Anche l'assolto può avere interesse a impugnare la sentenza

Redazione Scientifica
26 Agosto 2016

La Corte di cassazione ha ribadito il principio secondo cui deve essere riconosciuto in capo all'imputato il diritto ad impugnare una sentenza di proscioglimento al fine di ottenere una assoluzione con una formula più favorevole, quali sono “il fatto non sussiste” e “l'imputato non lo ha commesso”, perché totalmente liberatoria ovvero perché produttiva di effetti extrapenali più vantaggiosi o meno pregiudizievoli.

La Corte di cassazione, Sez. III, con sentenza n. 35277, depositata il 23 agosto 2016, ha ribadito il principio secondo cui deve essere riconosciuto in capo all'imputato il diritto ad impugnare una sentenza di proscioglimento (nel caso di specie “perché il fatto non costituisce reato”) al fine di ottenere una assoluzione con una formula più favorevole, quali sono “il fatto non sussiste” e “l'imputato non lo ha commesso”, perché totalmente liberatoria ovvero perché produttiva di effetti extrapenali più vantaggiosi o meno pregiudizievoli.

I giudici di legittimità hanno così chiarito che l'interesse richiesto dall'art. 568, comma 4, c.p.p. come condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione deve essere riferito agli effetti primai e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste ogniqualvolta il gravame sia idoneo a costituire, mediante l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente.

Le formula il fatto non sussiste e il fatto non è stato commesso dall'imputato, infatti, escludono l'esistenza stessa del fatto, prima ancora della sua riferibilità oggettiva e psicologica al preteso autore. Tutte le altre formule, per quanto assolutorie, attribuiscono all'imputato un fatto, o comunque non ne escludono l'attribuzione, che può non costituire reato, ma, tuttavia, può comportare un giudizio sfavorevole da parte dell'opinione pubblica o dalla coscienza sociale.

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