Il giudice dell'esecuzione può revocare la sentenza di condanna per abolitio criminis implicita

Redazione Scientifica
27 Giugno 2016

Il giudice dell'esecuzione può revocare, ai sensi dell'art. 673 c.p.p. una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorché l'evenienza di abolitio criminis non sia stata rilevata dal giudice della cognizione.

Il giudice dell'esecuzione può revocare, ai sensi dell'art. 673 c.p.p. una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorché l'evenienza di abolitio criminis non sia stata rilevata dal giudice della cognizione.

Lo hanno deciso le Sezioni unite della Corte di cassazione con sentenza n. 26259, depositata il 23 giugno 2016, così risolvendo il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine alla possibilità per il giudice dell'esecuzione di revocare per abolitio criminis implicita una sentenza di condanna.

Nel caso di specie la condanna era stata emessa nei confronti di uno straniero irregolare per il reato di cui all'art. 6, comma 3, T.U. immigrazione, successivamente alle modifiche apportate a tale articolo dalla l. 94/2009 ed all'interpretazione fornita dalle Sezioni unite, per le quali soggetto attivo del reato può ormai essere il solo straniero regolarmente soggiornante (Cass. pen., Sez. unite, 24 febbraio 2011, n. 16453).

A seguito di quest'ultima pronuncia delle Sezioni unite, si è determinato un contrasto interpretativo in ordine alla possibilità di revocare in sede esecutiva ex art. 673 c.p.p. le sentenze di condanna emesse dopo l'entrata in vigore della novella legislativa. Tale questione, dalla Sezione rimettente riferita alle sole ipotesi relative ai fatti commessi da stranieri irregolari, è, secondo i giudici di legittimità, da ricollegare sul piano più generale dei rapporti tra l'esigenza di stabilità del giudicato e la tutela dei principi costituzionalmente rilevanti della parità del trattamento punitivo e della legalità della pena.

Un primo orientamento sosteneva l'inapplicabilità dell'art. 673 c.p.p. nel caso di abrogazione implicita derivante da un mutamento giurisprudenziale, il quale non può costituire ius superveniens, anche se conseguente a pronuncia delle Sezioni unite: un orientamento giurisprudenziale, pur autorevolmente espresso dalle Sezioni unite, difetta di vincolatività nei confronti dei giudici chiamati ad occuparsi di analoghe fattispecie e, pertanto, l'abrogazione di una norma avvenuta in via interpretativa non può equivalere all'abrogazione avvenuta per scelta legislativa ovvero per eliminazione dall'ordinamento per contrasto con i principi della Carta costituzionale (Cass. pen., 34154/2014; Cass. pen., 34153/2014; Cass. pen. 13411/2013; Cass. pen. 27858/2006; Cass. pen. 27121/2006).

Secondo altro orientamento, condiviso dalle Sezione unite, l'art. 673 c.p.p. deve applicarsi, indipendentemente dal tempo in cui è emessa la sentenza di condanna, se prima o dopo l'abrogazione della stessa, in quanto espressione del superiore interesse dell'ordinamento a che nessuno risulti condannato per un reato non più previsto come tale dalla legge e, quindi, anche nel caso di giudicato formatosi successivamente al tempo dell'intervenuta abrogazione. La sentenza infatti deve essere revocata per abolizione del reato e non per mero mutamento giurisprudenziale (Cass. pen. 12982/2014; Cass. pen., 16738/2014; Cass. pen., 37976/2013; Cass. pen. 13621/2014).

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