L'inutilizzabilità degli atti

Eleonora Pividori
29 Settembre 2016

Nel quadro delle patologie degli atti, un approfondimento merita senz'altro l'inutilizzabilità. In questa sede illustreremo le varie declinazioni assunte dall'istituto. Il concetto di inutilizzabilità penalistico, quale categoria specifica e nella sua portata ampia ed estesa a tutte le prove, con il codice di rito del 1988 (antecedentemente erano state introdotte solo talune specifiche ipotesi, tramite sporadici interventi normativi) – è espressamente previsto dall'art. 191 c.p.p. Tale patologia, come stabilito dalla disposizione citata, concerne le prove che siano state acquisite in violazione dei divieti imposti dalla legge
Abstract

Nel quadro delle patologie degli atti, un approfondimento merita senz'altro l'inutilizzabilità. In questa sede illustreremo le varie declinazioni assunte dall'istituto.

Il concetto di inutilizzabilità

Il concetto di inutilizzabilità – introdotto per la prima volta nell'ordinamento processual-penalistico, quale categoria specifica e nella sua portata ampia ed estesa a tutte le prove, con il codice di rito del 1988 (antecedentemente erano state introdotte solo talune specifiche ipotesi, tramite sporadici interventi normativi) – è espressamente previsto dall'art. 191 c.p.p.

Tale patologia, come stabilito dalla disposizione citata, concerne le prove che siano state acquisite in violazione dei divieti imposti dalla legge. Essa dunque riguarda (non l'atto di per sé, ma) la valenza probatoria delle stesse, privandole dell'effetto di poter fondare una decisione giudiziale.

La necessità di una disciplina unitaria ed autonoma dell'inutilizzabilità, nel senso onnicomprensivo del materiale probatorio acquisibile nel procedimento penale, risiede nell'opportunità di superare i limiti derivanti dall'applicazione della regolamentazione delle nullità al comparto delle prove: si fa riferimento, in particolare, alla rigida tassatività delle ipotesi previste, all'onere di eccepire la sussistenza del vizio (nelle nullità relative) a carico della parte, all'eventuale sanatoria del vizio medesimo, nonché alla possibile rinnovazione dell'atto che ne è affetto.

Il regime giuridico della nullità, in buona sostanza, poteva aprire il varco al possibile utilizzo da parte del giudice, ai fini della formazione del suo convincimento, di materiale probatorio acquisito contra legem (come, ad esempio, nei casi in cui la parte non si fosse tempestivamente attivata nell'eccepire l'invalidità della prova).

Della presa di coscienza di tale intrinseca debolezza – sollecitata dalla sin dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 34 del 6 aprile 1973, nella parte in cui si affermava che il rispetto dei diritti fondamentali (nella specie, quello alla riservatezza, versandosi in tema di intercettazioni telefoniche) sarebbe risultato gravemente compromesso in caso di emersione di indizi o prove assunte illegittimamente – è riprova la Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale attualmente in vigore. È infatti ivi affermato che la previsione dell'inutilizzabilità consente di colmare una lacuna del precedente ordinamento processuale concernente i divieti probatori, i quali, ove soggetti al regime di tutela inerente alle nullità, avrebbero continuato a godere di possibili sanatorie.

L'introduzione, da parte del Legislatore del 1988, della categoria dell'inutilizzabilità nei termini anzidetti rappresenta, pertanto, l'apprestamento di uno specifico rimedio a presidio del principio di legalità della prova: in conformità con tali premesse ed alla luce dell'attuale disciplina, tale invalidità è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento ed interessa le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge.

Inutilizzabilità fisiologica e patologica

Tradizionalmente, si distingue tra inutilizzabilità fisiologica ed inutilizzabilità patologica. In particolare, la prima accezione è legata alla distinzione in fasi che caratterizza il procedimento penale, trattandosi delle ipotesi in cui un atto risulti regolare ma non possa costituire il fondamento del convincimento del giudice, in virtù dello “sbarramento” previsto dall'art. 526 c.p.p., secondo cui, ai fini della deliberazione, non è consentito al giudice utilizzare prove diverse da quelle legittimamente acquisite durante il dibattimento. L'inutilizzabilità patologica, invece, riguarda atti probatori assunti in diversione dallo schema legale o comunque nell'inosservanza di uno specifico divieto.

Tale distinzione è di particolare momento in tema di giudizio abbreviato: difatti, secondo l'ormai consolidatosi insegnamento giurisprudenziale a seguito della nota pronuncia Tammaro (Cass. pen., Sez.unite, 21 giugno 2000, n. 16), laddove l'imputato diriga la sua opzione processuale verso tale rito, non rileverà la inutilizzabilità fisiologica della prova, funzionale ai peculiari connotati del processo accusatorio in forza dei quali il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione materiale probatorio che, pur assunto secundum legem, non abbia beneficiato del vaglio dibattimentale nel contraddittorio delle parti. Continueranno, invece, ad operare – nonostante il carattere deflattivo di tale giudizio ed il connotato abdicativo delle ordinarie regole di formazione della prova che lo caratterizza rispetto a quello ordinario – le fattispecie di inutilizzabilità patologica, trattandosi in tale secondo caso di atti assunti in spregio delle previsioni di legge ed il cui impiego risulti vietato in modo assoluto non solo in sede dibattimentale ma anche durante le indagini preliminari.

Inutilizzabilità e nullità

La previsione di una misura ad hoc riguardante le prove acquisite nell'inosservanza di divieti di legge ha posto la questione relativa all'individuazione dell'esatto confine fra gli ambiti di applicazione di inutilizzabilità e nullità.

La difficoltà nel porre una distinzione netta fra i due istituti deriva, per larga parte, dall'espressione prove acquisite impiegata nell'art. 191 c.p.p. Tale locuzione ben si presta, infatti, ad un'interpretazione estensiva, tale da ricomprendere tanto l'assunzione in sé della prova, quanto la modalità di acquisizione della stessa, con conseguente totale esautorazione, in campo probatorio, di margini di operatività delle nullità.

Invero, minori margini di opinabilità sussistevano a fronte della prima stesura del testo di legge, formulata in sede preliminare: si parlava infatti, al riguardo, di prove (non acquisite, ma) ammesse in violazione di disposizioni di legge. Con tale espressione si venivano dunque a distinguere marcatamente i due ambiti: l'an della prova e, quindi, la sua ammissibilità, avrebbe comportato l'inutilizzabilità dell'atto; di contro, inosservanze della disciplina attinente al quomodo dell'acquisizione avrebbe integrato – ove prevista, stante il principio di tassatività – un'ipotesi di nullità. Tuttavia, la rimodulazione, in sede di stesura finale, dell'art. 191 c.p.p. è stata imposta dalla necessità di estendere la sanzione di cui trattasi a tutti gli elementi istruttori e, quindi, non solo limitatamente a quelli ammessi in dibattimento o in incidente probatorio – come avrebbe potuto suggerire il riferimento all'ammissione di essi – ma in senso comprensivo degli atti compiuti nello svolgimento delle indagini preliminari.

Intervenute a dirimere il contrasto ermeneutico sorto sul punto, le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 27 marzo 1996, n. 3, hanno offerto taluni spunti interpretativi di significativa rilevanza nei termini che seguono.

In particolare, si è precisato che, con la previsione dell'inutilizzabilità nel codice vigente, non si intendeva far confluire in tale sanzione tutti i vizi del procedimento formativo ed acquisitivo della prova, essendosi così piuttosto perseguito il programma di attuare una più efficace tutela giurisdizionale della prova nel processo penale. In conseguenza di quanto sopra, l'art. 191 […] non ha reso incompatibile il ricorso ad altri mezzi, quando […] sono sufficienti per realizzare quella stessa finalità. Ciò impone di pervenire alla conclusione che l'inutilizzabilità della prova rappresenti un rimedio che si aggiunge ma non assorbe lo strumento della nullità e che le due sanzioni, pur operando nell'area della patologia della prova, restano distinte ed autonome, perché correlate a diversi presupposti: la nullità attiene sempre e soltanto all'inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova, vizio che non pone il procedimento formativo ed acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta alcuni dei suoi peculiari presupposti; invece l'inutilizzabilità, come sanzione a carattere generale, presuppone la presenza di una prova “vietata” per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo la cui manifesta illegittimità lo pone completamente al di fuori del sistema processuale.

Peraltro, tale soluzione interpretativa appare fondarsi altresì nel rilievo per cui, diversamente opinando, si priverebbero di ogni fondamento razionale le ipotesi di nullità previste dal codice in materia di prove. È il caso, ad esempio, dell'art. 497, comma 3, c.p.p., a norma del quale l'osservanza delle disposizioni sancite al comma 2 del medesimo articolo, relativamente agli atti preliminari all'esame dei testimoni (l'avvertimento dell'obbligo di dire la verità, nonché delle responsabilità previste dalla legge penale per i testimoni falsi o reticenti; l'invito a rendere la dichiarazione ivi prevista nonché a fornire le proprie generalità), è prescritta a pena di nullità (così, Cass. pen., Sez. IV, 13 febbraio 1998, n. 3460).

Di rilievo sull'argomento anche Cass. pen., Sez. II, 27 marzo 2008, n. 15877, in cui si esplicita, confermandosi l'orientamento sovra illustrato ed integrandosene i contenuti, che l'art. 191 c.p.p. debba essere interpretato nel senso che la patologia dell'inutilizzabilità possa derivare, in difetto di espressa, specifica previsione, soltanto dalla illegittimità in sé della prova stessa, desumibile dalla norma o dal complesso di norme che la disciplina e non invece soltanto dal fatto che la prova, in sé legittima, sia stata irritualmente acquisita.

Peraltro, vale sottolineare che, laddove non possa configurarsi un'ipotesi di inutilizzabilità, né sia ravvisabile l'integrazione di una nullità in assenza di una specifica disposizione normativa che la preveda (stante il principio di tassatività di cui all'art. 177 c.p.p.), l'osservanza del dettato normativo non risulta presidiato da alcun rimedio, in termini di sanzione ad una patologia, dovendosi ritenerne prodotta una mera irregolarità (sul punto, Cass. pen., Sez. IV, 13 febbraio 1998, n. 3460, cit.).

Le fattispecie di inutilizzabilità

È tutt'altro che agevole – proprio in conseguenza della ridetta mancanza di un canone di tassatività – rassegnare tutte le variae figurae di inutilizzabilità previste dal codice.

Nel compendio trovano posto, senza comunque pretesa di esaustività, le seguenti fattispecie previste agli articoli 62 c.p.p. (divieto per le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta ad indagini di formare oggetto di testimonianza), art.63, comma 2, c.p.p. (inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona che sin dall'inizio doveva essere sentita in qualità di persona sottoposta ad indagini), art.103, comma 6, c.p.p. (divieto di sequestro e di ogni forma di controllo della corrispondenza tra imputato e proprio difensore, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo di reato) e comma 7 (divieto di utilizzare i risultati delle ispezioni, perquisizioni e sequestri di conversazioni o comunicazioni eseguiti in violazione delle disposizioni dettate dallo stesso articolo), art.195, comma 3, c.p.p. (inutilizzabilità delle dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, che consegue dalla violazione del comma 1 dello stesso articolo – in base al quale quando il teste si riferisce, per conoscenza dei fatti, ad altre persone, su richiesta di parte il giudice dispone che queste siano chiamate a deporre – salvo che l'esame di questi risulti impossibile per morte, infermità od irreperibilità) e comma 7 (divieto di utilizzare la testimonianza di chi si rifiuta oppure non sia in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame), art.197 c.p.p. (incompatibilità con l'ufficio di testimone per le parti ivi indicate), art.203 c.p.p. (divieto di acquisizione ed utilizzazione per le informazioni fornite da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, nonché da personale dipendente dei servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica idonee a rivelare i nomi dei lori informatori, ove gli stessi non siano esaminati come testimoni; divieto che opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento, se gli informatori non sono stati interrogati né assunti a sommarie informazioni), art.220 c.p.p. (salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misure di sicurezza, non sono ammesse le perizie finalizzate a stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche), art.234, comma 3, c.p.p. (divieto di acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno a fatti di cui si tratta nel processo o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei consulenti tecnici e dei periti), art.238, comma 2-bisc.p.p. (utilizzabilità dei verbali di dichiarazioni contro l'imputato nei casi previsti dai commi 1 e 2 – rispettivamente, verbali di prove di altro procedimento penale se si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento e verbali di prove assunte in giudizio civile definito con sentenza che abbia acquisito autorità di cosa giudicata – condizionata al fatto che il suo difensore abbia partecipato all'assunzione della prova oppure che nei suoi confronti faccia stato la sentenza civile) e comma 4 (divieto di utilizzare in dibattimento, al di fuori dei casi previsti ai precedenti commi, tra cui il menzionato 2-bis, i verbali di dichiarazioni nei confronti dell'imputato al di fuori delle contestazioni di cui agli articoli 500 e 503, c.p.p. salvo che egli vi consenta), art.240, comma 1, c.p.p. (divieto di acquisizione o comunque utilizzazione di documenti contenenti dichiarazioni anonime, salvo che costituiscano corpo del reato o sia in ogni caso di provenienza dell'imputato), art.254, comma 3, c.p.p. (divieto di utilizzazione di carte e altri documenti sequestrati non rientranti tra la corrispondenza sequestrabile ai sensi dello stesso articolo) art.271 c.p.p. (divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni ove eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o in caso di inosservanza delle disposizioni di cui agli articoli 267 e 268, commi 1 e 3, c.p.p.; divieto di utilizzazione delle intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell'art. 200, comma 1, quando abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati), art.360, commi 4 e 5, c.p.p. (inutilizzabilità in dibattimento dei risultati degli accertamenti tecnici non ripetibili, quando il pubblico ministero, nonostante l'espressa riserva formulata, prima del conferimento dell'incarico, dalla persona sottoposta ad indagini di promuovere incidente probatorio, e pur non sussistendo la condizione di cui al comma 4 – cioè, se questi, ove differiti, non possano più essere utilmente ripetuti – abbia comunque ugualmente disposto di procedervi) e art. 403 c.p.p. (inutilizzabilità in dibattimento delle prove assunte con l'incidente probatorio nei confronti degli imputati i cui difensori non abbiano partecipato alla relativa assunzione).

Ovviamente, dato comune a tutte è la previsione di cui all'art.191, comma 2, c.p.p., in ragione della quale il vizio risulta rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.

L'inutilizzabilità derivata

Una tematica di vivace interesse relativa alla sanzione in argomento attiene alla inutilizzabilità derivata. È lecito interrogarsi in particolare se lo schema previsto in tema di nullità dall'art. 185 c.p.p. – secondo cui l'invalidità di un atto si estende a tutti quelli che da esso dipendano – sia applicabile anche in materia di inutilizzabilità.

La questione si è posta con riguardo ai rapporti tra perquisizione e sequestro. Più nel dettaglio, ci si è chiesti se, a fronte di una perquisizione illegittima, il sequestro che eventualmente ne segua risulti parimenti viziato, in quanto strettamente dipendente dal mezzo di ricerca della prova, oppure se, stante la diversità dei presupposti che connota l'uno e l'altro istituto, sia validamente realizzato.

Le due principali soluzioni esegetiche emerse appaiono antitetiche: da una parte, per i sostenitori della teoria dei “frutti dell'albero avvelenato” di matrice statunitense, l'illegittimità della perquisizione si riverbera anche sul sequestro; dall'altra, secondo la tesi del male captum, bene retentum, muovendo dalla considerazione che non è espressamente prevista, in materia probatoria, una disposizione analoga all'art. 185 c.p.p., il sequestro non sarebbe inficiato da alcuna invalidità.

Taluni spunti – sebbene non del tutto risolutivi della querelle – sono stati offerti dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (sent. 27 marzo 1996, n. 3, cit.), ove, nel riconoscersi l'indubbia consequenzialità – non solo cronologica – fra perquisizione e sequestro, si è precisato che l'illegittimità della ricerca della prova del commesso reato, allorquando assume le dimensioni conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a tutela dei diritti soggettivi oggetto di specifica tutela da parte della Costituzione, non può, in linea generale, non diffondere i suoi effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di acquisire. Tuttavia, ciononostante, ove da quella ricerca, in ogni modo effettuata, sia derivato il ritrovamento ed il conseguente sequestro del corpo del reato o delle cose ad esso pertinenti, che rappresenta, ai sensi dell'art. 253, comma 1, c.p.p., un atto dovuto la cui omissione esporrebbe gli autori a specifiche responsabilità penali, a prescindere da quale sia stata la modalità di ricerca. A ciò consegue, secondo affermato dalle Sezioni unite, gli aspetti strumentali della ricerca, pur rimanendo partecipi del procedimento acquisitivo della prova, non possono mai paralizzare l'adempimento di un obbligo giuridico che trova la sua fonte di legittimazione nello stesso ordinamento processuale.

In altri termini, la suprema Corte, pur riconoscendo astrattamente la possibile configurabilità dell'inutilizzabilità derivata, ne riducono poi in maniera determinante la portata.

Osservazioni

Anche gli orientamenti ermeneutici più recenti paiono propendere per una soluzione negativa della questione prospettata, appellandosi al rilievo secondo cui l'operatività dell'art. 185 c.p.p. sarebbe limitata alle nullità, laddove l'inutilizzabilità riguarderebbe invece solo le prove illegittimamente acquisite, non estendendosi a quelle la cui acquisizione si sia verificata in maniera autonoma e nelle forme consentite: Cass. pen., Sez. V, 20 novembre 2014, n. 12697 (fattispecie in cui si è affermato che la violazione dell'art. 430-bis c.p.p. – concretatasi nell'acquisizione illegittima, da parte del P.M., di informazioni da soggetto indicato nella richiesta di incidente probatorio ammesso dal Gip prima dell'illegittima assunzione delle predette informazioni – non determina la nullità dell'incidente probatorio in cui il p.m. abbia utilizzato per le contestazioni dette informazioni illegittimamente acquisite). Nello stesso senso, anche Cass. pen., Sez. II, 25 giugno 2014, n. 31225, con specifico riferimento al sequestro di cose soggette a confisca obbligatoria, secondo cui l'irregolarità del verbale di sequestro posto in essere dalla polizia giudiziaria non inficia il provvedimento di convalida del pubblico ministero.

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