Nuovo difensore di fiducia e termine a difesa: un interessante revirement della suprema Corte

31 Ottobre 2016

Qualora il difensore di fiducia dell'imputato rinunci al mandato oppure quest'ultimo venga revocato dal cliente e il nuovo difensore di fiducia nel frattempo nominato chieda ed ottenga dal giudice un termine a difesa, è possibile, svolgere attività processuali, nominando all'uopo un sostituto del difensore rinunziante o revocato?
Massima

La rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, così come la revoca dello stesso da parte dell'imputato, non hanno effetto finché la parte non risulta assistita da un nuovo difensore e sia decorso il termine a difesa eventualmente concesso, ai sensi dell'art. 108 c.p.p., al nuovo difensore nominato. Durante la pendenza del termine a difesa, nonostante la permanenza nell'incarico del primo difensore, il cui mandato mantiene efficacia fino alla decorrenza del termine in forza di quanto previsto dagli artt. 107 e 108 c.p.p., possono essere compiuti con l'assistenza del difensore rinunziante o revocato solo quelle attività processuali il cui svolgimento risulti incompatibile con il decorso del termine concesso al difensore subentrante, al cui compimento devono altrimenti essere differite.

Il caso

Tizio è stato condannato con sentenza di primo grado per i reati di bancarotta fraudolenta aggravata patrimoniale e documentale e simulazione di reato.

La Corte di appello di Torino confermava la condanna limitatamente al delitto di bancarotta, dichiarando invece non doversi procedere nei confronti dell'imputato per il concorrente reato di cui all'art. 367 c.p. per essersi lo stesso estinto per prescrizione.

Tizio, a mezzo del proprio difensore, ricorreva per cassazione avverso la suddetta pronuncia articolando due motivi.

Con il primo motivo eccepiva la violazione del diritto di difesa attraverso le ordinanze con le quali la Corte territoriale dapprima concedeva il termine a difesa richiesto dal nuovo difensore, nominato in sostituzione di quello precedente rinunziante e successivamente, vista l'assenza del legale nominato, procedeva nella discussione nominando un difensore d'ufficio in sostituzione di quello originario invocando l'art. 107, comma3, c.p.p.

Con il secondo motivo deduceva, invece, l'errata applicazione della legge penale in merito alla denegata concessione all'imputato delle circostanze attenuanti generiche.

La Corte di cassazione, ritenendo fondato il primo motivo, annullava la sentenza impugnata rinviando per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Torino.

La questione

La questione in esame è la seguente: qualora il difensore di fiducia dell'imputato rinunci al mandato oppure quest'ultimo venga revocato dal cliente e il nuovo difensore di fiducia nel frattempo nominato chieda ed ottenga dal giudice un termine a difesa, è possibile, nonostante la pendenza del termine, svolgere attività processuali, nominando all'uopo un sostituto, ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p., del difensore rinunziante o revocato?

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte ha avuto modo di affermare che la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia non ha effetto finché la parte non sia assistita da un nuovo difensore, come nel caso in cui non sia decorso il termine a difesa concesso, ai sensi dell'art. 108 c.p.p., al nuovo difensore nominato, con la conseguenza che, in tale ipotesi, deve ritenersi legittima la trattazione del dibattimento alla presenza del precedente difensore rinunciante, in quanto la pendenza del termine a difesa funge da condizione sospensiva dell'efficacia della rinuncia al mandato ai sensi del terzo comma dell'art. 107 c.p.p. (Cass. pen., Sez. V, 13 aprile 2015, n. 38944).

Quando l'imputato revoca il difensore di fiducia e ne nomina uno nuovo che chiede un termine a difesa, il giudice può legittimamente rigettare la contestuale istanza di rinvio presentata dal fiduciario subentrante in ragione di un concomitante impegno professionale e nominare per la celebrazione dell'udienza un difensore d'ufficio in sostituzione di quello originario non comparso, attesa la permanenza nell'incarico del primo difensore, il cui mandato mantiene efficacia fino alla decorrenza del termine a difesa, in forza di quanto previsto dagli artt. 107 e 108 c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, 17 marzo 2015, n. 15778).

La sentenza in commento sottopone a revisione critica l'orientamento sopra riportato, che ritiene frutto di una interpretazione lettera che frustra la ratio della disciplina.

Ad avviso della Corte, l'ultrattività del mandato del difensore rinunziante o revocato e il diritto del nuovo difensore ad ottenere un congruo termine per preparare la difesa sono previsioni dettate al fine di evitare che vi siano interruzioni nell'assistenza dell'imputato, a maggior ragione nelle fasi, come quelle dibattimentali, nelle quali la partecipazione del difensore è ritenuta dalla legge processuale come necessaria. Ciò si evince dalla lettura del terzo comma dell'art. 107 c.p.p., il quale impone la proroga del difensore rinunziante o revocato non solo fino alla nomina di un nuovo difensore ma altresì fino alla decorrenza del termine a difesa eventualmente concesso a quest'ultimo ai sensi dell'art. 108 c.p.p. Scopo di tale previsione è, infatti, quello di garantire l'effettività della difesa anche durante il tempo necessario al nuovo difensore per prendere conoscenza della materia processuale e svolgere quindi pienamente il proprio mandato.

È evidente, allora, che lo svolgimento di attività processuali in pendenza del termine a difesa rischia di svuotare del suo significato la disposizione dell'art. 108 c.p.p., a maggior ragione nel momento in cui lo stesso configura il conseguimento del termine come un vero e proprio diritto del difensore, che questi esercita non solo a garanzia della propria integrità professionale ma anche e soprattutto nell'interesse ed a tutela del proprio assistito. Inoltre, in tal modo si finisce per elidere anche il fondamentale diritto dell'imputato di scegliere il proprio difensore, a maggior ragione quando sia rimasto privo di assistenza non per sua volontà.

Ciò peraltro non significa che, nelle more del decorso del termine, non possano essere compiuti atti che richiedono la presenza del difensore, in quanto l'art. 108 c.p.p. (a differenza di altre disposizioni, come gli artt. 519 e 520 c.p.p.) non prevede espressamente che la concessione del termine a difesa debba comportare necessariamente la sospensione del procedimento per tutta la sua durata. Del resto, opinando diversamente non si comprenderebbe perché l'art. 107, comma 3, c.p.p. preveda la proroga del difensore revocato o rinunziante se alcuna attività processuale dovesse essere svolta a causa della sospensione del procedimento. Si aggiunga che un effetto sospensivo automatico potrebbe stimolare un uso strumentale della sostituzione del difensore, funzionale a determinare la paralisi del processo.

Risolvere il bilanciamento fra i contrapposti interessi sottesi alle disposizioni citate riconoscendo al giudice la facoltà di procedere in ogni caso avvalendosi del difensore revocato o rinunziante (o addirittura sostituendolo, come avvenuto nel caso di specie, con un difensore d'ufficio investito ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p.) costituisce, ad avviso della Corte, un indiscriminato ed irragionevole sacrificio dei diritti dell'imputato e del suo difensore garantiti dagli art.111, comma 3, Cost. e art. 6 § 3 lett. b) e c) Cedu. Proprio l'impossibilità di risolvere sul piano astratto il suddetto conflitto ha indotto il Legislatore a non esprimere una regola rigida come quella di imporre la sospensione necessaria del procedimento.

Ad avviso della pronuncia in commento, rispetto alla rigida impostazione dell'orientamento avverso, è preferibile ritenere che possano essere compiuti con l'assistenza del difensore rinunziante o revocato soltanto quelle attività processuali indifferibili, il cui svolgimento risulti incompatibile con il decorso del termine concesso al difensore subentrante.

Al riguardo, la Corte precisa, tuttavia, che l'urgenza processuale in grado di prevalere sull'effettività del termine a difesa non è legata esclusivamente a determinate categorie di atti indifferibili per loro stessa natura ma può rivelarsi in riferimento a qualsiasi adempimento processuale, spettando alla prudente valutazione del giudice individuare la regola di bilanciamento da applicare in relazione alle condizioni del caso concreto ed all'esito della comparazione tra l'urgenza dell'incombente e la compressione del diritto di difesa effettivamente imposto per procedervi, così come è sua facoltà, secondo l'insegnamento delle Sezioni unite (Cass.sentenza n. 155del 29 settembre 2011, Rossi e altri), perfino negare la stessa concessione del termine a difesa ex art. 108 c.p.p. qualora ritenga che l'avvicendamento del difensore abbia natura strumentale alla mera dilatazione dei tempi processuali traducendosi in un abuso del diritto.

Declinato il principio di cui sopra, la sentenza chiarisce che anche la celebrazione di un'udienza dibattimentale, ancorché dedicata esclusivamente alla discussione delle parti ed all'adozione della decisione, può essere ritenuta indifferibile ad un momento successivo al decorso del pur concesso termine a difesa, laddove in concreto sussistano condizioni che giustifichino siffatta valutazione (la pronuncia propone gli esempi dell'imminente prescrizione del reato e della scadenza dei termini cautelari, situazioni che invero lo stesso art. 108 c.p.p. già considera ai fini della contrazione della durata del termine a difesa), ovvero compatibile con la garanzia del diritto di difesa (si propone l'esempio di una udienza, relativa ad un processo soggettivamente cumulativo, i cui incombenti istruttori non attingano la posizione dell'imputato assistito dal difensore subentrante o nella quale si svolga la discussione di altri difensori).

Osservazioni

La sentenza che si commenta rappresenta una importante e condivisibile svolta garantista della suprema Corte in tema di effettività della difesa fiduciaria dell'imputato.

Come noto, l'art. 107 c.p.p. disciplina gli atti con i quali può essere evitata l'instaurazione o la prosecuzione di un rapporto professionale che non è basato (o non è più basato) sulla reciproca fiducia delle parti negoziali (assistito e difensore).

Mentre la non accettazione produce effetti dal momento in cui perviene la relativa comunicazione all'autorità giudiziaria procedente, con salvezza degli atti compiuti precedentemente e con l'eventualità di vuoti di copertura difensiva medio tempore, la rinuncia e la revoca sono prive d'effetto fino a che la parte non risulta assistita da un nuovo difensore (nominato dall'interessato o, in caso di inerzia di quest'ultimo, designato d'ufficio dal giudice) e non sia decorso l'eventuale termine a difesa richiesto da quest'ultimo. Per tali atti si realizza quindi una sorta di ultrattività a garanzia della continuità ed effettività della difesa.

Poiché il nuovo difensore può chiedere un termine a difesa, durante la pendenza del termine si verifica una coesistenza fra difensore rinunciante o revocato e nuovo difensore. Si è in realtà sottolineato, in dottrina, che l'art. 108 contiene un “innocuo lapsus” perché in casi del genere vi è già un nuovo difensore che ha chiesto il termine per la difesa e sarebbe, dunque, irragionevole che in tale spazio di tempo continui ad operare il patrocinatore abdicante o revocato; probabilmente il Legislatore voleva dire che, fino al compiuto decorso del termine concesso, ogni atto eventualmente realizzato sarebbe invalido.

Prima della decisione in commento, la suprema Corte aveva ritenuto che l'ultrattività del difensore rinunciante o revocato non rendesse obbligatorio il rinvio del processo a seguito della richiesta di un termine a difesa da parte del nuovo patrocinatore. Si era, inoltre, statuito che se il difensore di fiducia, dopo aver ricevuto l'avviso dell'udienza, rinuncia all'incarico prima della sua celebrazione, il giudice può provvedere alla nomina di un difensore d'ufficio anche all'udienza stessa, atteso che la suddetta rinunzia non ha effetto immediato, essendo il difensore di fiducia rinunciante ancora onerato della difesa dell'imputato fino all'intervento di tale nomina (Cass. pen., Sez. V,23 gennaio 2012,n. 14348).

Per quanto riguarda il giudizio di cassazione, la suprema Corte ha più volte chiarito che l'intervenuta revoca del difensore, comunicata dopo l'avvenuta notifica dell'avviso dell'udienza, è da considerare priva di rilevanza e, inoltre, non può giustificare alcuna richiesta di rinvio. Nel giudizio di cassazione l'obbligo per il presidente di nominare un difensore di ufficio è previsto dall'art. 613, comma 3, c.p.p. per l'ipotesi in cui l'imputato sia privo di difensore di fiducia ma se l'imputato ne sia munito e ad esso sia stato tempestivamente notificato l'avviso di udienza, la successiva revoca del mandato (come pure la rinuncia al mandato) non comporta l'obbligo di nomina di un difensore di ufficio e della notifica di una nuova udienza, con conseguente rinvio di quella già fissata. Un tale obbligo sorge solo nell'ipotesi in cui, rinviata l'udienza già fissata per un qualche motivo, occorra notificare un nuovo avviso, che non potrà essere notificato al difensore revocato o rinunciante (Cass. pen., Sez.fer., 20 agosto 2015,n. 38876).

Analogamente, nel giudizio d'appello è stata ritenuta legittima la trattazione del dibattimento alla presenza del precedente difensore rinunciante o revocato, il quale deve svolgere il suo mandato finché la parte non sia assistita da un nuovo difensore (Cass. pen., Sez. V, n. 38944/2015, cit.).

L'ultrattività del difensore rinunciante o revocato comporta anche che il giudice può legittimamente rigettare l'istanza di rinvio per concomitante impegno professionale presentata dal nuovo difensore subentrante e nominare, per la celebrazione dell'udienza, un difensore d'ufficio in sostituzione di quello originario non comparso (Cass. pen., Sez. II, n. 15778/2015).

In dottrina si sono manifestate alcune perplessità di fronte alla prosecuzione di attività giudiziarie in presenza di un difensore non più legato da un rapporto fiduciario con il proprio assistito. Si è, infatti, osservato che dal complesso meccanismo in esame la posizione dell'assistito risulta pregiudicata perché, ottenuto il termine ex art. 108 c.p.p., sopravvive la precedente difesa ormai “demotivata”, mentre, nell'ipotesi in cui il termine non venga richiesto, subentra subito il nuovo difensore che tuttavia non ha una conoscenza esaustiva del fascicolo.

Può verificarsi anche l'ipotesi in cui all'interruzione del rapporto fiduciario non segue una tempestiva designazione del difensore d'ufficio. In tal caso, se occorre compiere un atto per il quale è necessaria la presenza dell'avvocato, il giudice deve rinviarlo, pena, altrimenti, l'integrazione di una nullità assoluta ex art. 179, comma 1, c.p.p.

La pronuncia in esame, sulla scorta delle riflessioni dottrinali riportate sopra, ritiene che la facoltà del giudice di procedere in ogni caso avvalendosi del difensore revocato o rinunziante (o addirittura sostituendolo con un difensore d'ufficio investito ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p.) si risolve in un indiscriminato ed irragionevole sacrificio dei diritti dell'imputato e del suo difensore, così come scolpiti nella carta costituzionale e nella Cedu.

Ad avviso di questo nuovo orientamento, appare dunque preferibile ritenere che possano essere compiuti con l'assistenza del difensore rinunziante o revocato tutte quelle attività processuali il cui svolgimento risulti incompatibile con il decorso del termine concesso al difensore subentrante, al cui compimento devono altrimenti essere differite.

Si è peraltro precisato che l'urgenza processuale in grado di prevalere sull'effettività del termine a difesa non è legata esclusivamente a determinate categorie di atti indifferibili per loro stessa natura, ma può rivelarsi in riferimento a qualsiasi adempimento processuale, spettando alla prudente valutazione del giudice individuare la regola di bilanciamento da applicare in relazione alle condizioni del caso concreto ed all'esito della comparazione tra l'urgenza dell'incombente e la compressione del diritto di difesa.

Guida all'approfondimento

TRINCI, Art. 107, in BELTRANI (diretto da), Codice di procedura penale commentato, Giuffrè, 2016.

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