Incostituzionale il divieto di selezione eugenetica degli embrioni

Serena Santini
29 Gennaio 2016

È costituzionalmente illegittimo il divieto di selezione eugenetica degli embrioni di cui all'art. 13, l. 40/2004 nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l'impianto nell'utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili. Non è fondata, invece, la Q.L.C sul divieto di soppressione degli embrioni soprannumerari di cui all'articolo 14.
Massima

È costituzionalmente illegittimo il divieto di selezione eugenetica degli embrioni di cui all'art. 13, commi 3, lettera b) e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l'impianto nell'utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela della maternità e sulla interruzione della gravidanza) e accertate da apposite strutture pubbliche. Al contrario, non è fondata la questione di legittimità costituzionale sul divieto di soppressione degli embrioni soprannumerari di cui all'articolo 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita).

Il caso

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal tribunale di Napoli nell'ambito di un procedimento penale nei confronti dei componenti di un'équipe medica, imputati di aver costituito un'associazione per delinquere che in più occasioni avrebbe praticato diagnosi e selezioni preimpianto (con conseguente soppressione degli embrioni non impiantati) a favore di coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche trasmissibili al feto, riconducibili nell'alveo dell'art. 6, comma 1, lettera b) legge n. 194/1978, vale a dire rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro tali da determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Il giudice a quo dubitava, in particolare, della legittimità costituzionale dei divieti di selezione eugenetica degli embrioni e di soppressione degli stessi, nella parte in cui tali divieti sono posti in termini assoluti senza far spazio ad alcuna eccezione, nemmeno nelle ipotesi in cui le tecniche di procreazione medicalmente assistita coinvolgano coppie portatrici di gravi patologie genetiche trasmissibili al nascituro.

Due, quindi, le disposizioni sottoposte al sindacato della Consulta:

  • il divieto di selezione eugenetica degli embrioni (di cui all'art. 13, commi 3 lett. b) e 4, legge 40/2004);
  • il divieto di soppressione degli embrioni soprannumerari (di cui all'art. 14, commi 1 e 6, legge 40/2004).
La questione

La questione affrontata dalla Consulta riguarda la legittimità costituzionale dei divieti di selezione eugenetica degli embrioni e di soppressione degli embrioni soprannumerari, nell'ambito specifico delle tecniche di procreazione medicalmente assistita che coinvolgano coppie fertili portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili.

Prima di approfondire lo specifico tema affrontato dalla sentenza in commento sono opportune due precisazioni: la prima, in merito alla sussumibilità della condotta del medico nel divieto di selezione eugenetica degli embrioni, anche laddove tale condotta sia esclusivamente finalizzata ad impedire il trasferimento degli embrioni affetti da patologie genetiche; la seconda, in merito al contesto nel quale la presente decisione della Corte costituzionale si inserisce.

Parte della dottrina, così come la giurisprudenza civile, ha, infatti, sempre escluso – ancor prima della decisione della Consulta in esame – la sussumibilità, nell'ambito di applicazione di cui all'art. 13, comma 3, lett. b), l. 40/2004, della condotta del medico finalizzata esclusivamente ad impedire il trasferimento di embrioni affetti da patologie genetiche, e ciò sulla scorta di due ordini di considerazioni:

  • da un lato, l'impossibilità di qualificare come attività di sperimentazione la condotta del medico di selezione degli embrioni da impiantare nell'utero della donna sulla base delle eventuali malattie genetiche riscontrate. Il divieto di selezione eugenetica degli embrioni non costituisce, infatti, fattispecie autonoma, bensì circostanziale rispetto al più ampio divieto di sperimentazione stabilito al comma 1 del predetto articolo 13, con la conseguenza che esso deve condividerne i connotati essenziali. Arduo, a parere della dottrina, qualificare come attività di sperimentazione una condotta che si limiti a scegliere quali embrioni impiantare, con la prospettiva di una miglior tutela della salute fisica e psichica della donna;
  • dall'altro, l'impossibilità di qualificare come eugenetica la condotta del medico che si limiti ad individuare le malattie genetiche eventualmente contratte dagli embrioni e ad effettuare un intervento selettivo solo in ragione di queste, non potendosi considerare tale condotta quale forma di manipolazione dell'embrione che miri al miglioramento del patrimonio genetico.

La fondatezza di tali rilievi sembrerebbe essere confermata dal fatto che, a quanto ci risulta, non sono mai state pronunciate sentenze di condanna per il delitto in questione.

In secondo luogo, la decisione in commento si inserisce senza soluzione di continuità nella scia della recente sentenza della Corte costituzionale n. 96/2015. Qualche mese fa, infatti, la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità delle disposizioni della legge sulla procreazione medicalmente assistita che vietavano, alle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e di diagnosi genetica preimpianto.

Tale decisione della Corte costituzionale – in linea con la sentenza della Corte Edu Costa e Pavan c. Italia, del 28 agosto 2012, con la quale i giudici di Strasburgo avevano ritenuto il divieto in questione contrario all'art. 8 Cedu – avallava quell'interpretazione costituzionalmente orientata della legge 40/2004 – sposata da una parte della giurisprudenza civile nell'ambito delle procedure di ricorso ex art. 700 c.p.c. e fatta propria anche dal giudice a quo – che già ammetteva la possibilità di accedere alle tecniche di diagnosi genetica preimpianto. Ciò al fine esclusivo – come chiarito nella motivazione della sentenza n. 96/2015della previa individuazione, in funzione del successivo impianto nell'utero della donna, di embrioni cui non risulta trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro.

La Consulta aveva, in quel caso, sottolineato l'irragionevolezza e la palese antinomia normativa di una disciplina che, da un lato, vietava alle coppie fertili di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e di diagnosi genetica preimpianto e, dall'altro, ammetteva la possibilità di ricorrere all'aborto terapeutico – pratica certamente più invasiva rispetto alla diagnosi preimpianto – anche oltre il limite legale dei novanta giorni, nel caso in cui nel corso della gravidanza fosse stata diagnosticata una grave malattia genetica del feto.

Tuttavia, venuto meno il divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, alcuni continuavano a vedere nel divieto di cui all'art. 13, comma 3, lett. b) un ostacolo penale alle tecniche di selezione degli embrioni da impiantare nel caso di accertamento di patologie genetiche negli stessi. A parere di alcuni – anche se per il vero nessun giudizio penale corrobora tale interpretazione – tale condotta continuava a rimanere penalmente sanzionata. Di fatto tale norma – come sottolineato nell'ordinanza di rimessione dal tribunale di Napoli – sembrava rendere non effettivo il diritto della coppia di accedere alle tecniche di diagnosi genetica preimpianto. Con l'ulteriore rischio di trasformare la diagnosi preimpianto in un'indagine fine a se stessa, senza possibilità di trarne vantaggi rispetto alle finalità.

Il divieto di selezione degli embrioni, laddove applicabile anche alle condotte sopra descritte, appariva pertanto irragionevole e in aperta contraddizione rispetto alla facoltà ormai riconosciuta dalla Consulta di ricorrere alle tecniche di diagnosi genetica preimpianto e ancor più irragionevole se confrontato con le norme sull'interruzione di gravidanza.

Passando ora alla seconda fattispecie di reato oggetto dell'ordinanza di rimessione, occorre rilevare che il tribunale di Napoli dubitava della legittimità costituzionale del divieto di soppressione degli embrioni di cui all'art. 14, commi 1 e 6, della l. 40/2004, nella parte in cui tale divieto avrebbe potuto applicarsi anche nel caso di soppressione di embrioni che, risultati affetti da gravi patologie genetiche a seguito della D.G.P. (Diagnosi Genetica Preimpianto), non dovevano essere impiantati nell'utero della donna. Irragionevole, a parere del giudice rimettente, impedire al medico di sopprimere gli embrioni affetti da gravi patologie genetiche, salvo poi consentirgli di praticare l'aborto terapeutico del feto affetto dalle medesime patologie anche oltre il termine legale di novanta giorni.

Le soluzioni giuridiche

Alla luce della diversità di sorti cui sono andate incontro le due fattispecie di reato sottoposte al vaglio della Consulta, per ragioni di chiarezza espositiva, ci sembra opportuno affrontare le questioni separatamente.

Quanto al divieto di selezione eugenetica, la Corte costituzionale, con una motivazione piuttosto stringata, ha ritenuto fondata la questione solo con riferimento al principio di non contraddizione di cui all'art. 3 Cost., risultando al contrario assorbiti gli ulteriori profili di censura. In particolare la Consulta, richiamando la propria sentenza n. 96/2015, si è limitata a rilevare come: quanto è divenuto così lecito, per effetto della suddetta pronuncia additiva, non può dunque – per il principio di non contraddizione – essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante.

La Corte Costituzionale non esamina dunque né la censura sollevata ex art. 32 Cost., sotto il profilo del vulnus alla tutela del diritto alla salute, né quella ex art. 117, comma 1, Cost. in relazione all'art. 8 Cedu così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sotto il profilo della violazione del diritto della coppia a generare un figlio non affetto da malattie genetiche.

La Consulta ha invece disatteso tutte le censure sollevate in punto di divieto di soppressione degli embrioni soprannumerari, confermando così la legittimità della norma.

L'ordinanza di rimessione invocava quali parametri:

  • l'art. 2 Cost., sotto il profilo del vulnus al diritto di autodeterminazione della coppia;
  • l'art. 3 Cost., sotto il profilo della contraddittorietà di una disciplina che vieta al medico di sopprimere gli embrioni soprannumerari affetti da gravi patologie genetiche, ma che gli consente allo stesso tempo – ex art. 6 legge 194/1978 - di praticare l'aborto terapeutico, anche oltre il termine legale di novanta giorni dall'inizio della gravidanza nel caso di gravi malattie genetiche del feto;
  • l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 8 Cedu così come interpretato dalla giurisprudenza di Strasburgo, sempre sotto il profilo della lesione del diritto della coppia a generare un figlio non affetto da malattie genetiche.

Ciò che auspicava il giudice rimettente era un restringimento dell'ambito applicativo della fattispecie penale con correlativa espunzione dall'area del penalmente rilevante delle condotte di soppressione dei soli embrioni affetti, sulla base delle emergenze della D.G.P. da gravi patologie genetiche.

Tre le argomentazioni che hanno indotto la Corte COstituzionale a ritenere non fondate le censure sollevate:

  • l'insindacabilità della discrezionalità legislativa in punto di individuazione delle condotte penalmente punibili, nell'ipotesi in cui - come nel caso della norma in esame - il suo esercizio non ne rappresenti un uso distorto od arbitrario in violazione del canone della ragionevolezza;
  • l'assenza di un interesse antagonista suscettibile di controbilanciare il vulnus alla tutela della dignità dell'embrione ex art. 2 Cost., quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res. In particolare, la Corte Costituzionale – richiamando i propri precedenti in merito – ha sottolineato come le esigenze di tutela dell'embrione siano suscettibili di “affievolimento” solo ove si realizzi un conflitto (ritenuto insussistente nel caso della norma in esame) con altri interessi di pari rilievo e prevalenti secondo la logica del bilanciamento;
  • l'insussistenza di una lesione del diritto all'autodeterminazione della coppia e del diritto a generare un figlio non affetto da malattie genetiche, sulla scorta dell'agevole considerazione che il divieto di soppressione dell'embrione affetto da patologia genetica non comporti un suo impianto coattivo nell'utero della donna.

Unica risposta al quesito circa la sorte degli embrioni che, in quanto affetti da gravi patologie genetiche, non saranno impiantati nell'utero della donna rimane pertanto, a parere della Consulta, quella della loro crioconservazione.

Tuttavia, tale indicazione ad opera della Corte costituzionale appare problematica. La crioconservazione è, infatti, tutt'oggi penalmente vietata dall'art. 14, comma 1, legge 40/2004. Fa eccezione l'ipotesi di cui al comma 3 del medesimo articolo, a norma del quale è consentita la crioconservazione qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione, dovendosi tuttavia procedere all'impianto non appena possibile. Tuttavia, con la sentenza n. 151/2009, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di produzione di embrioni soprannumerari e l'articolo 14, comma 3, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzarsi il prima possibile, debba essere effettuato in ogni caso senza pregiudizi per la salute della donna. La dottrina ha così ritenuto – e la decisione in esame della Consulta sembrerebbe avallare tale interpretazione – che fosse così caduto per via implicita il divieto di crioconservazione degli embrioni prodotti ma non trasferiti, i quali dunque potranno essere conservati legittimamente, laddove il medico, all'esito della diagnosi e selezione preimpianto – e al fine di tutelare la salute della donna - ritenga di non doverli impiantare. Un intervento maggiormente chiarificatore sul punto si sarebbe forse reso necessario, attesa la delicatezza della questione.

Osservazioni

Ancora una volta, dunque, la legge 40/2014 non ha superato la prova di resistenza logica cui è stata sottoposta e la Corte costituzionale, seppur con una motivazione piuttosto stringata, ha compiuto un'operazione di “chirurgia estetica”, contribuendo ad adeguare la disciplina sulla procreazione medicalmente assistita a quella sull'interruzione di gravidanza. La sentenza dà così piena legittimazione alle tecniche di selezione preimpianto finalizzate al trasferimento nell'utero della donna dei soli embrioni sani, sempreché tale selezione non sfoci nella soppressione degli embrioni non trasferiti.

La decisione della Corte costituzionale sembra dare, metaforicamente, un colpo al cerchio e un colpo alla botte, nel tentativo di conciliare due istanze – forse solo apparentemente – di segno opposto: da un lato, attraverso il riconoscimento della possibilità per il medico di selezionare gli embrioni da impiantare, il diritto della coppia a generare un figlio non affetto da gravi malattie; dall'altro, conservando il divieto di soppressione, la tutela della dignità dell'embrione.

D'altro canto, tale ennesima pronuncia sulla legge n. 40/2004, come sostenuto da più parti, può forse costituire un valido spunto per considerazioni di più ampio respiro sulla tenuta logica dell'intero complesso normativo, ridisegnato nei confini dalle pronunce via via susseguitesi della Corte costituzionale e della Corte Edu. Non appare infatti peregrino interrogarsi circa l'opportunità che sul tema torni – finalmente – ad intervenire il legislatore con una nuova disciplina che, alla luce dei diritti coinvolti – ed espressamente consacrati dai giudici di Strasburgo e della Consulta – appaia più coerente rispetto alle finalità che, fin dall'inizio, in realtà la norma si poneva: favorire la soluzione dei problemi riproduttivi.

Guida all'approfondimento

E. Dolcini, Fecondazione assistita e diritto penale, Milano, Giuffré, 2008

P. Sanfilippo, La riscrittura giurisprudenziale della legge n. 40/2004: un caso singolare di eterogenesi dei fini, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2/2015

A. Vallini, Illecito concepimento e valore del concepito, Torino, Giappichelli, 2012

A. Vallini, Ancora sulla selezione preimpianto: incostituzionale la fattispecie di selezione embrionale per finalità eugenetiche ma non quella di embrionicidio, Diritto Penale Contemporaneo, dicembre 2015

A. Vallini, Ardita la rotta o incerta la geografia? La disapplicazione della legge 40/2004 "in esecuzione" di un giudicato della Corte EDU in tema di diagnosi preimpianto, Diritto Penale Contemporaneo, dicembre 2013

F. Viganò, La sentenza della Consulta sul divieto di accesso alla fecondazione assistita per coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili (e una chiosa finale sulla questione della diretta applicazione della CEDU), Diritto Penale Contemporaneo, giugno 2015.

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