Caso Garlasco. I criteri per la valutazione della prova indiziaria

Silvestre Costanzo
01 Agosto 2016

La quinta Sezione penale della suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 25799/2016, depositata il 21 giugno 2016, ha definitivamente sancito la colpevolezza di Alberto Stasi per l'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 Agosto 2007.
Abstract

La quinta Sezione penale della suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 25799/2016, depositata il 21 giugno 2016, ha definitivamente sancito la colpevolezza di Alberto Stasi per l'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 Agosto 2007. L'imputato era stato assolto in primo grado, all'esito di giudizio abbreviato, per non avere commesso il fatto, con sentenza poi confermata in appello. La sentenza di conferma dell'assoluzione di Alberto Stasi era stata tuttavia annullata dalla prima Sezione penale della suprema Corte di cassazione con rinvio ad altra Sezione della Corte d'assise d'appello, che aveva poi, all'esito di una copiosa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale imposta dalla sentenza di rinvio, condannato l'imputato alla pena di anni 16 di reclusione, oggi divenuta definitiva.

La Cassazione, per chiudere definitivamente questa lunga vicenda processuale, ha dovuto affrontare e risolvere, oltre alle numerose questioni proposte dalla difesa dell'imputato, anche le specifiche censure mosse dalla procura generale di Milano, aventi ad oggetto l'esclusione dell'aggravante della crudeltà.

Entrambi i ricorsi proposti sono stati rigettati, con piena e totale condivisione da parte dei giudici di legittimità dell'operato della Corte d'assise d'appello in sede di giudizio di rinvio, sia sotto il profilo della valutazione del quadro indiziario a carico dell'imputato, sia sotto il profilo della esclusione dell'aggravante della crudeltà.

L'intera vicenda processuale, invero, è ruotata intorno al tema dei criteri di valutazione della prova indiziaria, con particolare attenzione al tema concernente i poteri di integrazione istruttoria dell'organo giudicante anche laddove si sia proceduto, per scelta dell'imputato, con le forme del giudizio abbreviato non condizionato. La Corte, infatti, ha dovuto ampiamente argomentare sia in ordine alla possibilità di procedere in casi simili ad una importate rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, sia in ordine ai criteri da seguire per valutare la prova, di natura indiziaria, in tal modo acquisita.

La valutazione della prova indiziaria compiuta nelle due sentenze di assoluzione

Il Gup del tribunale di Vigevano, all'esito di giudizio abbreviato non condizionato, aveva escluso la sussistenza di un quadro probatorio tale da poter giungere all'affermazione di colpevolezza dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio, in quanto gli unici elementi a suo carico, sia pure certi, non potevano ritenersi gravi, mentre era stata fornita con ragionevole certezza la prova dell'alibi fornito dallo stesso imputato sin dai primi momenti.

La Corte d'assise d'appello di Milano aveva confermato le valutazioni compiute dal primo giudice di merito, ed in particolare quelle relative alle non gravità degli unici due indizi certi a carico dell'imputato.

In sintesi, i giudici dei primi due gradi di merito avevano affermato che il rinvenimento della impronta digitale sul dispenser del sapone e del DNA della vittima sulla bicicletta dello Stasi, unici due elementi certi a carico dell'imputato, in quanto non gravi, non consentivano di accedere alla fase della valutazione complessiva ed unitaria, riservata dall'art. 192 c.p.p. ai soli indizi gravi e precisi

Le ragioni dell'annullamento delle sentenze di assoluzione

La prima Sezione della Corte di cassazione, richiamando i principi di cui alle note sentenze delle Sezioni unite n. 6682 del 4 febbraio 1992 (Musumeci) e n. 33748 del 12 luglio 2005 (Mannino), aveva tuttavia fortemente criticato le prime due sentenze di merito, concludendo nel senso che il percorso dei giudici di appello era stato costantemente volto a considerare isolatamente gli elementi acquisiti, vale a dire, avulsi dal loro contesto, con pretesa di specifica autosufficienza ed esaustività probatoria e di certa sussunzione di condotte umane e variabili razionali, universali o frequentiste, e non nel loro insieme e nella loro possibile confluenza, con conseguente superamento di eventuali carenze, attraverso un organico ragionamento probatorio, esaustivo in rapporto a tutto il materiale ritualmente acquisito. Il diverso approccio che doveva connotare il procedimento inferenziale da compiersi imponeva, invece, un rilettura e rivisitazione – da compiersi nella competente sede di merito – di tutte le evidenze disponibili, del materiale indiziario acquisito e degli elementi potenzialmente indizianti, senza salti logici e vuoti argomentativi, sottoponendo ad analisi valutativa critica le prove fornite dalla parte interessata o formate con il suo concorso, sfruttando le capacità dimostrative degli indizi significativi e scartando i dati non rilevanti, utilizzando i dati offerti dalla prova scientifica e verificandone dialetticamente la specifica applicabilità in rapporto alle circostanze concrete, nonché la coerenza con le ulteriori emergenze processuali, controllando, poi, la sussistenza di spiegazioni alternative ed escludendo quelle incoerenti con i limiti della verosimiglianza e della razionalità; il tutto in una articolata e non superficiale lettura organica complessiva, che traesse, entrando nel merito, l'intero significato probatorio, ove sussistente, dai dati acquisiti; nell'ottica di tale indicato percorso metodologico, doveva anche rivalutarsi la fondatezza delle singole richieste istruttorie avanzate […] senza che a tale attività fosse ostativo il fatto che il processo si era svolto, per scelta dell'imputato, secondo il rito abbreviato c.d. “secco”, senza integrazioni probatorie, con possibilità di ulteriormente integrare il compendio probatorio ai sensi dell'art. 627, comma 2, c.p.p.

La prima sentenza di condanna

La Corte d'assise d'appello, in sede di rinvio, provvedeva alla integrazione probatoria “sollecitata” dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento, disponendo perizie, procedendo ad acquisizioni documentali ed escutendo testi, concludendo come il quadro indiziario a carico dell'imputato fosse stato rafforzato dall'ampia rinnovazione istruttoria svolta. La lettura congiunta di tutti i dati probatori acquisiti conduceva ad individuare nell'imputato, oltre ogni ragionevole dubbio, l'assassino della fidanzata Chiara Poggi.

L'imputato veniva dunque condannato alla pena di anni sedici di reclusione, con esclusione dell'aggravante della crudeltà, il cui riconoscimento era stato invece richiesto dalla pubblica accusa.

La sentenza della Cassazione n. 25799/2016

L'ammissibilità delle plurime rinnovazioni istruttorie disposte nel giudizio di appello. La quinta Sezione della suprema Corte di cassazione, nel giudicare sul ricorso proposto dall'imputato avverso la sentenza di condanna pronunciata all'esito del giudizio di rinvio, ha dovuto innanzitutto rispondere alle specifiche argomentazioni miranti a censurare le plurime rinnovazioni disposte nel giudizio di rinvio. La difesa dell'imputato, infatti. aveva avanzato specifici dubbi circa la possibilità di ricorrere ad una copiosa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello laddove si sia proceduto, in primo grado, per scelta dell'imputato, con le forme del rito abbreviato non condizionato.

Le deduzioni della difesa dell'imputato sono stare ritenute infondate poiché, come già statuito nella sentenza di annullamento (Sez. I, n. 37588 del 18 giugno 2014) in tema di giudizio abbreviato, posta la possibilità per il giudice di primo grado di assumere, anche d'ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione, ai sensi dell'art. 441, comma 5, c.p.p., al giudice d'appello è consentito – essendo fine primario e ineludibile del processo penale l'esigenza di ricerca della verità - disporre d'ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione, secondo il disposto dell'art. 603/3, c.p.p., in relazione al quale non è configurabile un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti, cui corrisponde uno speculare diritto della controparte alla prova contraria.

In particolare, i giudici della quinta Sezione, hanno ritenuto che la copiosa attività di rinnovazione istruttoria ex art. 603, comma 3, c.p.p., disposta dai giudici di appello in sede di rinvio, trova giustificazione in quanto richiesto da questa Corte in merito all'effettuazione di una riconsiderazione, in base a canoni di valutazione della prova indiretta, degli elementi acquisiti, non attraverso una lettura isolata di essi, ma con un organico ragionamento probatorio, in relazione all'interesse dello Stato alla ricerca della verità.

I principi in tema di valutazione della prova. La sentenza che ha definitivamente sancito la colpevolezza di Alberto Stasi ha dato ampio spazio al criteri che devono orientare il giudicante nella valutazione della prova, ribadendo come le prime due sentenze di merito, che avevano ritenuto l'imputato innocente, fossero caratterizzate dall'inammissibile valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, in un percorso volto a considerare gli elementi acquisiti isolatamente ed avulsi dal loro contesto. Il corretto percorso metodologico da seguire, viceversa, secondo i giudici della quinta Sezione, è quello ricavabile dalla nota sentenza delle Sezioni unite n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, secondo cui in tema di valutazione della prova indiziaria, il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica, che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale ed unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo.

In applicazione di questo principio, si legge nella sentenza, la colpevolezza dell'imputato è stata affermata valutando i singoli elementi indiziari, saggiandone l'intrinseca valenza dimostrativa, procedendo, poi, all'esame globale degli elementi certi, all'esito accertando che la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, consente viceversa, in una visione unitaria, l'attribuzione del reato all'imputato con un alto grado ci credibilità razionale.

Gli elementi acquisiti, anche dopo la rilevante rinnovazione dell'istruttoria, secondo la Corte, dunque, valutati globalmente – e non con visione disorganica e frammentaria, come pervicacemente fa la difesa dell'imputato – sono stati ritenuti dalla Corte territoriale, come motivazione immune da vizi, convergenti verso la responsabilità dell'imputato per l'omicidio della fidanzata. Ciascun indizio, infatti, risulta integrarsi perfettamente con altri come tessere di un mosaico che hanno contribuito a creare un quadro d'insieme convergente verso la colpevolezza di Alberto Stasi, oltre ogni ragionevole dubbio.

L'esclusione dell'aggravante della crudeltà. Secondo il procuratore generale, il trascinamento del corpo avviato prima dell'inflizione degli ulteriori ed ultimi colpi letali ed il lancio della vittima dalle scale, avrebbero dovuto indurre la Corte d'assise d'appello a ritenere sussistente l'aggravante della crudeltà, denotando l'intento dell'imputato di infliggere alla vittima sofferenza gratuite con malvagità, insensibilità e mancanza di qualsiasi sentimento di umana pietà.

Secondo la Corte, che ha condiviso le valutazioni compiute sul punto dal giudice di merito, la circostanza che il fatto sia stato caratterizzato da dolo d'impeto con modalità attuative caratterizzate da estrema rapidità, rende assolutamente irrilevante la dinamica omidiciaria evidenziata dal procuratore generale.

In conclusione

L'esame dell'apparato motivazionale che sorregge la sentenza che ha definitivamente sancito la colpevolezza dei Alberto Stasi fa emergere un quadro complessivo in cui, in materia di valutazione della prova indiziaria ed in particolare della prova indiretta, viene data particolare e decisiva rilevanza alla valutazione globale di numerosi elementi indiziari neutri, insignificanti, o comunque ambigui, che però valutati globalmente, e non unitariamente, fanno convergere verso un unico possibile colpevole, rendendo improbabile ogni ipotesi alternativa.

La Corte di cassazione, portando alle estreme conseguenze i principi sanciti dalle Sezioni unite nella nota sentenza Mannino, giunge sino al punto di affermare, solo per fare un esempio, che, nell'ambito di una valutazione complessiva degli elementi indiziari, assuma dignità probatoria anche il fatto che Alberto Stasi indossasse calzature di taglia 42 così come l'assassino. Siffatto elemento indiziario, che accomuna invero tutti gli individui che indossano calzature di questa taglia, in questa prospettiva di convergenza di numerosi elementi unitariamente insignificanti, assurge dunque al rango di prova a carico. Parimenti, con siffatto modo di ragionare, anche il fatto di non essere riuscito a fornire alibi per appena 23 minuti nella finestra temporale di oltre quattro ore compatibile con la commissione dell'omicidio, costituisce una prova a carico dell'imputato

In un simile contesto, nessuno spazio è stato riconosciuto alle versioni alternative, dotate, come si legge in sentenza, di razionalità e plausibilità pratica, offerte dalla difesa dell'imputato con riferimento ad ogni singolo indizio a carico, in quanto, secondo la Corte, quanto maggiore è il numero degli elementi indiziari a disposizione del giudicante, tanto minori sono le ipotesi che ricollegandoli tutti logicamente, consentono di delineare un quadro d'insieme nel quali tali elementi si ricompongono, corroborandosi reciprocamente, sino a giungere alla individuazione della sola ipotesi razionale, in cui gli elementi indiziari appaiono tra loro logicamente compatibili e, quindi, convergenti, verso un'unica necessitata ricostruzione dell'accaduto.

Dalla sentenza in commento, inoltre, emerge con particolare evidenza la conferma di quanto ormai pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di integrazione probatoria da parte del giudice nell'ambito del giudizio abbreviato. L'interesse dello Stato alla ricerca della verità impone al giudice, dinanzi a singoli elementi indiziari certi ma privi del carattere della gravità, di approfondire il tema probatorio indipendentemente dalle scelte processuali compiute dalle parti, disponendo, anche in appello, plurime rinnovazioni dell'istruttoria dibattimentale.

Nel caso in esame, invero, il supplemento istruttorio disposto in appello non ha consentito di acquisire la prova certa della colpevolezza dell'imputato ma soltanto ulteriori indizi, unitariamente irrilevanti, ma globalmente convergenti verso l'unico colpevole razionalmente possibile.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.