L'introduzione del reato di frode in processo penale e depistaggio nella legge 133 del 2016

27 Luglio 2016

La legge 11 luglio 2016, n. 133, reca nel titolo (Introduzione nel codice penale del reato di frode in processo penale e depistaggio) la ragione principale della sua approvazione. Tuttavia, l'intervento normativo è più articolato e complesso di quanto appaia immediatamente. Infatti, la legge de qua, non ha soltanto integralmente sostituito l'art. 375 del codice penale ma ha aumentato la pena per il delitto di cui all'art. 374 c.p. e aggiunto nel codice penale, gli artt. 383-bis (circostanze aggravanti in caso di condanna) e 384-ter (circostanze speciali).
Abstract

La legge 11 luglio 2016, n. 133, reca nel titolo (Introduzione nel codice penale del reato di frode in processo penale e depistaggio) la ragione principale della sua approvazione.

Tuttavia, l'intervento normativo è più articolato e complesso di quanto appaia immediatamente. Infatti, la legge de qua, non ha soltanto integralmente sostituito l'art. 375 del codice penale, che ha introdotto il delitto di frode in processo penale e depistaggio (per il quale è stato anche disposto il raddoppio del termine di prescrizione); con detta legge, è stata anche aumentata la pena per il delitto di cui all'art. 374 c.p.; sono stati aggiunti, nel codice penale, gli artt. 383-bis (circostanze aggravanti in caso di condanna) e 384-ter (circostanze speciali); infine, è stato inserito, nell'art. 376 c.p., il riferimento all'art. 375.

Per comprendere appieno l'intervento normativo, occorre dunque affrontare, sia pure brevemente, i diversi profili appena richiamati.

Il delitto di frode in processo penale e depistaggio

Come anticipato, l'art. 375c.p. è stato integralmente sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 luglio 2016, n. 133.

In particolare, mentre la versione originaria dell'articolo in esame prevedeva una circostanza aggravante, oggi corrispondentemente (salvo, appunto, l'inclusione del riferimento all'art. 375 c.p.) disciplinata dall'art. 383-bis (infra), l'attuale art. 375 c.p. è la sede della nuova norma in materia di frode in processo penale e depistaggio.

Si tratta di un articolo lungo e complesso, composto da ben nove commi dalla eterogenea disciplina.

Il comma 1 dell'art. 375 c.p., che si apre con una clausola di consunzione (salvo che il fatto costituisca più grave reato), chiarisce subito che siamo in presenza di un reato proprio del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, punito con particolare severità (reclusione da tre a otto anni).

Lo specifico pregiudizio e la severa gravità del reato commesso dal soggetto qualificato emerge anche dalla espressa indicazione, contenuta nel comma 7 dell'art. 375 c.p., per la quale la pena si applica anche quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio siano cessati dal loro ufficio o servizio e dalla previsione, ai sensi del comma 6 della medesima disposizione, della interdizione perpetua dai pubblici uffici in caso di condanna alla reclusione superiore a tre anni.

Ma il Legislatore ha voluto ulteriormente sottolineare negativamente l'introdotto reato prevedendo, che, allo stesso (cfr. l'art. 1, comma 4, l. 11 luglio 2016, n. 133), si applichi il raddoppio dei termini di prescrizione del reato, inserendo, nell'art. 157, sesto comma, primo periodo, del codice penale, il riferimento all'art. 375 c.p., stesso codice.

Venendo alle condotte di cui all'art. 375 c.p., risponde del delitto in esame il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, al fine di impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale: a) immuta artificiosamente il corpo del reato ovvero lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato; b) richiesto dall'autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni in un procedimento penale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito.

Ora, la prima delle condotte indicate richiama l'analoga condotta disciplinata dall'art. 374 c.p. (frode processuale), consentendo gli opportuni rinvii alle trattazioni in materia. Infatti, la condotta di chi immuta artificiosamente lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato è modalità identicamente conosciuta nel quadro del delitto di frode processuale. Invece, è nuovo il riferimento alla immutazione del corpo del reato, dovuta alla circostanza che qui siamo in presenza di un reato proprio, commesso da chi fa parte dell'apparato statuale e, quindi, è in grado di avere contatti con il corpo del reato.

La seconda delle condotte incriminate, tenute dal soggetto qualificato che, richiesto dall'Autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni in un procedimento penale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, richiama l'intera filiera dei delitti di false dichiarazioni: dal favoreggiamento-mendacio (di cui all'art. 378 c.p.), al delitto di false informazioni al pubblico ministero (art. 371-bis c.p.), al delitto di falsa testimonianza di cui all'art. 372 c.p. (qui la locuzione generica utilizzata dal legislatore ed il riferimento alla polizia giudiziaria consigliano una ampia e comprensiva lettura della norma). Anche in tal caso, i rinvii alle nozioni tradizionalmente ricostruite nelle diverse sedi nelle quali la materia è trattata consentono di evitare sovrabbondanti ripetizioni.

Tuttavia, rimane il dubbio dell'eventuale concorso di reati, almeno nel caso che il delitto venga integrato sul solco della frode processuale e su quella dei delitti di false dichiarazioni: ove si rispondesse affermativamente, la pena potrebbe apparire di draconiana severità.

I commi 2 e 3 dell'art. 375 c.p. disciplinano, poi, alcune ipotesi aggravate.

Più precisamente, ai sensi del comma 2, se il fatto è commesso mediante distruzione, soppressione, occultamento, danneggiamento, in tutto o in parte, ovvero formazione o artificiosa alterazione, in tutto o in parte, di un documento o di un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

A sua volta, il comma 3 dell'art. 375 c.p. prevede che, se il fatto è commesso in relazione a procedimenti concernenti i delitti di cui agli articoli 270, 270-bis, 276, 280, 280-bis, 283, 284, 285, 289-bis, 304, 305, 306, 416-bis, 416-ter e 422 c.p. o i reati previsti dall'art. 2, l. 25 gennaio 1982, n. 17 (recante norme di attuazione dell'art. 18 Cost. in materia di associazioni segrete e di scioglimento della associazione denominata Loggia P2), ovvero i reati concernenti il traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico e comunque tutti i reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.

Invece, il comma 4 dell'art. 375 c.p. prevede che la pena sia diminuita dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per ripristinare lo stato originario dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove, nonché per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell'individuazione degli autori.

Con alcuni specifici adattamenti ai delitti contro l'amministrazione della giustizia, la circostanza in esame ripropone formule già sperimentate, soprattutto nella legislazione più recente (cfr., soprattutto l'art. 600-septies.1 c.p.).

Più precisamente, il concretamente si aggiunge ai già noti spontaneamente ed efficacemente di cui all'art. 62, n. 6, c.p. e volontariamente di cui all'art. 56, commi 3 e 4, c.p. e richiama alla mente l'opera di chi aiuta concretamente, di cui all'art. 630, comma 5, c.p.

Ed allora, sembra essere sufficiente che il soggetto si attivi concretamente per conseguire le finalità indicate; non è invece necessario che il risultato perseguito venga ottenuto. Dunque, probabilmente, l'attenuante in questione si applica anche al soggetto che, nell'àmbito di un concorso di persone, avverta le forze di polizia, fornendo tutte le indicazioni utili (concretamente) all'autorità di polizia o all'autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell'individuazione degli autori (che potrebbe non aversi).

Vero è che chi ritenesse diversamente potrebbe indicare la eventuale rilevanza dell'attenuante di cui al n. 6 dell'art. 62 c.p.; ma in tal caso la diminuzione di pena sarebbe più lieve e, comunque, interverrebbe post delictum, con indubbie conseguenze in tema di “spinta motivazionale” (o di ... ponti d'oro) e connessa indebolita tutela della vittima.

Infine, il comma 5 dell'art. 375 c.p. dispone che le circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 c.p. e dal comma precedente del medesimo art. 375 c.p. concorrenti con le aggravanti di cui al riportato secondo e terzo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste ultime e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.

Nel complessiva considerazione della norma introdotta, assume un particolare rilievo quanto previsto dal comma 8 dell'art. 375 c.p., per il quale la punibilità è esclusa se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata.

Infatti, anche in un quadro di particolare severità e sfavore per gli autori delle condotte disciplinate dal delitto di frode in processo penale e depistaggio, il delitto di cui all'art. 375 c.p. mantiene fermo il principio della procedibilità per il reato presupposto, affinché si possa avere la punibilità del delitto considerato: dunque, anche per i “servitori dello Stato”, il delitto de quo non sanziona la mera disubbidienza, ma incarna un delitto contro l'amministrazione della giustizia.

A ciò si aggiunga che, in linea con quanto disposto dalla l. 20 dicembre 2012, n. 237, il comma 9 dell'art. 375 c.p. prevede che le disposizioni della medesima disposizione si applichino anche alle indagini e ai processi della Corte penale internazionale in ordine ai crimini definiti dallo Statuto della Corte medesima.

Le circostanze aggravanti per il caso di condanna

L'art. 1, comma 3, l. 11 luglio 2016, n. 133, inserisce, nel codice penale, l'art. 383-bis. Tuttavia, per comprendere funzione e ruolo della norma, occorre considerare che l'art. 383-bis c.p. ricalca quasi del tutto il vecchio art. 375 c.p., constestualmente sostituito dalla medesima legge del 2016.

Infatti, nella versione preesistente, l'art. 375 c.p. prevedeva che nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372, 373 e 374, la pena è della reclusione da tre a otto anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni; è della reclusione da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni; ed è della reclusione da sei a venti anni se da fatto deriva una condanna all'ergastolo.

Più precisamente, l'art. 383-bis c.p., rispetto all'abrogato art. 375, stesso codice, si limita ad inserire il riferimento al “nuovo” art. 375 c.p. e ad inasprire ulteriormente le pene. Pertanto, la collocazione della norma non è felicissima, poiché – a nostro avviso – sarebbe stato preferibile inserirla, ad esempio, in un articolo denominato art. 375-bis c.p.

Nella norma sono disciplinate circostanze del reato base, e non figure autonome di reato. Si tratta di circostanze speciali, di carattere oggettivo, concernendo, ai sensi dell'art. 70, n. 1, la gravità del danno.

Le (ulteriori) circostanze speciali

L'art. 2, comma 1, l. 11 luglio 2016, n. 133, introduce, nel codice penale, l'art. 384-ter. Benché l'articolo costituisca l'ultima delle disposizioni presenti nel Capo I del Titolo III, esso si riferisce, in realtà, ai (soli) delitti di cui agli artt. 371-bis, 371-ter, 372, 374 e 378 c.p.: dunque, anche in tal caso, la collocazione preferibile sarebbe forse stata accanto a quegli articoli, ad esempio in un articolo denominato 378-bis c.p.

In ogni caso, poiché la disposizione in esame contiene sia circostanze aggravanti che circostanze attenuanti, è opportuno analizzare isolatamente le differenti ipotesi.

Dunque, ai sensi del comma 1 dell'art. 384-ter c.p.,se i fatti di cui agli articoli 371-bis, 371-ter, 372, 374 e 378 sono commessi al fine di impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale in relazione ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis, 276, 280, 280-bis, 283, 284, 285, 289-bis, 304, 305, 306, 416-bis, 416-ter e 422 c.p. o ai reati previsti dall'art. 2 della l. 25 gennaio 1982, n. 17, ovvero ai reati concernenti il traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico e comunque in relazione ai reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, la pena è aumentata dalla metà a due terzi e non opera la sospensione del procedimento di cui agli articoli 371-bis e 371-terc.p.

È evidente la volontà del Legislatore di proteggere beni particolarmente importanti e, allo stesso tempo, attaccabili proprio da chi avrebbe il compito di salvaguardarli: di qui, l'aumento di pena e l'esclusione della sospensione del procedimento penale nelle ipotesi di false informazioni al pubblico ministero e di false dichiarazioni al difensore.

Invece, ai sensi del comma 2 dell'art. 384-ter c.p.,la pena è diminuita dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per ripristinare lo stato originario dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove, nonché per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell'individuazione degli autori. L'affinità di detta ipotesi con quanto previsto dal comma 3 dell'art. 383-bis c.p. consente di rinviare a quanto detto in relazione a quella disposizione (supra 3).

In conclusione

Sin qui l'esame, tecnico-giuridico, della legge 133 del 2016.

Ma non si coglierebbe appieno il senso dell'intervento normativo in esame ove non si sottolineasse che lo stesso sembra rispondere a una diffusa sensibilità collettiva, purtroppo legata ai momenti più bui e misteriosi della recente storia del nostro Paese e, in particolare alle stragi, come quelle di Ustica, del treno Italicus, di Piazza Fontana e quella alla stazione di Bologna nell'agosto del 1980.

Si comprende, pertanto, perché la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la proposta di legge di Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione vittime della strage di Bologna, con ben 325 voti a favore, e solo 1 contrario e 14 astenuti.

Speriamo, tuttavia, che la legge stigmatizzi più le condotte del passato, piuttosto che punire condotte attuali o future: perché sarebbe il segno che quelle dolorose stragi, quelle scene strazianti, quelle vite spezzate non avrebbero insegnato nulla, almeno a qualcuno.

Lo Stato siamo noi, si diceva una volta; ma, forse, ci accontenteremmo che lo Stato fosse sempre con noi e, comunque, mai contro di noi.

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