Il diritto alla presenza nelle udienze camerali

27 Aprile 2016

La Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze della mancata traduzione davanti all'autorità del soggetto detenuto al di fuori della circoscrizione del giudice procedente, il quale abbia tempestivamente manifestato la sua volontà di partecipare all'udienza camerale.
Massima

La mancata traduzione all'udienza camerale d'appello, perché non disposta o non eseguita, dell'imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, anche al di fuori della circoscrizione del giudice procedente, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza.

Il caso

Il ricorrente, giudicato con rito abbreviato per il delitto di cui all'art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, veniva condannato alla pena di quattro anni e due mesi di reclusione e 22 mila euro di multa. Tale pronuncia veniva confermata dalla Corte di appello di Napoli. Avverso quest'ultima decisione egli proponeva ricorso per Cassazione deducendo, tra gli altri motivi, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 178 lett. c) e 179 c.p.p. Il Collegio d'appello aveva, infatti, proceduto, in sua assenza, sebbene egli, detenuto in carcere, avesse chiesto tempestivamente di essere tradotto per quella data e la Corte avesse disposto in conformità alla sua richiesta.

La questione

La Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze della mancata traduzione davanti all'autorità del soggetto detenuto al di fuori della circoscrizione del giudice procedente, il quale abbia tempestivamente manifestato la sua volontà di partecipare all'udienza camerale.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha ritenuto che la mancata traduzione all'udienza camerale dell'imputato che abbia manifestato in qualsiasi modo la sua volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, anche al di fuori della circoscrizione del giudice procedente, è causa di nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza.

Tale soluzione si fonda su una interpretazione rigorosa dell'art. 599, comma 2, c.p.p. il quale prevede che l'udienza sia rinviata in caso di legittimo impedimento dell'imputato che abbia manifestato la volontà di comparire. La mancata traduzione dell'imputato il quale ha chiesto di comparire davanti all'autorità equivale a legittimo impedimento e, dunque, impone il rinvio dell'udienza. Si tratta di una lettura che con il garantire il diritto alla partecipazione al giudizio di merito dell'imputato appellante, che abbia manifestato una volontà in tale senso, appare più conforme ai principi del giusto processo e del contraddittorio sanciti dall'art. 111 Cost. oltre che ai principi sanciti nell'art. 6 della Cedu e nell'art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici

Osservazioni

Con la sentenza in esame la Cassazione ha ribadito, ove fosse necessario, che anche il detenuto fuori distretto che abbia manifestato la sua volontà di comparire all'udienza camerale d'appello, deve essere sempre tradotto davanti all'autorità.

Se la giurisprudenza è sempre stata concorde nel riconoscere il diritto ad assistere all'udienza all'imputato libero o detenuto nella stessa circoscrizione del giudice che procede il quale abbia espresso la volontà di comparire (Cass. pen., Sez. V, 3 luglio 2002, n. 32366; Cass. pen., Sez. IV, 31 marzo 1998, n. 4366) assicurandogli, a fronte di un legittimo impedimento tempestivamente dedotto, il rinvio dell'udienza ex art. 599, comma 2, c.p.p., qualche divergenza si era, invece, registrata in merito alla riconoscibilità del medesimo diritto all'imputato detenuto in circoscrizione diversa da quella del giudice procedente. Una parte della giurisprudenza riteneva, infatti, che dovesse applicarsi la norma dell'art. 127, commi 3 e 4, c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, 5 luglio 1999, n. 9563; Cass. pen., Sez. I, 13 novembre 1995, n. 11894). Più di recente, la giurisprudenza sembra, invece, unanime nell'affermare che l'imputato, il quale abbia tempestivamente manifestato la volontà di comparire ha diritto di presenziare all'udienza in qualunque istituto si trovi ristretto e quindi anche se detenuto o internato in un diverso distretto di Corte d'appello (in questo senso anche Cass. pen., Sez. un., 24 giugno 2010, n. 35399, nonché Cass. pen., Sez. IV, 21 giugno 2013, n. 51517).
Ne consegue che deve essere disposta la traduzione dell'imputato e che se questa non è eseguita si deve ritenere sussistente un legittimo impedimento tale da richiedere il rinvio dell'udienza ex art. 599, comma 2, c.p.p. Tale conclusione si basa su una più rigorosa interpretazione letterale e sistematica della disposizione specifica per il giudizio camerale in grado di appello, di cui all'art. 599, comma 2, c.p.p., disposizione che oltre a non riproporre l'inciso e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice contenuto nell'art. 127, comma 4, c.p.p. è destinata a prevalere in quanto norma speciale sulla disciplina generale di cui all'art. 127 c.p.p. (Cass. pen., Sez. I, 8 febbraio 2006, n. 6970; Cass. pen., Sez. V, 6 giugno 2002, n. 28867; Cass. pen., Sez. II, 7 dicembre 2001, n. 209).

Si tratta, peraltro, di una impostazione in linea con le ultime tendenze normative volte a rafforzare il diritto alla presenza processuale.

È appena il caso di ricordare, infatti, che la l. 47/2015 è intervenuta sull'art. 309 c.p.p. modificando rispettivamente i commi 6 (Con la richiesta di riesame … l'imputato può chiedere di comparire personalmente) e 8-bis (L'imputato che he abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente) al fine di riconoscere in modo inequivoco il diritto del ricorrente, che abbia formulato la relativa richiesta, di comparire all'udienza camerale, fissata per la trattazione del riesame, anche se eventualmente detenuto fuori dal distretto.

L'obiettivo è stato quello di sopire definitivamente i contrasti, all'interno della Cassazione, circa l'esistenza e l'ampiezza del diritto del detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del tribunale di presenziare, su sua richiesta, all'udienza davanti al tribunale della libertà.

Invero, secondo un primo orientamento, fedele agli insegnamenti della Corte costituzionale (Corte cost. n. 45/1991), qualora l'interessato, detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del tribunale, avesse avanzato la richiesta di essere sentito personalmente, l'organo sarebbe stato vincolato, a pena di nullità, a disporne obbligatoriamente la traduzione in udienza, a pena di nullità assoluta e insanabile dell'udienza e del provvedimento conclusivo (Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2012, n. 22959; Cass. pen., Sez. VI, 22 gennaio 2008, n. 10319; Cass. pen., Sez. II, 4 dicembre 2006, n. 1099). Altro orientamento riteneva, invece, non sussistere, in capo all'indagato detenuto in luogo esterno alla circoscrizione, un diritto incondizionato ad essere ascoltato all'udienza fissata per il riesame ma solo quello di essere sentito dal magistrato di sorveglianza, salva comunque la possibilità per il giudice del riesame di accogliere la richiesta di audizione qualora non la ritenesse del tutto defatigatoria e di ostacolo al rispetto dei termini fissati dalla procedura per la decisione dell'impugnazione (Cass. pen., Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 39834; Cass. pen., Sez. IV, 29 maggio 2013, n. 26993).

Guida all'approfondimento

GRILLI, Sulla partecipazione dell'imputato detenuto fuori distretto al procedimento d'appello in camera di consiglio, in Cass. pen. 2004, 890;
PAULESU, Procedimento in camera di consiglio e autodifesa dell'imputato detenuto, in Cass. pen. 2003, p. 1230;
SAPONARO, Sul diritto dell'imputato di partecipare all'udienza ex art. 599, comma 2 c.p.p., in Giur. Cost. 2003, p. 1767.

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