Incostituzionalità della recidiva obbligatoria aggravata. Prime applicazioni

Gaetano Bonifacio
28 Settembre 2016

I giudici della Cassazione, vista la sentenza della Corte costituzionale n.185/2015, dichiarativa della parziale illegittimità costituzionale dell'art. 99, comma 5, c.p. annullavano la sentenza impugnata limitatamente al giudizio di comparazione delle circostanze, confermando ...
Massima

È costituzionalmente illegittimo l'art. 99, comma 5, c.p. nella parte in cui prevede come obbligatorio l'aumento della pena per la recidiva con riferimento ai delitti elencati nell'art. 407,comma 2, lett. a) c.p.p., per violazione degli artt. 3 e 27, comma 3, Costituzione, in quanto tale previsione prevedeva l'aumento della pena obbligatorio nel caso di recidiva, rendendo superfluo il giudizio in concreto su colpevolezza e pericolosità dell'imputato, invece necessario per giustificare l'aggravamento del trattamento sanzionatorio.

Il caso

La Corte di appello di Palermo confermava la sentenza del giudice per le indagini preliminari, rinviando ad altra sezione della Corte di appello per il riesame del profilo riguardante il trattamento sanzionatorio derivante dal giudizio di comparazione delle circostanze.

Nel caso di specie infatti era stata contestata dal pubblico ministero e riconosciuta come sussistente dal giudice, la recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., giudicata come equivalente alla circostanza attenuante di cui all'art. 62 n.6 c.p., avendo il giudice correttamente negato che la stessa potesse essere considerata prevalente a causa del divieto posto dall'art. 69, comma 4, c.p., e avendo considerato l'applicazione della recidiva come obbligatorio ai sensi dell'art. 99, comma 5, c.p.

Dalla data della decisione a quella del giudizio instaurato davanti alla suprema Corte, il quadro normativo con riferimento all'art. 99, comma 5, c.p. ha subito delle mutazioni; in particolare con la sentenza n. 185/2015 la Corte costituzionale, ha dichiarato l'illegittimità di tale disposizione di legge, nella parte in cui essa prevedeva l'applicazione della recidiva come obbligatoria in presenza di uno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett.a) c.p.p.

Tale disposto normativo faceva si che ricorrendo tale ipotesi, al recidivo dovesse essere obbligatoriamente applicato un aumento della pena, a prescindere da quali e quanti fossero stati i precedenti penali di cui era gravato.

Tale disposto normativo vanificava i presupposti dell'applicazione dei vari tipi di recidiva facoltativa previsti nei commi da 1 a 4 dell'art. 99 c.p. che richiedono un giudizio che consideri il numero, la specie e il tempo dei precedenti penali.

Essendo mutato il quadro normativo nel modo descritto ad opera dell'intervento della Corte Costituzionale, il giudizio della Corte di appello avrebbe potuto subire dei mutamenti di rilievo sotto il profili del trattamento sanzionatorio, per cui si rinviavano gli atti per il rinnovamento del giudizio limitatamente al computo delle circostanze.

La questione

I giudici della Corte di cassazione, vista la sentenza della Corte costituzionale n.185 del 23 luglio 2015, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 99, comma 5, c.p. nella parte in cui sancisce l'obbligatorietà dell'aumento della pena in caso di commissione di uno dei delitti elencati nel catalogo di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., annullavano la sentenza impugnata limitatamente al giudizio di comparazione delle circostanze, confermando per il resto e rinviando per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la definizione contenuta nell'art. 70, comma 3, c.p., la recidiva è circostanza inerente alla persona del colpevole.

Le problematiche legate a tale definizione sono note e, perlopiù, derivano dal fatto che la sua sussistenza non è collegata solo al fatto delittuoso per ultimo valutato, bensì anche alla commissione dei predetti delitti, che comportano la configurabilità della recidiva, secondo la tipizzazione descritta nell'art. 99 c.p.

Tali presupposti, fanno sorgere dubbi quando la sua applicazione non derivi da un giudizio basato sull'analisi dei precedenti delitti posti in rapporto con quello per cui si procede ma sia sancita in maniera imperativa dalla legge, come avveniva nella previsione contenuta nell'art. 99, comma 5, c.p., prima dell'intervento operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.185 del 23 luglio 2015, che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale.

Tale norma prevedeva l'obbligatorietà dell'aumento della pena per la recidiva nei casi di commissione di uno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., sottraendo il giudizio relativo alla sussistenza della recidiva al potere discrezionale del giudice.

Considerato che rientra nei poteri del Legislatore stabilire le condotte o gli eventi che siano meritevoli di sanzione penale e quale debba essere il trattamento sanzionatorio in presenza di determinate circostanze del reato, rientra nei poteri del legislatore stabilire che circostanze inerenti la persona del colpevole come la recidiva, siano in certi casi di applicazione obbligatoria.

Tale potere però trova un limite allorché si traduca in scelte irragionevoli od arbitrarie, come nel caso della norma impugnata, dove l'automatismo sanzionatorio non sarebbe giustificato neanche da una presunzione assoluta di colpevolezza e di pericolosità del reo (Corte cost., n. 68/2012; n. 47/2010, n.161/2009; n. 22/2007; n. 34/2006).

Infatti, secondo l'orientamento della Corte costituzionale, le presunzioni assolute troverebbero un limite ogni qual volta esse non trovino riscontro in un giudizio basato su elementi concreti, che smentiscano le generalizzazioni su cui la presunzione assoluta si basa (Corte cost., n. 213/2013 e 232/2013; n. 182/2011; n. 164/2011; n. 139/2010 e n. 265/2010).

In tali casi infatti l'automatismo con il quale viene applicato un trattamento sanzionatorio più afflittivo, contrasta con situazioni fattuali diverse, nelle quali invece, il giudizio potrebbe portare a risultati diversi, senza che vi sia, vista la molteplicità delle situazioni verificabili, la possibilità di costruire una presunzione assoluta che fornisca sempre risultati certi.

Nel previgente art. 99, comma 5, c.p., l'aumento della pena era giustificato solo dal fatto che si trattasse di commissione di uno dei delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett a) c.p.p., senza la previsione di altri parametri valutativi, di tal che non era ipotizzabile che un tale giudizio potesse fornire carattere di giustizia con riferimento ad ogni situazione in concreto verificabile.

È necessario anche considerare che in base al dato normativo contenuto nel previgente art. 99, comma 5, c.p., l'aumento di pena previsto in caso di commissione di uno dei reati elencati nell'art. 407, comma 2, lett.a)c.p.p., era riferito a tutte le ipotesi di recidiva facoltativa previste nei primi 4 commi dell'art. 99 c.p., rendendo così queste ipotesi di obbligatoria applicazione nel caso di commissione di uno dei reati previsti nell'art.407, comma 2, lett. a) c.p.p.

Tale disposto normativo comportava di fatto una limitazione del potere discrezionale del giudice in ordine alla valutazione dei precedenti reati, dovendo in caso di ricorrenza dell'art. 99, comma 5, c.p., procedere ad un aumento della pena, a prescindere dal fatto che questi comportassero qualunque delle ipotesi di cui ai primi quattro commi dell'art. 99 c.p., vanificando in tal modo anche il disposto dell'art. 27, comma 3, della Costituzione, in base al quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, considerato che un immotivato e peraltro notevole aumento della pena, come quello che era previsto nel caso di ricorrenza dell'art. 99, comma 5, c.p., avrebbe potuto non essere compreso dal condannato, precetto anche in contrasto con il principio di cui all'art. 3 della Costituzione, parificando nel trattamento obbligatorio situazioni personali e ipotesi di recidiva tra loro diverse, in violazione dell'art. 3 Costituzione.

Infatti nei casi di applicazione obbligatoria della recidiva di cui al 5 comma dell'art. 99 c.p., mancava il necessario raffronto tra il reato rientrante nel catalogo di cui all'art. 407,comma 2, lett. a) c.p.p., e i precedenti reati, in tal modo sottraendo al giudice la possibilità di valutare la pericolosità del reo sulla base degli indici elencati nell'art. 133,comma 2, n.2 c.p., in relazione all'esercizio del potere discrezionale del giudice nella valutazione della pena in rapporto alla gravità del reato, che deve essere desunta dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato.

Considerare la commissione di precise figure delittuose, come quelle previste nell'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., anche se magari costitutive di grave allarme sociale, come ostative all'applicazione delle regole sul giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato, prescrivendo come obbligatorio l'aumento della pena in loro presenza, implicava la considerazione di un “impossibile” ravvedimento del reo a prescindere da ogni dato concreto, in contrasto con il disposto costituzionale di cui all'art. 27, comma 2, della Costituzione.

Considerato quanto precede, non si può considerare come parametro in grado di fornire risultati certi, una regola di giudizio rigida, la quale imponga in ogni caso in presenza di determinati dati oggettivi l'aumento della pena, viste le variegate ipotesi che si possono verificare in relazione alla diversa personalità di ogni reo, e la diversità delle condotte poste in essere successivamente al reato.

È necessario che il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale esercitato secondo i parametri dettati nell'art. 133 c.p., adegui la pena al caso concreto combinando in maniera sintetica e razionale, il giudizio di gravità del reato con quello concernente la capacità a delinquere, desumendola tra l'altro dai precedenti penali e giudiziari in genere.

Il criterio di valutazione riferito alla capacità a delinquere, componente essenziale del giudizio in ordine alla pericolosità del reo, è proiettato nel futuro, e fornisce un indice di pericolosità, sia se visto sotto il profilo della capacità general preventiva, che di quella rieducativa della pena, e sarebbe vanificato dall'applicazione di un criterio basato sulla generalizzazione del tipo d'autore, il quale, dettando aumenti di pena obbligatori, non permette di determinare la pena in maniera proporzionale alla gravità del fatto e alla responsabilità del suo autore.

Osservazioni

Il giudice della leggi con al sentenza 185/2016, dichiara l'incostituzionalità del disposto contenuto nell'art. 99, comma 5, c.p., nella parte in cui sanciva l'obbligatorietà dell'aumento della pena in relazione alla commissione di uno dei delitti elencati nel catalogo di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p.. I profili che hanno determinato tale pronuncia, sono quelli inerenti le regole delle quali il giudice si deve valere per la determinazione della gravità del reato di cui all'art. 133 c.p., se poste in relazione con le limitazioni che derivavano dall'applicazione del disposto di cui all'art. 99, comma 5, c.p.

In particolare la Corte costituzionale, prende in esame la legittimità dell'aumento obbligatorio della pena per i recidivi nel caso di cui all'art. 99, comma 5, c.p., in rapporto agli artt. 25 e 27 della Costituzione, nella parte in cui vengono sanciti rispettivamente il principio di offensività e quello della finalità rieducativa della pena.

La disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima, introduceva una regola di giudizio secondo la quale la sanzione era determina in base al tipo d'autore, a prescindere dalla valutazione degli indici contenuti nell'art. 133, comma 2, n.2 c.p., in base ai quali invece, la pena da irrogare in concreto, deve essere determinata sulla base dela gravità del reato desunta dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta di vita del reo, antecedenti al reato.

Il raffronto tra i due criteri, quello che si basa sul tipo d'autore, con quello fondato sull'applicazione dei parametri dettati dalle regole di giudizio normativizzate nell'art. 133 c.p., porta a dover considerare come, desumere la gravità del reato da elementi quali il ravvedimento e la vita del reo, che ben possono aver subito evoluzioni migliorative in conseguenza alle pene precedentemente sofferte, sia attuativo dei disposti contenuti negli artt. 25 e 27 Costituzione, e quindi preferibile a quello basato sulla teoria del tipo d'autore, rendendo la sentenza della Corte Costituzionale citata e quella della Corte di Cassazione in commento pienamente condivisibili.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.