Rimessa alle Sezioni unite la questione su quale rito seguire in caso di ricorso per Cassazione ex art. 325 c.p.p.

26 Ottobre 2015

Quando il ricorso per Cassazione non è proposto contro un provvedimento emesso nel dibattimento o contro una sentenza deliberata ex art. 442 c.p.p., il rito ordinario davanti alla Corte di cassazione è quello camerale con il solo contraddittorio scritto, secondo la disciplina dell'art. 611 seconda e terza parte. Il rito camerale partecipato, nelle forme dell'art. 127 c.p.p. e in particolare con l'intervento orale delle parti, costituisce un'eccezione, che deve essere espressamente prevista dal legislatore.
Massima

Quando il ricorso per Cassazione non è proposto contro un provvedimento emesso nel dibattimento o contro una sentenza deliberata ex art. 442 c.p.p., il rito ordinario davanti alla Corte di cassazione è quello camerale con il solo contraddittorio scritto, secondo la disciplina dell'art. 611 seconda e terza parte. Il rito camerale partecipato, nelle forme dell'art. 127 c.p.p. e in particolare con l'intervento orale delle parti, costituisce un'eccezione, che deve essere espressamente prevista dal legislatore.

Il caso

A seguito di ricorso per cassazione avverso un'ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva confermato un decreto di sequestro probatorio, il procedimento giunge all'udienza davanti alla Corte dicCassazione con rito camerale non partecipato ex art. 611 c.p.p.

Il Procuratore Generale evidenziando la permanente efficacia dell'insegnamento di Sezioni unite n. 14/1993, sia per l'assenza di modifiche al quadro normativo, sia alla luce dell'orientamento della giurisprudenza comunitaria (per tutte Corte Edu 29 ottobre 2013, Vardara c. Italia e 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia) ed in considerazione del carattere afflittivo dell'ablazione reale affine, nella sostanza, alle misure sanzionatorie, ha presentato conclusioni scritte con le quali ha richiesto la fissazione di udienza camerale ex art. 127 c.p.p. o, in subordine, la remissione degli atti alle Sezioni unite.

La Corte di cassazione ha ritenuto di dover trattare, pregiudizialmente, la questione sollevata dal procuratore generale sul rito da seguire per deliberare sul ricorso che, di fatto, costituisce un'eccezione di nullità dell'udienza, fissata ex art. 611 c.p.p., per violazione del contradditorio.

Dopo aver enunciato il principio espresso nella massima, la Sezione VI della suprema Corte, non condividendo il consolidato orientamento delle Sezioni unite, n. 14/1993, richiamato dal procuratore generale, evidenzia come il legislatore, nello stabilire quali ricorsi debbano essere trattati con il rito camerale partecipato, o meno, abbia operato una consapevole scelta sistematica coerente con l'alto tasso di tecnicismo che contraddistingue il giudizio in Cassazione.

In motivazione

Nel giudizio in Cassazione non trova spazio alcuno tutto ciò che attiene alla mera persuasività ed al libero convincimento, propri, invece, del giudizio di merito e specifico ambito di influenza orale. […] Né può dirsi che il rito camerale partecipato sia connotato indefettibile della maggior rilevanza dei beni/interessi giuridici o di fatto che caratterizzino oggettivamente le singole fattispecie, per ragioni di “struttura” (libertà, patrimonio, ecc.) o per la contingenza del caso concreto. […] Le variabili che collegano, pertanto, l'interesse/bene giuridico al rito sono diverse (attenendo ai limiti del ricorso, alla sua qualità, alla non palesemente irrazionale discrezionale diversità di apprezzamento del legislatore) e di caratteristiche tali da impedire appunto alcun abbinamento proprio di teorici automatismi esito di mera attività interpretativa. Quanto poi ai provvedimenti che incidono sul patrimonio, già sul piano astratto/sistematico parrebbe francamente arbitrario operare una articolata distinzione dei riti secondo una presunta oggettiva (ma in realtà solo discrezionale) differenziazione qualitativa (ad esempio tra varie tipologie di sequestri o di soggetti interessati), rispetto ad una realtà che, invece, è in sé e oggettivamente la medesima: la provvisoria sottrazione ad un soggetto della libera disponibilità di un determinato bene.

Il ricorso per Cassazione avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali è disciplinato dall'art. 325 c.p.p. Tale norma prevede, al comma 1 la limitazione del contenuto del ricorso: può essere proposto solo per violazione di legge (e non per tutti i casi previsti dall'art. 606, comma 1). Il comma 2 disciplina la facoltà del ricorso immediato contro il provvedimento genetico, alternativo alla richiesta di riesame. Il comma 4 prevede che il ricorso non sospenda l'esecuzione dell'ordinanza impugnata. Il comma 3 dell'art. 325 dispone che Si applicano le disposizioni dell'art. 311, commi 3 e 4. Il comma 3 (art. 311) indica dove deve essere presentato il ricorso, l'informazione della sua presentazione all'autorità procedente, l'invio degli atti alla corte di cassazione. Il comma 4 (art. 311) prevede che: i motivi devono essere contestuali alla dichiarazione di impugnazione; il ricorrente ha facoltà di enunciare motivi nuovi davanti alla corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione. L'art. 325, pertanto, nel momento in cui individua la disciplina autonoma e specifica dell'ambito, delle modalità e del rito del ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di cautela reale, emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 c.p.p., confrontandosi con la diversa disciplina del ricorso per cassazione avverso le misure cautelari personali, non richiama il comma 5 dell'art. 311. Questo comma […] contiene espressa previsione del rito camerale partecipato, così disponendo: La corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'art. 127.

La questione

La questione in esame è la seguente: se il ricorso per Cassazione proposto avverso ordinanze del riesame o dell'appello cautelare che abbiano deliberato in materia di sequestro preventivo (ai sensi degli artt. 322, 322-bis, 324 e 325 c.p.p.) debba essere trattato secondo il rito camerale non partecipato previsto dall'art. 611 o nelle forme dall'art. 127 c.p.p. che garantisce i benefici della partecipazione, della comunicazione e della contrapposizione dialettica.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Sezione VI della Corte di cassazione, il mancato espresso richiamo dell'art. 325 c.p.p., al comma 5 dell'art. 311 c.p.p., rende inoperante la trattazione dei ricorsi in materia cautelare reale secondo il rito partecipato disciplinato dall'art. 127 c.p.p.

La Corte decide, quindi, di mettere in discussione il risalente e consolidato orientamento delle Sezioni unite n. 4/1990, Serio e n. 14/1993, secondo il quale anche i ricorsi ex art. 325 c.p.p. vanno trattati con il rito partecipato.

L'orientamento delle Sezioni unite fonda il proprio convincimento dal rinvio operato dall'art. 325, comma 3 all'art. 311, comma 4 che prevede la possibilità di presentare motivi nuovi sino al momento prima dell'inizio della discussione. L'espresso riferimento alla “discussione” appare, infatti, in contrasto con un contradditorio meramente cartolare, quale quello previsto dall'art. 611 c.p.p. Il mancato rinvio all'art. 311, comma 5, rende inoperante alla materia cautelare reale esclusivamente il termine di 30 giorni entro il quale la Corte deve decidere il ricorso.

Le decisone in esame ritiene che l'orientamento espresso dalle Sezioni unite introduca un criterio ermeneutico discutibile, in quanto spezza in due il precetto di cui all'art. 311, comma 5. La norma prevede, infatti, che la decisone debba intervenire entro trenta giorni e che debba essere adottata osservando le forme previste dall'art. 127 c.p.p. Le Sezioni unite ritengono applicabile il rito camerale partecipato per il solo riferimento operato dall'art. 311, comma 4 (richiamato dall'art. 325) alla “discussione”, mentre escludono l'applicabilità del termine di trenta giorni per la decisione in quanto il comma 5 dell'art. 311 non è richiamato dall'art. 325 c.p.p. La Corte di Cassazione ritiene irrilevante il riferimento normativo alla “discussione”, dovendosi intendere con tale termine: “udienza” (camerale non partecipata).

Secondo la Corte, tale scissione non è accettabile. L'art. 311, comma 4, introdurrebbe esclusivamente un'eccezione alla disciplina dell'art. 127, comma 2, c.p.p. (che l'art. 311, comma 5 dichiara applicabile per i ricorsi in materia cautelare personale) per il deposito di memorie (fino all'udienza invece che sino a quindici giorni prima dell'udienza). Resterebbe, per il resto, esclusa l'applicazione del rito partecipato in virtù del mancato richiamo all'art. 311, comma 5.

L'evidenziata discrasia tra l'art. 325, comma 5 e l'art. 311, comma 4 giustifica la possibilità che la questione possa essere decisa in modo difforme da quanto, sino ad oggi, sostenuto in ossequio al risalente orientamento della giurisprudenza delle Sezioni unite.

Osservazioni

La pronuncia in esame si pone criticamente rispetto al consolidato orientamento delle Sezioni unite invocando un approccio ermeneutico sistematico e di rigore rispetto al combinato disposto degli artt. 311 e 325 c.p.p.

Tuttavia, la diversa soluzione prospettata dalla Corte non convince in quanto, a propria volta, non valorizza il dettato normativo dell'art. 311, comma 4. Ribaltando il criterio interpretativo seguito dalle Sezioni unite, la Corte di Cassazione ritiene che l'integrale contenuto dell'art. 311, comma 4, assuma senso solo alla luce del comma successivo. La possibilità di presentare motivi nuovi fino all'inizio della discussione sarebbe strettamente correlato alla previsione di soli trenta giorni per la trattazione del ricorso e la decisione. I commi 4 e 5 dell'art. 311 c.p.p. sarebbero, quindi, strettamente correlati e funzionali l'uno all'altro. Secondo la Corte l'adozione del rito non partecipato, garantirebbe, comunque, il rispetto del contraddittorio scritto, pieno e discrezionale, in un contesto di sola violazione di legge.

La questione sarà decisa dalle Sezioni Unite il prossimo 17 dicembre.

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