comprimere, o peggio disperdere, le garanzie dell'imputato, prima fra tutte il diritto di difesa e il principio di uguaglianza.

Guida all'approfondimento

Per un approfondimento sulla causa di estinzione per riparazione:

R. BARTOLI, Le definizioni alternative del procedimento, in ,in Dir. pen. proc., 2001, n. 2, pp. 172-189;

N. GALATINI, La disciplina processuale delle definizione alternative del procedimento innanzi al giudice di pace, in L. Picotti - G. Spangher, (a cura di), Verso una giustizia penale conciliativa, cit. pag. 266.;

S. GUERRA, L'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, in A. Scalfati, Il giudice di pace, un nuovo modello di giustizia penale, Padova, 2001, 504;

O. MURRO, Riparazione del danno ed estinzione del reato, Padova, 2016

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