Prescrizione del reato: le spese di custodia del bene sequestrato non possono porsi a carico dell'imputato

27 Luglio 2016

In caso di sentenza di proscioglimento emessa, ai sensi dell'art. 531 c.p.p., per l'intervenuta prescrizione del reato, è illegittima la statuizione con la quale il giudice ponga a carico dell'imputato le spese di conservazione e custodia delle cose sequestrate.
Massima

In caso di sentenza di proscioglimento emessa, ai sensi dell'art. 531 c.p.p., per l'intervenuta prescrizione del reato, è illegittima la statuizione con la quale il giudice ponga a carico dell'imputato le spese di conservazione e custodia delle cose sequestrate.

Il caso

Il Corpo forestale dello Stato, il 1° luglio 2008, trasmetteva alla competente procura della Repubblica una comunicazione di notizia del reato di abbandono di animali (art. 727 c.p.) a carico di soggetti, inizialmente ignoti, che avevano abbandonato un cavallo di razza pony dell'età di circa 5 anni. Successivamente, la notizia di reato veniva integrata con i dati dei presunti responsabili del reato: ossia il legittimo proprietario ed altro soggetto che ne aveva conseguito il possesso.

Nei confronti di entrambi si apriva perciò un procedimento penale per il suddetto reato contravvenzionale; il 20 settembre 2010 il giudice per le indagini preliminari emetteva a carico del possessore del cavallo un decreto penale di condanna, avverso il quale veniva però presentata opposizione.

Il conseguente processo penale si concludeva con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, in seguito alla quale veniva disposta la restituzione del cavallo al legittimo proprietario. Si poneva però il problema delle spese di custodia dell'animale sequestrato: alla richiesta di corresponsione di dette spese, contenuta nel provvedimento del 19 agosto 2014 del giudice per le indagini preliminari, si opponeva il possessore del cavallo (ossia colui nei cui confronti era stata pronunciata la sentenza di non doversi procedere per prescrizione), il quale chiedeva la revoca del provvedimento, sia perché egli non era il proprietario dell'animale, sia per non avere egli ricevuto alcun provvedimento di sequestro o affidamento in custodia dello stesso. Cionondimeno, al possessore dell'animale veniva notificato decreto di liquidazione delle spese di custodia, che egli veniva così condannato a pagare.

Averso quest'ultimo provvedimento il possessore del cavallo presentava ricorso al tribunale competente ex art. 702-bis c.p.c.

All'esito del conseguente procedimento sommario di cognizione, il tribunale accoglieva il ricorso e per l'effetto dichiarava nullo nei confronti del ricorrente il decreto impugnato.

L'ordinanza in commento, ampiamente e riccamente motivata, affronta la questione argomentando l'accoglimento del ricorso sul rilievo che la declaratoria di prescrizione travolge ogni conseguenza penale connessa all'imputazione; oltre a ciò, dopo avere definito giuridicamente irrilevante il reato in relazione al quale era stato disposto il sequestro dell'animale, evidenzia che l'importo delle spese di custodia richieste all'imputato era di molto superiore a quello della stessa pena pecuniaria che era stata in origine a lui applicata con il decreto penale di condanna opposto; sottolinea che ciò integrerebbe una sorta di sanzione penale aggiuntiva (dall'intrinseca natura afflittiva) rispetto a quella stabilita con il detto decreto penale, il che – osserva il tribunale – si pone in aperto contrasto con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza sovranazionale e costituzionale (vengono richiamati i criteri stabiliti dalla Corte di Strasburgo, di cui alla sentenza Engel c. Paesi Bassi del 1976, ribaditi dalla sentenza Grande Stevens c. Italia del 2014; e si fa menzione, altresì, della sentenza Varvara c. Italia a proposito dell'inapplicabilità della confisca in caso di prescrizione; nonché, sempre in subiecta materia, della sentenza n. 49015 della Corte costituzionale). Infine, il tribunale osserva che le conseguenze di cui trattasi afferiscono a un provvedimento, oltretutto oggetto di opposizione, in base al quale non può dirsi provata la penale responsabilità del ricorrente; e che, per di più, non risultano acquisiti nel fascicolo processuale né il provvedimento di sequestro, né la relativa notifica all'imputato, e non risulta neppure accertato a quale titolo costui, quale mero possessore dell'animale, sarebbe il soggetto avente titolo alla disposta restituzione del cavallo.

La questione

La questione in esame è la seguente: a fronte di una sentenza di proscioglimento in rito (ad esempio, per intervenuta prescrizione), le spese di custodia dei beni eventualmente sequestrati nel corso del procedimento debbono essere poste a carico dell'imputato, pur essendo questi stato prosciolto?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza di legittimità si è già espressa nel senso dell'illegittimità della statuizione con la quale il giudice ponga a carico dell'imputato le spese di conservazione e custodia delle cose sequestrate nel caso in cui il procedimento si concluda con sentenza di non doversi procedere per prescrizione (si veda Cass. pen., Sez. IV, 31 gennaio 2014, n. 6792).

In una precedente, interessante pronunzia (Cass. pen., Sez. I, 9 novembre 2007, n. 43292), la suprema Corte aveva affrontato una questione parzialmente analoga: in quel caso il tribunale di Torino, sez. dist. di Ciriè, aveva posto a carico dell'imputato le spese di custodia di animali sequestrati nell'ambito di procedimenti a suo carico, anche in quel caso per il reato di cui all'art. 727 c.p., procedimenti che si erano conclusi con sentenze irrevocabili di non doversi procedere per prescrizione o per oblazione; le spese erano state anticipate dall'erario e liquidate in executivis con successivi decreti, nei quali si era però proceduto a rettifica delle medesime sentenze di proscioglimento, ai sensi degli artt. 535, comma 4, e 130 c.p.p., ossia con procedura di correzione di errore materiale. A fronte del ricorso dell'imputato, che lamentava l'abnormità della procedura rettificatoria circa le spese, la Corte regolatrice censurava i provvedimenti impugnati, in quanto adottati in virtù di una disposizione normativa, quella dell'art. 535, comma 4,c.p.p. dettata per la sentenza di condanna (alla quale, osserva la sentenza della suprema Corte, non è per alcun profilo assimilabile quella di non doversi procedere per sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione o per oblazione) e, quindi, prevista esclusivamente per la condanna alle spese a carico del "condannato". Ciò posto, la sentenza della Corte di legittimità chiariva che, ai fini dell'accollo delle spese di custodia e conservazione delle cose sequestrate a carico dell'avente diritto alla loro restituzione, è prevista la diversa e speciale procedura esecutiva di cui al d.P.R. 115 del 2002, art. 150, sost. dal d.l. 115 del 2005, art. 9-bis, comma 1, lett. f), conv. in l. 168 del 2005

Osservazioni

Nel caso di specie, stando a quanto si evince dal provvedimento del giudice fiorentino, vi erano buone ragioni per escludere che il ricorrente fosse tenuto a pagare le spese di custodia. Non solo (e, come vedremo fra un attimo, non tanto) per il proscioglimento pronunciato nei suoi confronti per l'intervenuta prescrizione del reato cui il sequestro del cavallo accedeva; ma anche (e soprattutto) per il fatto che l'opposizione presentata dall'imputato con ricorso ex art. 702-bisc.p.c.. ha paralizzato gli effetti previsti dal testo unico spese di giustizia approvato con d.P.R. n. 115/2002 (in specie dall'art. 150, nel testo oggi vigente). L'accoglimento del ricorso ha poi determinato la decisione oggi in commento, fondata per vero sul richiamo, in certi passaggi, a principi non del tutto condivisibili (non può definirsi giuridicamente irrilevante una fattispecie di reato, per quanto bagatellare, tanto più che il proscioglimento è avvenuto per ragioni di mero decorso del tempo e non per questioni di merito) e nemmeno del tutto pertinenti in subiecta materia (il richiamo alla nozione di pena ampliata ed estesa dalla giurisprudenza sovrannazionale ad altre conseguenze aventi contenuto afflittivo non pare attagliarsi, come meglio si comprenderà infra, a un'ipotesi di recupero di spese processuali anticipate dall'erario, benchè – di regola ma non senza eccezioni – esse siano ripetibili nei casi di condanna).

Va subito detto che la regola valevole per il recupero della generalità delle spese di giustizia è stabilita dall'art. 204 del testo unico citato, in base al quale si procede al recupero delle spese ripetibili da parte dell'erario presso il soggetto che è stato condannato, in perfetta coerenza con il dettato dell'art. 535, comma 1, c.p.p., in base al quale la sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali. Tale regola, peraltro, vale anche per le sentenze di applicazione di pena su richiesta delle parti (art. 445 c.p.p.: vds. Cass. pen., Sez. I, 17 dicembre 2014, n. 3347 e per i decreti penali di condanna (art. 460 c.p.p.), in base all'ultimo comma dell'art. 204 del citato d.P.R. 115/2002; ma, come si è visto, nel caso di specie il decreto penale di condanna era stato opposto dall'imputato, e in seguito all'instaurarsi del giudizio d'opposizione il reato era stato dichiarato estinto per maturata prescrizione; quindi le spese di custodia non potevano essere richieste all'imputato a tale titolo.

Per quanto più specificamente attiene alle spese di custodia e di conservazione dei beni sequestrati, provvedono gli artt. 149 e seguenti del d.P.R. 115/2002. L'ammontare di tali spese (e in particolare della liquidazione dell'indennità per il custode) è disciplinato in generale dagli artt. 58 e 59 del più volte citato d.P.R. 115/2002: in base a dette disposizioni l'indennità spettante al custode è determinata in base a tabelle approvate con decreto interministeriale (un importante esempio, per i veicoli a motore ed i natanti sottoposti a sequestro, è costituito dal decreto 2 settembre 2006, n. 265) o, in mancanza, secondo gli usi locali.

Quanto alla restituzione dei beni sequestrati al soggetto avente diritto, vale la regola solve et repete, nel senso che, in base all'art. 150, comma 2, d.P.R. 115/2002, essa è subordinata al previo pagamento delle spese di custodia e conservazione, salvo che -precisa la norma- siano stati pronunciati provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o sentenza di proscioglimento ovvero che le cose sequestrate appartengano a persona diversa dall'imputato o che il decreto di sequestro sia stato revocato a norma dell'articolo 324 del codice di procedura penale.

Come si vede, quindi, nella fattispecie in commento vi era un'importante eccezione alla regola del (previo) pagamento delle spese di custodia da parte dell'avente diritto alla restituzione: infatti, era stata pronunciata sentenza di proscioglimento (tale essendo anche la sentenza di non doversi procedere per prescrizione). Inoltre era controversa l'appartenenza del bene (ossia del cavallo) all'imputato ricorrente, e dunque la sua qualità di avente diritto alla restituzione, atteso che egli aveva – non si sa bene a che titolo e in base a quale situazione di fatto – il mero possesso dell'animale.

Ma, a tale ultimo proposito, è noto che il possesso è una situazione giuridica che, corrispondendo a un potere di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio, su di essa, della proprietà o di altro diritto reale, riceve una sua tutela giuridica (cfr. artt. 1140 e ss., c.c.). E non pare azzardato ritenere che ciò trovi una sua corrispondenza anche in ambito penalistico (ad esempio laddove si ritiene che anche il possessore del bene sia legittimato a proporre istanza di riesame avverso il decreto di sequestro del bene posseduto: cfr. Cass. pen. Sez. II, 20 aprile 1994, n. 1971; Cass. pen., Sez. III 22 ottobre 2009, n. 42918).

Di tal che, ben sarebbe potuto accadere che l'imputato possessore del cavallo fosse bensì destinatario della comunicazione del provvedimento di restituzione dell'animale sequestrato, ma rimanesse inerte a fronte di essa: ossia non provvedesse, da un lato, a ritirare il cavallo e non formalizzasse, dall'altro, la sua opposizione con il ricorso che, invece, egli ebbe a presentare, con esiti vittoriosi.

In tale ipotesi di inerzia, egli sarebbe stato tenuto a pagare le spese anche a fronte della già vista sentenza di proscioglimento: ciò in quanto il terzo comma dell'art. 150 del d.P.R. 115/2002, nel testo oggi vigente, dispone che le spese di custodia e di conservazione sono in ogni caso dovute dall'avente diritto alla restituzione per il periodo successivo al trentesimo giorno decorrente dalla data in cui il medesimo ha ricevuto la comunicazione del provvedimento di restituzione. Ciò in quanto, per ovvie ragioni, non può porsi a carico dell'erario il pagamento delle ulteriori spese di custodia e conservazione del bene dovute all'inerzia del soggetto avente titolo alla restituzione, il quale non abbia provveduto al ritiro del bene stesso oppure, come nel caso di specie, non abbia radicalmente contestato il titolo in base al quale gli venivano addebitate le spese in esame, riferite all'intera fase pregressa del procedimento conclusosi con la prescrizione. Tale caso ricorre anche nell'ipotesi in cui sia stata pronunciata sentenza di proscioglimento, nel senso che l'avente diritto non è tenuto, in siffatta ipotesi, al previo pagamento delle spese di custodia per poter ottenere la restituzione del bene, ma deve comunque provvedere tempestivamente al ritiro della res, onde non gravare indebitamente l'erario dell'anticipazione di dette spese nel loro protrarsi; in caso contrario (come si evince anche dalla richiamata sentenza Neri del 2007, concernente ipotesi di proscioglimento per prescrizione e oblazione), egli deve sopportare ugualmente dette spese a partire dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione della restituzione.

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