La compatibilità della seminfermità di mente col dolo eventuale

Alessio Innocenti
27 Luglio 2015

La capacità di intendere e volere del soggetto autore di reato, sebbene costituisca un presupposto della colpevolezza, si pone su di un piano diverso rispetto all'elemento psicologico in senso stretto, ovvero il dolo o la colpa.
Massima

1. La capacità di intendere e volere del soggetto autore di reato, sebbene costituisca un presupposto della colpevolezza, si pone su di un piano diverso rispetto all'elemento psicologico in senso stretto, ovvero il dolo o la colpa.

2. La reciproca autonomia concettuale che caratterizza il rapporto tra il vizio di mente, che esclude o attenua la capacità di intendere e volere, e l'elemento psicologico del reato e, segnatamente, il dolo, fa si che il vizio parziale di mente risulti compatibile con il dolo eventuale.

Il caso

La sentenza in commento ha ad oggetto una complessa vicenda processuale che vedeva il ricorrente imputato per aver appiccato il fuoco, in data 24 novembre 2008, presso un circolo privato di Genova, cagionando la morte e il ferimento di diverse persone. In particolare, egli, dopo essere stato escluso da un torneo di poker e dopo essersi visto rifiutare una birra, si era allontanato dal circolo, per poi tornare cospargendo di benzina i locali dell'esercizio con l'uso di una tanica che si era nel frattempo procurato. Il prevenuto aveva manifestato il proposito di appiccare il fuoco, invitando i presenti ad allontanarsi. Ciò nonostante, due tra i presenti, che non erano riusciti a sottrarvisi, perdevano la vita; altri soggetti, compreso lo stesso imputato, avevano inoltre riportato lesioni.

In data 08 aprile 2010, il G.U.P. del tribunale di Genova dichiarava la colpevolezza dell'imputato condannandolo in primo grado alla pena di anni 16 di reclusione per il delitto di strage.

L'11 aprile 2011, la Corte di appello di Genova riformava la sentenza emessa dal G.U.P. riqualificando l'addebito nei distinti reati di incendio ed omicidio (ex artt. 423, 586 e 589 c.p.), con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio in anni 10 di reclusione.

In entrambi i gradi di giudizio, il computo della pena risultava condizionato dal riconoscimento della diminuente prevista dall'art. 89 c.p., essendo risultato l'imputato – all'esito di accertamenti peritali sullo stato di mente all'epoca del fatto – solo parzialmente capace di intendere e di volere.

La sentenza di appello veniva annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, a seguito di ricorso per cassazione promosso dal procuratore generale di Genova, nonché dalla difesa di parte civile, con sentenza n. 26876 del 09 maggio 2012 della prima Sezione.

Il giudice di legittimità aveva ritenuto contraddittoria la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui aveva riportato nell'ambito del reato colposo le morti dei due malcapitati, sulla base di un incedere del tutto squilibrato, che accredita invero l'ipotesi del dolo eventuale.

In data 27 febbraio 2013, a seguito di rinvio, veniva pronunciata nuova sentenza in grado d'appello da parte della Corte di assise di appello di Milano che riqualificava ulteriormente l'addebito sub a) – recante l'iniziale contestazione del delitto di strage – ai sensi degli artt. 81, 423, 575, 577 comma 1, n. 4, 61, n. 1, c.p., ritenendovi assorbito il reato di tentato omicidio in danno dei due soggetti deceduti, erroneamente contestato, ed escludendo invece la configurabilità dell'omologo tentativo nei riguardi di tutte le altre persone offese, stante la ricostruzione dell'episodio, sul piano dell'elemento soggettivo, come in effetti connotato, non già da colpa, bensì da dolo eventuale.

La Corte di assise di appello di Milano confermava, inoltre, il giudizio di prevalenza della diminuente del vizio parziale di mente rispetto all'aggravante dei futili motivi futili e infliggeva all'imputato una pena di anni 14 e mesi 4 di reclusione.

Avverso la pronuncia della Corte d'assise d'appello di Milano proponeva ricorso il difensore dell'imputato. Il motivo di doglianza riguardava un profilo di erronea applicazione della legge penale, non avendo i giudici di merito tenuto conto delle risultanze degli accertamenti compiuti sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato. Dopo aver richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali, la difesa rilevava che il dolo eventuale, come “atteggiamento di accettazione del rischio di un certo risultato”, se in astratto può essere ritenuto compatibile con la semi-infermità mentale, tuttavia, per giungere a condanna, in concreto deve escludersi che la malattia abbia inciso su un particolare aspetto di quell'atteggiamento della volontà, alterandolo in modo sostanziale. Secondo la difesa, infatti, solo un soggetto con adeguata capacità di astrazione (e, dunque, di immaginazione) sarebbe in grado di prefigurarsi un evento possibile, sebbene non certo; capacità che l'imputato non aveva.

La questione

La sezione V penale della Suprema Corte è stata chiamata ad affrontare la vexata quaestio della compatibilità o meno, ed eventualmente dei limiti di tale compatibilità, tra il vizio parziale di mente e quella particolarissima forma di dolo che è costituita dal dolo eventuale.

Il rapporto tra imputabilità e colpevolezza

In astratto, a livello di teoria generale del reato, si poneva, anzitutto, il problema del rapporto tra imputabilità, intesa come capacità di intendere e volere, e la colpevolezza.

Come noto, sia la dottrina che la giurisprudenza di legittimità, si sono interrogate a lungo sulla questione, individuando una soluzione che può ormai dirsi pacifica: l'imputabilità costituisce un elemento costitutivo della colpevolezza e, più precisamente, il presupposto indefettibile di essa, in quanto individua i requisiti soggettivi essenziali perché il fatto di reato possa essere rimproverato al soggetto agente, in assenza dei quali nessuna pena può essere applicata all'autore (art. 85 c.p.).

Ciò premesso, mentre è di immediata percezione la conseguenza, sul piano della colpevolezza, della totale incapacità di intendere e volere al momento del fatto – rappresentando essa una causa di esclusione della colpevolezza di natura soggettiva (art. 70, comma 1, n. 2, c.p.) che esime da pena il soggetto a cui la stessa si riferisce – altrettanto non può dirsi con riguardo al vizio parziale di mente, cioè quell'infermità mentale che, sebbene non escluda la capacità di intendere e volere del soggetto (e quindi la sua imputabilità), abbia attitudine a scemarla grandemente.

La sussistenza di una solo parziale incapacità di intendere e volere, infatti – non potendo essere annoverato tra le cause di esclusione dell'imputabilità, rivestendo rilevanza esclusivamente ai fini della determinazione della pena, quale attenuante “inerente alla persona del colpevole” (art. 70, comma 2, c.p.) – lascia impregiudicato il problema della sua compatibilità con il dolo.

Ebbene, sia la dottrina che la giurisprudenza assolutamente maggioritarie, muovono dal concetto della reciproca autonomia dei due profili: sebbene la capacità di intendere e volere sia presupposto della colpevolezza (e, dunque, del dolo e della colpa) essi operano su piani diversi, rappresentando la prima il complesso di qualità soggettive tali che il soggetto possa dirsi in grado di comprendere la realtà, il portato delle proprie azioni e di determinarsi di conseguenza; la seconda un atteggiamento antidoveroso della volontà che può essere rimproverato solo alle persone dotate della predetta capacità.

Proprio sulla base di tale presupposto giuridico, la Suprema Corte a più riprese ha evidenziato la compatibilità tra il vizio parziale di mente e il dolo osservando che “l'imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono concetti diversi ed operano anche su piani diversi, sebbene la prima, quale componente naturalistica della responsabilità, debba essere accertata con priorità rispetto alla seconda, con la conseguenza che il dolo generico è compatibile con il vizio parziale di mente” (Cass.pen., Sez. VI, 13 maggio 2014, n.4292; Cass.pen., Sez. VI, 13 ottobre 2011,n.47379).

Il vizio parziale di mente e il dolo eventuale

La Suprema Corte, muovendo dalla premessa generale della compatibilità tra vizio parziale di mente e dolo, si è cimentata in plurime occasioni con la quaestio, evidentemente collegata, della configurabilità del dolo eventuale in relazione ad un soggetto che al momento del fatto era affetto da un'infermità mentale che, sebbene non escludeva la sua capacità di intendere e volere, tuttavia, la scemava grandemente.

Il problema di tale compatibilità si è più volte posto in giurisprudenza dal momento che il dolo eventuale costituisce una forma di dolo connotata da profili di particolarità e complessità, specie sotto il profilo della rappresentazione e della formazione della volontà dell'agente, che lo rendono più difficilmente ipotizzabile in relazione ad un soggetto affetto da un vizio di mente.

Il dolo eventuale, infatti, come recentemente osservato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, “ricorre quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo” (Cass. pen., Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343); per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre quindi la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa.

Tornando all'oggetto del presente approfondimento, deve dirsi che sul punto numerose pronunce della Cassazione, tra le quali va collocata anche quella in commento, accolgono la teoria della piena compatibilità tra vizio parziale di mente e dolo eventuale (ex multis: Cass.pen., Sez. I,11 marzo 1997, n.8972; Cass. pen., Sez. I, 21 ottobre 2010, n. 39266; tale ultima sentenza, nella parte motiva, precisa infatti che “sussiste piena compatibilità tra la seminfermità e il dolo eventuale poiché i due concetti operano su piani diversi l'una attinente alla capacità di intendere e volere e l'altro al funzionamento dell'intelligenza e della volontà, cioè alla intensità del dolo, come grado rilevante della determinazione a conseguire il proposito criminoso, come momento nel quale la volontà si manifesta e persegue l'obiettivo considerato”).

In seno a tale orientamento, si colloca una pronuncia piuttosto risalente, citata dalla difesa del ricorrente nel caso in commento, che – sebbene non escluda in astratto la configurabilità del dolo eventuale con riferimento ad un soggetto non pienamente capace di intendere e volere – tuttavia, esclude la compatibilità laddove “si dimostri in concreto che la malattia incideva su un particolare aspetto di quell'atteggiamento, alterandolo in modo sostanziale” (Cass. pen., Sez. I, 5 maggio 1988, n. 8719).

Le soluzioni giuridiche

Conclusivamente, la V sezione della Suprema Corte ha ritenuto di aderire alla teoria sostenuta dalla giurisprudenza costante enunciando il principio di diritto secondo cui la capacità di intendere e volere del soggetto autore di reato, che rappresenta l'essenza dell'imputabilità (art. 85 c.p.), sebbene costituisca un presupposto della colpevolezza, si pone su di un piano diverso rispetto all'elemento psicologico in senso stretto, ovvero il dolo.

Dalla reciproca autonomia concettuale della capacità di intendere e volere e del dolo discende che il vizio parziale di mente risulta compatibile con il dolo eventuale.

Osservazioni

La sentenza in commento affronta la complessa questione della configurabilità del dolo eventuale in relazione ad un soggetto che versi, al momento del fatto, in stato di parziale incapacità di intendere e volere.

Si ritiene di aderire alla tesi sostenuta dai giudice della Suprema Corte poiché risulta, da un lato, rispettosa della teoria generale del reato e, dall'altro, non ignora le specificità del singolo caso concreto.

Sotto il primo profilo non può che ribadirsi, in totale accordo con la giurisprudenza e la dottrina pressoché unanimi che:

  • l'imputabilità (e dunque la capacità di intendere e volere al momento del fatto) rappresenta certamente un elemento indefettibile della colpevolezza; in assenza di imputabilità, non potrà parlarsi di atteggiamento antidoveroso della volontà e, perciò, sarà da escludere la ricorrenza di un carattere (autenticamente, in senso giuridico-normativo) colposo o doloso in ordine alla condotta tenuta dall'agente;
  • capacità di intendere e volere e colpevolezza (intesa qui come elemento soggettivo in senso stretto, ovvero dolo o colpa) sebbene tra loro collegati, sono connotati da reciproca autonomia: la prima attiene alle attitudini proprie del soggetto in relazione e al momento del fatto; la seconda riguarda l'atteggiamento della volontà del soggetto in ordine al fatto (e in particolare all'evento del reato);
  • la parziale incapacità di intendere e volere, da sola, non può dirsi incompatibile con un atteggiamento autenticamente doloso, sebbene particolarissimo, quale è quello proprio del dolo eventuale, non potendosi in astratto escludere che un soggetto affetto da un vizio di mente, tale da scemare grandemente la sua capacità di intendere e volere, possa comunque chiaramente rappresentarsi la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e, ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si determini ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo.

Con riferimento al secondo profilo, ovvero in merito alla necessità di una verifica in concreto della compatibilità tra vizio parziale di mente e dolo eventuale, da effettuarsi caso per caso, onde valorizzare le specificità della singola fattispecie concreta, deve ritenersi non solo un approccio corretto ma, anzi, imposto dai principi generali del diritto penale. D'altronde una moderna concezione del diritto penale, di ispirazione autenticamente garantista, non può che muovere dalla valorizzazione del principio di colpevolezza come essenza stessa del principio di personalità della responsabilità penale, che richiede sempre un accertamento concreto e rigoroso della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, nessuno escluso (art. 27, comma 1, Cost.; Corte Cost. 24 marzo 1988, n. 364).

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