Le “nuove” false comunicazioni sociali, tra continuità e discontinuità normativa con la disciplina previgente

29 Ottobre 2015

Nonostante la legge n. 59 del 2015 abbia espunto dall'oggetto di falsità le valutazioni e introdotto la qualificazione di “rilevanza” per i “fatti materiali”, deve ritenersi che tra la fattispecie previgente e quella di nuova configurazione nell'art. 2621 c.c. sussista un rapporto di c.d. continuità normativa, con conseguente applicazione, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., della norma di cui all'art. 2622 c.c. nella sua previgente formulazione, in quanto più favorevole per la maggiore selettività della fattispecie tipizzata.
Massima

Nonostante la legge n. 59 del 2015 abbia espunto dall'oggetto di falsità le valutazioni e introdotto la qualificazione di “rilevanza” per i “fatti materiali”, deve ritenersi che tra la fattispecie previgente e quella di nuova configurazione nell'art. 2621 c.c. sussista un rapporto di c.d. continuità normativa, con conseguente applicazione, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., della norma di cui all'art. 2622 c.c. nella sua previgente formulazione, in quanto più favorevole per la maggiore selettività della fattispecie tipizzata.

I reati di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., così come riformati dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, sono reati di pericolo (concreto), configurabili a prescindere dalla causazione di un danno patrimoniale a soci o creditori.

L'eliminazione dell'evento di danno e delle soglie previste nella previgente formulazione degli artt. 2621 e 2622 c.c. da parte della legge 27 maggio 2015, n. 69 (“Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”) ha comportato una rimodulazione delle condotte tipiche, oggi integrate dall'esposizione in una delle comunicazioni tipizzate di “fatti materiali non rispondenti al vero” ovvero nell'omissione di “fatti materiali la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene”. Nell'ipotesi prevista dall'art. 2621 c.c., dedicata alle società non quotate, i “fatti materiali” non rispondenti al vero ovvero quelli occultati devono, altresì, essere “rilevanti”.

Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, le fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. richiedono il dolo specifico consistente nel fine di procurare per sé o per altri un ingiusto profitto.

Il caso

La vicenda processuale riguarda un amministratore di una società S.R.L. condannato in primo grado per il reato di cui all'art. 2622 c.c., per aver omesso di indicare, in sede di redazione del bilancio infrannuale riepilogativo della situazione aziendale al 30 settembre 2008, ricavi maturati dalla società e corrispondenti crediti di cui egli era il soggetto debitore.

Avverso la pronuncia di assoluzione pronunciata dalla Corte d'appello, per insussistenza del fatto contestato, propone ricorso per Cassazione un socio, nonché amministratore della società, nella sua qualità di parte civile, deducendo l'erronea applicazione della legge penale in riferimento alla valutazione della condotta materiale dell'imputato e dell'elemento soggettivo del reato.

In particolare, la difesa della parte civile sosterrà che il provvedimento impugnato ha omesso di considerare come nella predisposizione del bilancio, oggetto di contestazione, l'amministratore avrebbe dovuto rifarsi alle disposizioni normative che ne disciplinano la redazione, tra le quali spicca l'art. 2423-bis c.c., che impone l'esposizione, secondo il principio di competenza, dei ricavi maturati, ancorché non materialmente conseguiti, rimanendo dunque irrilevante l'argomento speso dal giudice di secondo grado in merito al fatto che i soci non avessero ancora stabilito il meccanismo contabile di copertura o l'ammontare dei proventi evenienti dall'attività professionale svolta utilizzando le strutture della società, e che l'amministratore avrebbe dovuto versare nelle casse della medesima.

Sennonché, la Corte d'appello, pur riconoscendone le conclusioni, non avrebbe in particolare tenuto conto di quanto evidenziato nel lodo arbitrale con cui era stata composta la controversia tra la società e l'amministratore e che riconosce come la S.R.L. amministrata avrebbe dovuto fatturare all'amministratore l'utilizzo delle strutture della società, per la sua attività professionale e appostare in bilancio i valori conseguenti come ricavi ovvero come crediti, secondo i principi normativi che regolamentano la valutazione di tali poste, al più accompagnando ciò, con l'iscrizione di apposito fondo di svalutazione destinato a recepire gli eventuali costi che dovevano essere eventualmente dedotti in favore dell'amministratore.

Infine, la sentenza impugnata viene censurata sotto il profilo della mancata considerazione di come la condotta dell'imputato (vale a dire, la mancata rappresentazione nel bilancio di una voce dell'attivo) fosse dolosamente preordinata a far artatamente figurare l'evaporazione del capitale sociale a causa di inesistenti perdite di esercizio e ciò al fine di ottenere, come in effetti avveniva, la liquidazione della società con grave danno patrimoniale.

La questione

Secondo la Cassazione il ricorso della parte civile è fondato ma occorre, in via preliminare, verificare se il fatto contestato all'amministratore-imputato sia ancora previsto dalla legge come reato, dal momento che successivamente alla proposizione del ricorso è entrata in vigore la legge n. 69 del 2015 che ha inciso in maniera significativa sulle fattispecie di false comunicazioni sociali previste dal testo degli artt. 2621 e 2622 c.c. vigente all'epoca dei fatti e della pronuncia delle sentenza impugnata.

Ponendosi, dunque, il problema di accertare se vi è continuità o discontinuità normativa tra la vecchia e la nuova disciplina, i giudici supremi passano ad analizzare le “nuove” false comunicazioni sociali.

La “nuove” fattispecie incriminatrici. Il dato più importante della riforma riguarda la configurazione di due distinti delitti, a seconda che il reato di false comunicazioni sociali riguardi società non quotate (art. 2621 c.c.) o quotate nei mercati ufficiali (art. 2622 c.c.; con le equiparazioni di cui al secondo comma). Differenza che si traduce, soprattutto, nella previsione di diverse cornici edittali di pena: da uno a cinque di reclusione nel primo caso, da tre a otto nel secondo.

Tuttavia, salvo alcuni dettagli che verranno sviluppati in un secondo momento, la Cassazione chiarisce immediatamente che la struttura delle due incriminazioni è quasi identica e tesa a superare l'assetto ideato dal legislatore del 2002 nel quale era prevista una fattispecie contravvenzionale di pericolo ed un delitto di danno in un rapporto di sostanziale progressione criminosa tra loro – quest'ultimo diversamente configurato qualora il fatto riguardasse una società quotata esclusivamente in merito al profilo del trattamento sanzionatorio ed al regime di procedibilità.

La novella, infatti, propone due (rectius, tre se si considera anche l'ipotesi attenuata di cui all'art. 2621 bis c.c., configurata come vero e proprio titolo autonomo di reato) reati di pericolo (concreto), integrati a prescindere dalla causazione di un danno a soci o creditori, che ripropongono in buona parte il profilo strutturale della fattispecie contravvenzionale contenuta nel previgente testo dell'art. 2621 c.c. Scompare, altresì, per le società non quotate la procedibilità a querela della persona offesa, rivelandosi in tal senso l'intenzione di recuperare coerenza sistematica attraverso la tutela esclusiva della trasparenza dell'informazione societaria.

Resta invariata, invece, la cerchia dei soggetti attivi, che, trattandosi di reati propri, può essere rappresentata dagli amministratori, dai dirigenti generali, dai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, dai sindaci e dai liquidatori.

L'elemento oggettivo. Per quanto riguarda l'elemento oggettivo del reato, la suprema Corte evidenzia come alla eliminazione dell'evento di danno e delle soglie previsti nella previgente formulazione dei due articoli citati sia corrisposta una rimodulazione delle condotte tipiche, ora integrate dall'esposizione in una delle comunicazioni tipizzate di fatti materiali non rispondenti al vero ovvero nell'omissione di fatti materiali la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene. Nell'ipotesi prevista dall'art. 2621 c.c. i fatti materiali non rispondenti al vero ovvero quelli occultati devono, inoltre, essere rilevanti.

Risulta, dunque, eliminato il riferimento alle valutazioni («ancorché oggetto di valutazioni»), previsto dal testo previgente dei due articoli.

Al contempo, l'elemento oggettivo del reato è stato rafforzato dal requisito della concreta idoneità ingannatoria della falsa comunicazione (vale a dire, l'attitudine della medesima ad indurre in errore i suoi destinatari), elemento che deve essere valutato concretamente. Di qui, la qualificazione dei delitti in esame come reati di pericolo concreto.

Circa l'oggetto materiale del reato, è stata conservata la tipizzazione delle comunicazioni sociali rilevanti introdotta dalla precedente riforma del 2002, individuata nei bilanci, nelle relazioni e nelle altre comunicazioni dirette ai soci e al pubblico previste dalla legge.

L'elemento soggettivo. Quanto alla struttura dell'elemento soggettivo, il legislatore della novella ha confermato la necessità del dolo specifico, caratterizzato dal fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, sopprimendo invece il riferimento all'intenzione di ingannare i soci o il pubblico.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di piazza Cavour valutano il fenomeno successorio determinato dalla legge 69/2015 secondo la regola di cui all'art. 2, comma 4, c.p., statuendo che l'individuazione del trattamento più favorevole non può che essere operata in concreto, comparando le diverse disposizioni nel loro complesso ed adattandole alla fattispecie.

A tal proposito, si osserva come la riforma abbia ampliato l'ambito di operatività della fattispecie delle false comunicazioni sociali, mantenendo tuttavia inalterata la struttura della condotta tipica, con un evidente rapporto di continuità normativa con la disciplina previgente.

In particolare, puntualizza la suprema Corte, tale assunto non può essere smentito né dalla eliminazione dello specifico riferimento alle valutazioni (contenuto nel testo previgente dei due articoli) né dalla sostituzione, nell'ipotesi di condotta omissiva, del termine “informazioni” con la locuzione fatti materiali, modifica che se interpretata rigidamente porterebbe ad un ridimensionamento dell'elemento oggettivo del reato - tema quest'ultimo che non viene approfondito, in quanto estraneo all'oggetto della contestazione, a differenza di quanto, invece, accaduto nella precedente sentenza Crespi (cfr. Cass. pen., Sez. V, 30 luglio 2015, n. 33774).

Parimenti inidoneo a compromettere l'affermato rapporto di continuità normativa, è – sempre per la Cassazione - la precisazione introdotta nel nuovo testo dell'art. 2621 c.c. secondo cui il falso delle società non quotate debba avere ad oggetto fatti materiali rilevanti.

Dopo aver escluso la discontinuità normativa nei termini sopra accennati, i giudici di legittimità individuano, nel caso di specie, la norma più favorevole ex art. 2, comma 4, c.p., inquadrandola nell'art. 2622 c.c. nella sua previgente formulazione in ragione della maggiore selettività della fattispecie tipizzata.

In conclusione, la Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, motivando, peraltro, l'illogicità e la contraddittorietà della sentenza impugnata nella misura in cui ha riconosciuto pacificamente come l'imputato fosse a conoscenza dei ricavi di cui aveva omesso la comunicazione alla società, risultanti in modo generico e indeterminato nella sola nota integrativa, non potendo ravvisare in siffatto comportamento un eccesso di prudenza, come invece sostenuto dalla difesa.

Osservazioni

La vicenda processuale oggetto della sentenza in commento riguarda un caso di mancata esposizione in bilancio di poste attive presenti nel patrimonio societario, un fatto, precisa la Corte, che deve essere comunque ricompreso nella nuova fisionomia del reato anche quando si dovesse propendere per una versione restrittiva della nozione di “fatti materiali”. In particolare, non vi è dubbio che tra la fattispecie previgente e quella di nuova configurazione nell'art. 2621 c.c. sussista un evidente rapporto di continuità normativa, essendo rimasta inalterata la struttura della condotta tipica.

Tal conclusione, per la quinta Sezione penale della Cassazione, non può essere messa in discussione né dalla eliminazione dello specifico riferimento alle valutazioni (contenuto nel testo previgente dei due articoli) né dalla sostituzione, nell'ipotesi di condotta omissiva, del termine informazioni con la locuzione fatti materiali.

Si tratta - prosegue la Corte - di scelte che se interpretate rigidamente, ovvero nel senso di escludere la rilevanza penale del falso c.d. “qualitativo” indubbiamente provocherebbero, al contrario, un ridimensionamento dell'elemento oggettivo delle false comunicazioni sociali. In tale evenienza, si tratterebbe allora di un effetto di parziale abrogazione, circoscritto a quei fatti che non troverebbero più corrispondenza nel nuovo falso in bilancio.

Su tale questione, a differenza di quanto accaduto nella precedente sentenza sul caso Crespi (sent. n. 33774/2015), la Cassazione non prende posizione, trattandosi di un tema estraneo rispetto all'oggetto della contestazione. Avrebbe potuto perlomeno richiamare il proprio precedente in materia ma preferisce non farlo. In tale sede vogliamo ricordare come in quella occasione la stessa quinta Sezione penale si pronunciava – condivisibilmente - in termini di discontinuità normativa tra la precedente e l'attuale formulazione della fattispecie incriminatrice di false comunicazioni sociali, non potendosi più ritenere le valutazioni, di per sé, ancorché scorrette, penalmente rilevanti. Ciò con la conseguente efficacia retroattiva imposta dalla disciplina prevista in tema di abolitio criminis dall'art. 2, comma 2, c.p.

L'assenza del riferimento alle valutazioni nelle nuove fattispecie di falso in bilancio costituisce, a ben vedere, l'esito di uno specifico emendamento che ha cancellato quanto previsto in una prima versione del testo che, invece, considerava penalmente rilevanti le condotte e le omissioni che avessero come oggetto le «informazioni» (locuzione quest'ultima capace di abbracciare anche le valutazioni). Inoltre, lo stesso confronto con la normativa penale tributaria che attribuisce espressa rilevanza penale alle valutazioni estimative divergenti da quelle ritenute corrette, seppure entro la soglia di tolleranza del 10% (art. 7, comma 2, d.lgs. n. 74/2000), oppure ancora, con il contesto dello stesso codice civile, nel quale sopravvive un esplicito riferimento alle valutazioni nel reato di cui all'art. 2638 c.c. (Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza), corrobora la volontà legislativa di escludere la rilevanza penale alle stime che pure caratterizzano gran parte delle voci di bilancio.

A ciò, si aggiunga l'ulteriore elemento di criticità rappresentato dal nuovo art. 2621 c.c., secondo cui il falso in bilancio delle società non quotate debba avere ad oggetto fatti materiali “rilevanti”. Nella motivazione della sentenza in commento si legge, a tal proposito, che si tratta di una qualificazione che «certamente restringe l'area di tipicità, escludendo dal fuoco dell'incriminazione alcune condotte a seguito di una valutazione sulla rilevanza dell'oggetto del falso». Affermazione quest'ultima che suscita, a nostro avviso, qualche perplessità.

Difatti, il riferimento alla rilevanza introduce non un fattore di selettività del fatto tipico ma, al contrario, un elemento di genericità ed elasticità destinato ad ampliare notevolmente la discrezionalità del giudice penale nell'arduo compito di definire ciò che è passibile di sanzione penale. Senza contare il fatto che tale precisazione, per il solo motivo di non essere inspiegabilmente replicata nell'art. 2622 c.c., potrebbe dare luogo ad una questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'art. 3 Cost.

Ma l'elenco degli elementi di criticità della riforma non termina qui e di questo anche la Cassazione ne è consapevole, come si evince da una attenta lettura della sentenza in esame e soprattutto di quella precedente sul caso Crespi. Continua, infatti, a trapelare, un sottile imbarazzo rispetto alla nuova formulazione del reato di falso in bilancio, la quale, rimettendosi alla valutazione discrezionale del giudice, non potrà che generare “pericolosi relativismi” circa la determinazione della soglia di penale rilevanza del reato stesso.

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