La facoltà del querelante ex art. 459, comma 1, c.p.p. prima e dopo l'intervento della Consulta del febbraio 2015

28 Agosto 2015

L'art. 459, comma 1, c.p.p. come introdotto dalla c.d. legge Carotti (legge 16 dicembre 1999, n.479) ha previsto la facoltà, concessa al querelante, di opporsi alla definizione del procedimento penale per reati perseguibili a querela con la emissione del decreto penale di condanna.
Abstract

L'art. 459, comma 1, c.p.p. come introdotto dalla c.d. legge Carotti (legge 16 dicembre 1999, n. 479) ha previsto la facoltà, concessa al querelante, di opporsi alla definizione del procedimento penale per reati perseguibili a querela con la emissione del decreto penale di condanna. La legge 16 dicembre 199, 9 n. 479 si è ispirata ad una tendenza politico-criminale di deflazione processuale ed incentivo dei riti speciali ma per i reati a querela di parte ha posto la condizione di dissenso della persona offesa. La disciplina quindi ha operato un effetto di bilanciamento fra l'estensione del rito speciale e le esigenze di verifica investigativa che accompagnano le notitiae criminis enucleate dalla volontà della vittima.

La facoltà di opporsi

Prima dell'intervento caducatorio della Consulta, il querelante poteva opporsi alla definizione del procedimento mediante decreto penale anche con menzione espressa in atto di querela. Il diniego della parte offesa quindi inibiva l'ufficio del pubblico ministero ad esercitare l'azione penale mediante il rito speciale e, se ugualmente proposto, il giudice per le indagini preliminari avrebbe potuto rifiutarsi l'emissione per carenza di presupposto di legge. Si discuteva se trattavasi di una ipotesi di nullità assoluta per violazione di norma processuale, ma nello stesso tempo interdiva la parte offesa, che non assumeva il ruolo di parte processuale non avendone il titolo, a proporre rimedi ablativi del provvedimento o sollevare questioni di nullità.

Ratio sottesa all'originario diritto del querelante

Ragioni politico criminali parzialmente condivisibili sono a base del diritto accordato al querelante di opporsi alla emissione del decreto penale: si è ritenuto che l'istante, rivestito il suo ruolo di vittima del reato, avrebbe diritto di condizionare ed orientare l'iter definitorio del procedimento e non vedersi inibire la sua decisione di costituirsi parte civile per effetto del rito prescelto del pubblico ministero; inoltre, si è discusso anche della pressione psicologica che l'istituto della remissione, in capo alla vittima, eserciterebbe sulla volontà del querelato per indurlo ad optare per una indennizzo congruo a fronte di una estinzione del reato per remissione di querela. Sul piano testuale infine la relazione al progetto preliminare al codice induceva a considerare incompatibile l'iter procedimentale dei reati perseguibili a querela con il decreto penale in quanto la notizia di reato proveniente dal privato e non dagli organi di polizia giudiziaria avrebbe richiesto verifiche ed approfondimenti ulteriori. Tali valori ed interessi sottesi al diritto ex art. 459, comma 1, c.p.p., non rivestono alcun pregio costituzionale così come già la Consulta ebbe ad esprimersi nell'ordinanza del 16 aprile 1999, n. 124: tale provvedimento, dichiarativo della manifesta infondatezza della Q.L.C. dell'art. 459, comma 4, c.p.p., riconosceva improprio ed anomalo che l'esperimento di un rito alternativo fosse condizionato da un diritto potestativo della parte offesa le cui legittime pretese sarebbero potute essere soddisfatte in sede civile. Tale pronuncia non è isolata sul fronte delle esigenze di tutela della parte offesa/querelante, affermando analoghi assunti anche la sentenza 12 ottobre 1990, n. 443, 26 ottobre 1982, n. 171 e 26 giugno 1975, n. 166: secondo tale l'orientamento conforme, il querelante che avanzi pretese risarcitorie non viene leso nelle sue prerogative di diritto di difesa anche se pretermesso dalla partecipazione del processo penale rinvenendo, nell'esercizio dell'azione civile, esauriente tutela processuale e sostanziale.

L'illegittimità costituzionale

Sollevata eccezione di illegittimità dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Avezzano, la Corte costituzionale con sentenza 27 febbraio 2015, n. 23, ha riconosciuto la non conformità dell'art. 459, comma 1, c.p.p. con gli articoli 3 e 111 della Costituzione.

Giova ricordare che il decreto penale di condanna è uno strumento a forte valenza deflattiva e premiale volto alla semplificazione dell'iter procedimentale ed a risparmio di risorse. Ebbene la controversa norma oggetto di scrutinio sin dalla sua introduzione per effetto della legge Carotti suscitò perplessità; il principio di parità di trattamento è evidentemente posto in discussione se solo si comparano l'istituto in oggetto e l'applicazione di pena su richiesta di parti ex artt. 444 ss. c.p.p.; difatti, secondo la disciplina del c.d. patteggiamento, il querelante non potrà opporsi alla soluzione “consensuale”, riservandogli la sola controversia civile, e dunque non vi sarebbe un apprezzabile giustificazione politico-criminale, anzi una immeritevole privilegio in favore del querelante, portatore di medesima istanza risarcitoria, nel caso l'iter si concludesse con l'emissione del decreto. Inoltre sarebbe attribuito un irragionevole privilegio per il querelante nei confronti della mera persona offesa, meritevole di identica tutela, nei delitti perseguibili di ufficio.

Stante la funzionale vocazione anticipatoria e deflattiva del rito di cui in argomento, ulteriore vulnus inerisce il principio di ragionevole durata del processo, in quanto il querelante avrebbe la discrezionalità non suffragata da un interesse meritevole di pari grado, di dilatare i tempi necessari per una declaratoria di responsabilità a discapito delle esigenze di speditezza, la cui iniziativa spetta solo ed esclusivamente all'ufficio del pubblico ministero. Il diritto del querelante non è compromesso nel suo duplice aspetto di veder ristabilito l'ordine violato con il riconoscimento di responsabilità e di aspirare ad un risarcimento dalla perpetrazione dell'atto illecito. Infine la perseguibilità dei reati su iniziativa del querelante costituisce una mera condizione di procedibilità che, una volta validamente esercitata, non può alterare le prerogative e le garanzie costituzionali dell'organo inquirente, unico attore processuale deputato alla scelta delle modalità di esercizio dell'azione penale.

Precedenti giurisprudenziali

Gli assunti espressi non costituiscono novità nel panorama della giurisprudenza costituzionale inerenti i rapporti e le incompatibilità fra le esigenze della vittima e l'iter obbligatorio ed officioso del procedimento penale. La citata pronuncia del 12 ottobre 1990, n. 443 sottolineava che l'esercizio dell'azione civile nel processo penale non costituisse l'unico rimedio giudiziario per il riconoscimento dell' indennizzo economico da reato, anzi lo spirito del codice di rito attualmente in vigore aveva maggiormente privilegiato l'autonomia della giurisdizione penale, tendendo ad emarginare dal suo alveo l'azione civile. A ritroso nel tempo è menzionabile la sentenza del 26 ottobre 1982, n. 171 che affermava la natura accessoria e subordinata dell'azione restitutoria da reato rispetto alle specificità dell'azione penale.

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