Ignorantia legis non excusat? Un caso di errore scusabile sulla legge penale

29 Maggio 2017

La questione giunta al vaglio del tribunale di Milano involge il tema della scusabilità dell'ignoranza inevitabile della legge penale. Il punctum pruriens della vicenda in esame consiste nello stabilire quando l'errore sulla legge penale possa ritenersi scusabile e, di conseguenza, escludere la responsabilità del soggetto attivo.
Massima

La non sufficiente chiarezza del dato normativo e l'assenza di una giurisprudenza di legittimità come di merito sul punto, unitamente alla buona fede del soggetto agente, rappresentano un caso di errore scusabile e inevitabile sulla legge penale.

Il caso

Il caso in questione trae origine dalla condotta posta in essere da un cittadino straniero, proveniente da un Paese extra Ue che, quale preposto/conduttore di una società con sede principale in Egitto, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, e in tempi diversi, effettuava una attività di gestione rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, costituiti da veicoli fuori uso, in assenza della prescritta autorizzazione; attività di raccolta che veniva esercitata all'interno del Parco Agricolo Sud Milano, tutelato ex lege, senza le necessarie autorizzazioni paesaggistiche.

All'imputato si contestava, altresì, di svolgere tale tipo di attività senza l'osservanza delle prescrizioni contenute nell'Allegato I del d.lgs.209/2003 relativo ai requisiti dell'impianto, all'organizzazione del centro di raccolta, ai criteri per lo stoccaggio dei rifiuti e ai criteri di gestione complessiva dell'impianto stesso.

Veniva inoltre contestato l'illecito trattamento delle acque meteoriche di prima pioggia (c.d. acque di dilavamento).

Nel corso della istruttoria dibattimentale emergeva in modo incontrovertibile la natura della attività svolta dall'imputato come sopra descritta.

In particolare emergeva la natura di autodemolizione e discarica dell'attività svolta, dedotta dalla presenza di un'area adibita ad autofficina, nella quale venivano smontati gli automezzi, oltre che dall'assenza di targhe sui veicoli. Allo stesso modo emergeva come siffatta attività fosse svolta dall'imputato in assenza delle autorizzazioni ambientali.

Sul punto l'imputato dichiarava, tuttavia, di non aver richiesto alcuna autorizzazione ambientale ritenendo che la sua attività non avesse ad oggetto la gestione dei rifiuti escludendo che tali fossero i veicoli usati e destinati all'esportazione.

Il tribunale, pur ritenendo pacifica la gestione di rifiuti senza autorizzazione da parte dell'imputato, così integrando con la propria condotta la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 256, comma 1, lett. a) e b) in relazione all'art. 208 del d.lgs. 152/2006, pronunciava sentenza di assoluzione per tutti i capi di imputazione sul presupposto della non sufficiente chiarezza del dato normativo e dell'assenza di una giurisprudenza di legittimità e di merito sul punto.

A ciò il giudice di merito aggiungeva la totale buona fede dell'imputato, desumibile dalle dichiarazioni dallo stesso rese nel corso dell'istruttoria dibattimentale. L'imputato, infatti, aveva dichiarato di non aver richiesto l'autorizzazione ambientale escludendo che la merce esportata fosse qualificabile come rifiuto, ribadendo l'assenza di contestazioni da parte delle autorità amministrativa con le quali regolarmente si rapportava.

Tutto ciò induceva il giudice del tribunale di Milano a pronunciare sentenza di assoluzione per tutti i capi di imputazione, essendo l'imputato incorso in un errore scusabile sulla legge penale, ai sensi dell'art. 5 c.p., così come interpretato dalla Corte cost. con la nota sentenza n. 364/1988 e come costantemente interpretato dalla Corte di cassazione e dalla Cedu.

La questione

La questione giunta al vaglio del tribunale di Milano involge il tema della scusabilità dell'ignoranza inevitabile della legge penale.

Il punctum pruriens della vicenda in esame consiste nello stabilire quando l'errore sulla legge penale possa ritenersi scusabile e, di conseguenza, escludere la responsabilità del soggetto attivo.

In particolare occorre verificare se e quando un soggetto possa invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale e quale rilevanza può assumere in tal senso la insufficiente chiarezza del dettato normativo, l'assenza di precedenti giurisprudenziali di merito e di legittimità e la buona fede dell'agente valutata alla luce delle risultanze della istruttoria dibattimentale.

La vicenda in questione richiede di svolgere alcune imprescindibili considerazioni in merito al principio della necessaria conoscenza e/o conoscibilità del precetto penale e alla rilevanza della ignorantia legis.

Le soluzioni giuridiche

La conoscenza e/o la conoscibilità del precetto penale rappresentano un elemento fondamentale della colpevolezza.

Affinché al soggetto agente possa muoversi un addebito di responsabilità penale ci si chiede se sia necessario che lo stesso conosca effettivamente il precetto penale oppure se possa ritenersi sufficiente che lo stesso, alla stregua dei criteri di normalità, potesse conoscerlo.

Si tratta del principio della necessaria conoscenza - conoscibilità del precetto penale ovvero della rilevanza o meno dell'ignoranza della legge penale da parte del soggetto agente.

Sul punto si contrappongono in dottrina diverse teorie.

Secondo una prima teoria, fondata sulla originaria impostazione dell'art. 5 c.p., sarebbe assolutamente irrilevante l'ignoranza del precetto penale violato da parte del soggetto agente, essendo l'ordinamento interno fondato sul principio della inescusabilità assoluta della ignorantia legis.

Alcuni Autori rinvenivano il fondamento della irrilevanza della ignorantia legis nel principio della obbligatorietà della legge penale (FIANDACA), altri, invece, nel principio di presunzione di conoscenza delle legge stessa (PETROCELLI, MANZINI).

Il CARRARA, invece, stigmatizzando il tentativo di rinvenire il fondamento dell'irrilevanza della ignorantia legis nei principi testé esposti, riconduceva il tutto alla assoluta intollerabilità da parte dello Stato dell'ignoranza delle sue stesse norme.

In tal senso l'Autore ammoniva che « ammettere l'imputato a provare l'ignoranza, significherebbe esporre a ruina tutto l'edificio del giure punitivo »

Secondo una diversa corrente di pensiero può ritenersi scusabile la c.d. ignoranza inevitabile e inescusabilela c.d. ignoranza evitabile.

La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni affrontato la tematica della rilevanza della ignorantia legis, questione sulla quale è intervenuta anche la Corte costituzionale con la nota sentenza del 24 marzo 1988, n. 364 con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità della ignoranza della legge penale, l'ignoranza inevitabile.

Secondo la Consulta, perché sia legittimamente punibile, il fatto imputato deve necessariamente includere almeno la colpa dell'agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica.

Il principio di legalità dei reati e delle pene e quello di previa pubblicazione della legge, prosegue la Consulta, implicano l'adempimento da parte dello Stato di ulteriori doveri costituzionali, concernenti la formulazione e i contenuti delle norme penali, in guisa che queste siano riconoscibili dai cittadini

Allo stesso tempo, sebbene non sia configurabile un autonomo dovere di conoscenza delle singole leggi penali, incombono sui destinatari dei precetti doveri di informazione e di diligenza strumentali all'osservanza dei medesimi e dall'adempimento o meno di tali doveri dipende la qualificazione della ignoranza della legge come inevitabile (e dunque scusabile) ovvero come evitabile (e dunque inescusabile).

Al fine di qualificare l'ignoranza della legge penale come inevitabile, occorre far riferimento a criteri oggettivi puri o misti (obiettiva oscurità del testo, gravi contrasti interpretativi giurisprudenziali, ecc.), tenendo conto, peraltro, di quelle particolari condizioni e conoscenze del singolo soggetto, tali da rendere l'ignoranza inescusabile, pur in presenza di un generalizzato errore sul divieto.

Non può comunque ravvisarsi ignoranza inevitabile allorché l'agente si rappresenti la possibilità che il fatto sia antigiuridico, salvo l'ipotesi di dubbio oggettivamente irrisolvibile (attinente cioè alla necessità di agire o non agire per evitare la sanzione).

Deve, invece, di regola ritenersi che l'ignoranza sia inevitabile allorché l'assenza di dubbi sull'illiceità del fatto dipenda dalla personale non colpevole carenza di socializzazione del soggetto.

In tal senso, l'art. 27 della Cost., nella parte in cui afferma il principio della personalità della responsabilità penale, non solo richiede la colpevolezza dell'agente rispetto agli elementi più significativi della fattispecie tipica (e, cioè, una relazione psichica tra soggetto e fatto) ma anche l'effettiva possibilità di conoscere la legge penale (e, cioè, un rapporto tra soggetto e legge), possibilità che rappresenta ulteriore necessario presupposto della rimproverabilità dell'agente e dunque della responsabilità penale.

I principi di diritto testé richiamati hanno consentito al giudice del tribunale di Milano di pronunciare sentenza di assoluzione nei confronti dell'imputato, ritenendo scusabile la propria condotta, potendo la stessa ricondursi nell'alveo normativo della ignoranza della legge penale in virtù della poca chiarezza del dato normativo e dell'assenza di giurisprudenza tanto di legittimità, quanto di merito sulla relativa questione.

Osservazioni

Il tribunale di Milano con la pronuncia in commento ha ritenuto di assolvere l'imputato, quale preposto/gestore di una società, con sede principale in Egitto, attiva nel settore della gestione e raccolta di rifiuti.

All'imputato, cittadino straniero proveniente da un Paese extra Ue, venivano contestate, come sopra specificato, diverse violazioni della legge penale, di natura contravvenzionale, in tema di raccolta di rifiuti pericolosi e non pericolosi in quanto svolta in assenza delle necessarie autorizzazioni ambientali e paesaggistiche.

La soluzione data al caso dal tribunale lombardo appare complessivamente condivisibile, soprattutto se si considerano le interpretazioni dell'art. 5 c.p. offerte dalla giurisprudenza di legittimità, dalla Cedu e dalla Corte costituzionale, interpretazioni a cui il giudice di merito ha aderito, dando rilevanza, in particolar modo, alla buona fede del soggetto agente, desunta dalla condotta concretamente posta in essere, alla non sufficiente chiarezza del dato normativo e all'assenza di giurisprudenza di legittimità e di merito sul caso sottoposto alla sua cognizione.

Si ritiene in giurisprudenza che la buona fede del soggetto che commette un illecito contravvenzionale escluda l'elemento psicologico del reato, purché la mancata coscienza della illiceità del fatto derivi, non già dalla mera ignoranza della legge penale, ma dall'esistenza di una circostanza che induca alla erronea convinzione della liceità del comportamento, come ad esempio un provvedimento dell'autorità amministrativa o un'equivoca formulazione del testo della norma.

Il giudice di merito ha desunto la buona fede dell'imputato sia dalle dichiarazioni rese nel corso dell'istruttoria dibattimentale, sia dalla assenza di contestazioni da parte delle autorità amministrativa con le quali l'imputato regolarmente si rapportava.

Sotto tale profilo si ritiene di dover condividere la valutazione del giudice di merito in ordine alla ricorrenza nel caso in questione della buona fede dell'imputato.

Un aspetto che, invece, merita maggiore attenzione è quello relativo alla ritenuta sussistenza della ignorantia legis scusabile sul presupposto della poca chiarezza del dato normativo e della mancanza di orientamenti giurisprudenziali, di merito e di legittimità, sulla questione oggetto di causa.

In effetti, in virtù dell'interpretazione che la Consulta ha dato dell'art. 5 c.p., deve ritenersi che l'interprete debba tener conto, ai fini della sussistenza della ignorantia legis inevitabile, e dunque scusabile, non già della mancanza di giurisprudenza in materia, bensì dell'esistenza di gravi contrasti interpretativi giurisprudenziali.

Tuttavia, il tribunale di Milano ha fatto proprie le indicazioni della giurisprudenza comunitaria secondo cui la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono, condizione che risulta soddisfatta quando l'imputato può sapere, a partire dal testo della disposizione pertinente, e se è necessario con l'aiuto dell'interpretazione che ne viene data dai tribunali, quali atti o omissioni implicano una responsabilità penale.

La provenienza dell'imputato da un Paese Extra Ue e l'assenza di contestazioni da parte dell'autorità amministrativa con la quale lo stesso si rapportava hanno in definitiva determinato il giudice a pronunciare sentenza di assoluzione.

Ciò che è risultata determinante ai fini della assoluzione è stata, dunque, la ricorrenza nel caso di specie della buona fede dell'imputato, desunta dalla condotta in concreto osservata.

Infatti, si ritiene in giurisprudenza che in presenza di una normativa oscura, o poco chiara, come quella del caso sottoposto alla nostra attenzione, il soggetto agente debba risolvere il dubbio attraverso l'esatta conoscenza del contenuto della specifica norma, fino a desistere dall'azione potenzialmente illecita.

Infatti, pur non essendo richiesto un autonomo dovere di conoscenza delle singole norme, occorre rilevare come incombano sui destinatari dei precetti precipui doveri di informazione e di diligenza strumentali all'osservanza dei medesimi.

Di conseguenza, laddove vi sia un dubbio in merito alla liceità della condotta, si ritiene che il soggetto agente debba astenersi dalla condotta potenzialmente illecita, ben potendo configurarsi in tali ipotesi un caso di ignorantia legis evitabile.

Nella fattispecie sottoposta alla nostra attenzione, invece, l'imputato, proveniente da un Paese extra Ue, non avendo mai avuto alcun dubbio sulla liceità della propria concotta, stante peraltro l'assenza di contestazioni da parte dell'autorità amministrativa con la quale regolarmente si rapportava nello svolgimento delle proprie attività, è stato giustamente assolto da ogni capo di imputazione.

A ciò si aggiunga, ad abundantiam, che la giurisprudenza di legittimità ritiene inevitabile l'ignoranza della legge penale anche nei confronti di quei soggetti dotati di particolari conoscenze giuridiche,o dediti ad attività professionali o mestieri, qualora la normativa presenti rilevanti ed oggettivi connotati di equivocità tali da rendere oscuro il divieto di agire ovvero l'ordine di operare.

Guida all'approfondimento

BELTRANI S., Manuale di diritto penale, parte generale, Giuffrè, 2017.

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