Sentenza Taricco: per la Cassazione non può applicarsi ove la prescrizione sia già decorsa

Paolo Pittaro
29 Marzo 2016

In ipotesi di reato di frode grave lesiva degli interessi dell'Ue, ai sensi dell'art. 325, paragrafi 1 e 2, T.F.Ue, il giudice, essendo il reato prescritto in base alla normativa vigente, deve disapplicare gli artt. 160 e 161 c.p., dando seguito alla sentenza Taricco dell'Ue e procedere alla condanna del reo nonostante l'intervenuta prescrizione?
Massima

A seguito della sentenza Taricco della Corte di giustizia dell'Ue, qualora debba ritenersi la prescrizione interrotta o sospesa ai sensi degli artt. 160 e 161 c.p., occorre vagliare se questa sia esaurita ovvero sia ancora in corso alla data della pubblicazione della suddetta sentenza. Nella prima ipotesi deve dichiararsi l'avvenuta prescrizione e l'irrilevanza della pronuncia della Corte di giustizia; nella seconda ipotesi, invece, la pronuncia della Corte di giustizia potrebbe rendere inapplicabile la vigente normativa sulla prescrizione.

Il caso

A seguito di una complessa vicenda processuale (duplice grado di giudizio, ricorso in Cassazione, annullo con rinvio, sentenza del giudice di rinvio) gli imputati, condannati anche per il reato di cui all'art. 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, ricorrono nuovamente per Cassazione. Dei 21 motivi di ricorso presentati dal difensore, uno di questi è di particolare interesse in questa sede.

Il reato ascritto contempla false fatturazioni e frode fiscale in tema di Iva per gli anni 2004 e 2005. Palese la prescrizione per quanto riguarda l'anno 2004; da doversi dichiarare invece, a seguito di un computo giuridico e cronologico che qui non rileva, quella relativa all'anno 2005. Nel frattempo, tuttavia, è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 8 settembre 2015, Taricco ed altri (si veda in questa rivista, GIOIA, Frodi Iva, se una prescrizione troppo breve pregiudica gli obblighi verso l'Ue. La sentenza Taricco), la quale ha rilevato che la normativa italiana in materia di prescrizione del reato (artt. 160 e 161 c.p.) può pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall'art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (T.F.Ue), nell'ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea.

Pertanto, la Corte di Lussemburgo ha affermato che il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all'articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all'occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.

La questione

La questione in esame è la seguente: in ipotesi di reato di frode grave lesiva degli interessi dell'Ue, ai sensi dell'art. 325, paragrafi 1 e 2, T.F.Ue, il giudice, essendo il reato prescritto in base alla normativa vigente, deve disapplicare gli artt. 160 e 161 c.p., dando seguito alla sentenza Taricco dell'Ue e procedere alla condanna del reo nonostante l'intervenuta prescrizione?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione è ben conscia del problema giuridico di non poco conto suscitato dalla sentenza Taricco, per cui l'applicazione delle richiamate norme del T.F.Ue potrebbero rendere inefficaci quelle del diritto interno. Norme, tuttavia, che portano alla incriminazione del reo mentre quelle interne, ritenendo il reato prescritto, porterebbero alla sua non punibilità. In altri termini, si tratterebbe di una normativa contra reum, che si innesta nella annosa questione del diritto comunitario come fonte diretta di norme penali.

Tant'è che, come è noto, la Corte d'appello di Milano, II Sez. penale, con l'ord. 18 settembre 2015, ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale relativa all'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, recante Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007, nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325, §§ 1 e 2 TFUE, dalla quale – nell'interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia nella sentenza in data 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco – discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, secondo comma, Cost.

In definitiva, il giudice di merito auspica che la Consulta applichi i c.d. controlimiti alla normativa europea, facendo leva sulla sovranità in materia penale dell'ordinamento interno, quale sancita dalla disposizione costituzionale richiamata.

La suprema Corte, tuttavia, pur sollecitata dalla difesa, non ritiene di dover sollevare analoga eccezione di costituzionalità, atteso che la questione a suo avviso difetta, nel caso scrutinato, del necessario requisito della rilevanza, in quanto ritiene non doversi applicare i principi indicati dalla sentenza Taricco, facendo leva su due distinti aspetti.

In primo luogo, deve osservasi che la sentenza Taricco si richiama alla citata disposizione europea, la quale contempla una frode grave a danno degli interessi finanziari dell'Unione, ed a seguito della quale dovrebbe disapplicarsi la normativa interna in tema di prescrizione del reato. Ma né la disposizione richiamata né la stessa Corte di giustizia forniscono un criterio per stabilire la soglia di tale gravità. Tale valutazione spetta, dunque, al giudice statale che dovrebbe applicare la norma. Ebbene, la Cassazione sottolinea come nei vari gradi di giudizio e nella stessa precedente sentenza di rinvio della Corte stessa, si sia sempre esclusa, in riferimento al reato ascritto, l'aggravante di cui all'art. 61 n. 7 c.p., che proprio prevede un danno patrimoniale di rilevante gravità.

Peraltro, nella complessa vicenda di cui trattasi, quand'anche si possa parlare di un “carosello” di condotte truffaldine protrattesi per diversi anni, è ben vero che queste, relativamente agli anni precedenti, sono oramai tutte prescritte con sentenza passata in giudicato, e che rimane oggetto di giudizio, a sua volta passibile di prescrizione, solamente quella relativa all'anno 2015, la cui entità non solo è sicuramente ridimensionata rispetto alla valutazione complessiva dell'attività fraudolenta, ma della quale non è stato ancora definito il quantum dell'imposta di cui si assume l'evasione.

In secondo luogo, la Corte si sofferma sul profilo intertemporale che la questione presenta, sottolineando che, in base ai calcoli effettuati, la prescrizione del reato contestato è decorsa prima che la Corte di giustizia, nella sentenza Taricco, effettuasse la cennata interpretazione dell'art. 325 T.F.Ue, tale da vanificare la prescrizione sancita dalla normativa nazionale.

E non a caso la Corte riporta esaustivamente le conclusioni che, proprio nella causa Taricco, aveva pronunciato il procuratore generale presso la Corte di giustizia, Juliane Kokott, il quale aveva precisato che l'interpretazione della norma europea, proposta e poi recepita in sentenza, apre, in tutti i casi in cui non è ancora intervenuta la prescrizione [il grassetto è della Corte], un margine discrezionale ai fini della considerazione di valutazioni di diritto dell'Unione che i giudici degli Stati membri devono sfruttare completamente in sede di applicazione del rispettivo diritto nazionale, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (§ 121).

In altri termini, la Corte di cassazione viene ad affermare che la prescrizione oramai decorsa prima della sentenza Taricco rappresenta un diritto quesito per il soggetto e che solo per una prescrizione non ancora esaurita al tempo della sentenza Taricco possa effetuarsi il confronto con il richiamo alla disposizione europea che ne impone la disapplicazione.

Pertanto, la suprema Corte conclude nel senso che appare ragionevole sostenere che la disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p., per assicurare la tenuta dei principi ispiratori del sistema penale nazionale (a cominciare dall'art. 25, comma 2, Cost.) e al tempo stesso il rispetto dell'ordinamento dell'Unione europea (art. 117, comma 1, Cost.), debba valutarsi rispetto ai fatti non ancora prescritti alla data della pubblicazione della sentenza Taricco (3 settembre 2015), fra i quali non rientra il caso in esame.

In definitiva, il duplice rilevo che trattasi di una frode non grave e che, comunque, la prescrizione è decorsa prima della pubblicazione della sentenza Taricco, conducono la Corte di Cassazione di annullare senza rinvio la sentenza in ordine al predetto reato, in quanto oramai prescritto.

Osservazioni

La pronuncia in commento si pone in netto contrasto con quanto affermato da Cass. pen., Sez. III, 15 settembre 2015-20 gennaio 2016, n. 2210 (sulla quale GAMBOGI, Per le frodi fiscali in materia di Iva vi è una nuova prescrizione, in questa Rivista), la quale è pervenuta alla decisione opposta, ritenendo, sulla base della sentenza Taricco, la disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p., per quanto concerne il reato di cui all'art. 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, essendo prevalente l'esigenza sanzionatoria espressa dall'art. 325 T.F.Ue.

Il punto, qui espresso in estrema sintesi, non sta, a confronto con la sentenza in commento, nel definire gravi le frodi finanziarie in quel caso commesse e, quindi, in linea con la precisione europea, quanto nel fatto di ritenere che la prescrizione decorsa secondo il diritto interno possa dilatarsi ulteriormente in forza della sentenza Taricco. La suprema Corte, in questa decisione, è del parere che la prescrizione, essendo di natura processuale, sfugge alle garanzie di cui all'art. 25, comma 2, Cost.

Da questo profilo, invece, la sentenza in commento appare nettamente condivisibile. Vero che per le norme processuali vale il principio del tempus regit actum, così come è vero che su certi istituti, come la prescrizione, è aperto di dibattito sulla loro natura giuridica sostanziale ovvero processuale ma è anche vero che le garanzie costituzionali debbono considerarsi operative in relazione alla situazione giuridica che verrebbe a crearsi nei confronti del reo. Così, proprio in riferimento alla prescrizione, il cui decorso comporta la non punibilità, la garanzia costituzionale della irretroattività della legge penale di cui all'art. 25, comma 2, Cost. viene in considerazione a prescrizione oramai decorsa, che una legge successiva non potrebbe allungare. Diverso, invece, il caso di una prescrizione ancora in atto, non scaduta, che una disposizione giuridica potrebbe dilatare nei suoi tempi massimi. Il reo, infatti, nella prima ipotesi può contare sulla normativa, alla cui stregua i tempi della prescrizione sono esauriti, e quindi sulla sua non punibilità oramai dichiarata, che l'ordinamento non può rimettere in gioco. Nella seconda ipotesi, invece, a prescrizione ancora aperta, il reo non può contare sui tempi inizialmente previsti dal sistema penale e che questi non potrebbe più allungare, ovverosia far leva sul decorso del tempo per evitare la sanzione penale comunque prevista per la sua condotta criminosa, magari sottraendosi per tale periodo alla giustizia penale (in tale senso, in dottrina, autorevolmente MARINUCCI- DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, V ed., Milano, 2015, 110; cfr., inoltre, Cass. pen., Sez. VI, 8 gennaio 2014, n. 14288; Cass. pen., Sez. VI, 1° dicembre 2010, n. 12400; Cass. pen., Sez. unite, 29 ottobre 2009, n. 47008).

Del resto, era proprio questo il rilievo espresso dal procuratore generale presso la Corte di giustizia di Lussemburgo nel corso nel procedimento Taricco, come già evidenziato.

Qualche perplessità può, invece suscitare il riferimento alla gravità della frode come richiamata dalla sentenza europea, nel senso di dare una precisa dimensione a tale richiamo. La soluzione della Cassazione, che viene ad escluderla in base alla denegata applicazione dell'aggravante dei cui all'art. 61, n. 7, c.p. che prevede un danno patrimoniale di rilevante gravità, è indubbiamente una soluzione elegante e comunque riferibile solo alla fattispecie concreta in esame, ma che non risolve la questione, che rimane affidata al giudice di merito.

In ultima istanza rimaniamo in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, investita della questione. Come ultimo accenno non possiamo non esprimere un'ulteriore perplessità: sancire tout court l'applicabilità della sentenza Taricco, al di là dei pregnanti problemi relativi all'ordinamento comunitario come fonte di norme penali incriminatrici e, quindi contra reum, nonostante il noto deficit di democraticità che lo affligge, comporterebbe, nei casi di frode finanziaria verso l'Unione (ad esempio tramite l'elusione del pagamento dell'Iva), un dilatarsi della prescrizione ma senza alcun termine preciso, quasi ritenendo tali illeciti imprescrittibili al pari, ad esempio, dei delitti contro l'umanità. Il che, sinceramente, ci sembra assurdo ed improponibile.

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