Il problema della prevedibilità della condotta altrui. Un caso di investimento con decesso di donna incinta

30 Giugno 2017

La vicenda oggetto della pronunzia in commento riguarda l'investimento mortale di una donna in stato di gravidanza e del figlio di 5 anni che era con lei, ad opera di ...
Massima

Il principio dell'affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché rientri nel limite della prevedibilità; nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per la sua morte, è necessario che il conducente del veicolo investitore si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso e, inoltre, che prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente il quale ha, peraltro, l'obbligo di ispezionare la strada costantemente, mantenere sempre il controllo del veicolo e prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende.

Nel caso di interruzione colposa della gravidanza, quale conseguenza dell'investimento della donna incinta che attraversa la strada, la prevedibilità dell'evento, ai fini dell'addebito a titolo di colpa, dev'essere valutata tenendo conto di tutti gli elementi del fatto tipico e va esclusa laddove non sia ravvisabile alcun elemento noto da cui possa inferirsi la concreta possibilità di una simile evenienza.

Il caso

La vicenda oggetto della pronunzia in commento riguarda l'investimento mortale di una donna in stato di gravidanza e del figlio di 5 anni che era con lei, ad opera di un automobilista. L'autovettura condotta da quest'ultimo percorreva, lungo il margine sinistro della carreggiata, una strada a doppio senso di circolazione, a due carreggiate separate (una per ogni senso di marcia), quando, giunto all'altezza di un palo dell'illuminazione pubblica, investiva con la parte anteriore sinistra del veicolo i due pedoni (madre e figlio), che stavano attraversando la strada (nonostante in loco fosse presente un apposito sottopassaggio pedonale) con direzione da destra verso sinistra rispetto al senso di marcia del veicolo; a seguito dell'urto, entrambi i pedoni venivano proiettati in avanti, andando a impattare nello spazio insistente tra due barriere in cemento armato di tipo "New Jersey", poste al centro della strada per dividere le due carreggiate. Soccorsi e trasportati presso l'Ospedale San Paolo di Milano, i predetti pedoni decedevano entrambi poco dopo l'investimento, dal quale derivava altresì l'interruzione della gravidanza della vittima.

All'imputato venivano contestati, al capo a), il reato di omicidio colposo plurimo aggravato; e, al capo b), il delitto di interruzione colposa di gravidanza, p. e p. dall'art. 17, comma 11, l. 194/1978. Gli si addebitava, in particolare, di avere commesso il fatto per non avere regolato la velocità in maniera idonea, in considerazione dell'ora notturna e della insufficiente visibilità dovuta alle condizioni atmosferiche, in violazione dell'art. 141, commi 1 e 3,cod.strada; e per avere circolato ad una velocità superiore ai 100 Km/h in una strada nella quale il limite imposto dall'autorità competente è di 50 Km/h, in violazione dell'art. 142, comma 9,cod. strada.

Il conducente dell'autovettura investitrice veniva condannato in primo grado, con conferma della condanna in appello, sia in ordine al reato di cui al capo a), sia in ordine al reato a lui contestato al capo b); nella determinazione della pena, veniva negata all'imputato la concessione delle attenuanti generiche.

Nel suo ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello, confermativa della condanna, l'imputato affronta molteplici questioni, relative sia alla condanna per il reato di omicidio colposo, sia a quella per il reato di interruzione colposa di gravidanza, sia infine al trattamento sanzionatorio, e in specie al diniego delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62-bis c.p.

La questione

Tra le questioni affrontate dal ricorrente, con riguardo ad entrambi i reati a lui contestati, assume particolare rilievo – per quanto qui d'interesse – quella attinente alla prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento costituito dall'attraversamento dei due pedoni, anche in relazione alla visibilità degli stessi da parte dell'automobilista e al fatto che una delle persone che attraversavano la strada fosse una donna in stato di gravidanza.

Il problema della prevedibilità dell'evento evoca, con particolare riguardo al reato di omicidio colposo, l'annosa questione dell'operatività del principio di affidamento, da parte del conducente, sul comportamento rispettoso delle regole di cautela da parte degli altri utenti della strada, siano essi automobilisti o pedoni.

Le doglianze del ricorrente si appuntano, come detto, anche sulla prevedibilità della circostanza che ad attraversare la strada fosse, nell'occorso, una donna incinta: prevedibilità che l'esponente esclude, ritenendo illogico affermare che l'imputato, scorgendo al buio la sagoma di una donna che attraversava la strada, avrebbe dovuto intuirne la giovane età e valutare la probabilità che fosse in stato interessante e adottare quindi le contromisure per prevenire il rischio di procurarle un aborto; a fronte di ciò, sempre secondo il ricorrente, la circostanza che la vittima fosse incinta aggraverebbe ancor di più la responsabilità della stessa di aver ignorato la presenza di un sottopasso di attraversamento.

Infine, il ricorrente censura la decisione di confermare il diniego delle attenuanti generiche, motivato in base a clausole di stile, senza nessun riferimento ai parametri previsti dall'art. 133 c.p.p. e al grado di colpa, e senza dare adeguato rilievo all'incensuratezza dell'imputato e al concorso di colpa delle vittime.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato rigettato con riguardo alle lagnanze relative al delitto di omicidio colposo di cui al capo a), mentre ha trovato accoglimento sia con riguardo all'elemento soggettivo del reato di cui al capo b), sia con riguardo al trattamento sanzionatorio.

Sono quindi tre gli aspetti principali da focalizzare nella decisione in commento.

Quanto al primo, concernente il delitto di omicidio colposo plurimo, la Corte di legittimità ha disatteso le censure del ricorrente, in quanto riferite, in buona parte, a questioni di merito e tese a sottoporre a scrutinio di legittimità un'inammissibile rivalutazione del materiale probatorio, che il ricorrente propone dolendosi di un asserito (e in realtà insussistente) vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova.

Sulla scorta di ampia giurisprudenza di legittimità, la Corte regolatrice esclude che tale vizio sia nella specie configurabile, e valorizza di contro le oggettive emergenze probatorie poste a base della decisione impugnata: emergenze in base alle quali risulta che l'imputato commetteva il fatto procedendo, in ore serali, a velocità doppia rispetto a quella consentita e del tutto sconsiderata rispetto alle condizioni della strada (che risultava bagnata), in prossimità di un centro abitato e di una fermata della metropolitana; oltretutto, la strada era sufficiente illuminata ma, quand'anche avesse trovato riscontro quanto asserito dal ricorrente circa la carenza d'illuminazione, a maggior motivo costui avrebbe dovuto improntare a prudenza la propria condotta alla guida. Il grado di sconsideratezza della condotta dell'imputato alla guida era ricavabile, del resto, dal fatto che egli non si avvedeva assolutamente della presenza dei pedoni, nemmeno al momento dell'urto.

In tale quadro, prosegue la Corte di legittimità, non può trovare applicazione il c.d. principio dell'affidamento, che, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità: all'uopo la sentenza in commento effettua un'ampia disamina di alcuni arresti giurisprudenziali ritenuti pertinenti (tra cui Cass. pen., Sez. IV, 2 febbraio 2016, n. 5691, Tettamanti; Cass. pen., Sez. IV, 9 gennaio 2015, n. 12260, Moccia ed altro), declinando i principi ivi affermati in relazione alla questione specifica.

Secondo la Corte regolatrice, nell'ambito della circolazione stradale, i limiti all'operatività del principio di affidamento si spiegano anche con il fatto che lo stesso codice della strada presenta norme che sembrano estendere al massimo l'obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari: tra queste vi è anche l'art. 141 cod. strada (la cui violazione è, nella specie, contestata all'imputato), laddove esso impone di regolare la velocità in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza; e di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni ostacolo prevedibile; e viene menzionato anche l'art. 191 cod. strada, che prescrive la massima prudenza nei confronti dei pedoni, sia che si trovino sugli appositi attraversamenti, sia che abbiano comunque già iniziato l'attraversamento della carreggiata.

In proposito, dopo avere ribadito che il principio di affidamento è escluso a condizione che il comportamento colposo altrui sia concretamente prevedibile (n.d.r.: principio affermato, fra le tante, dalla sentenza Cass. pen., Sez. IV, 8 ottobre 2009, n. 46741, P.C. in proc. Minunno), la Corte di legittimità precisa che l'obbligo di moderare adeguatamente la velocità in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali deve essere inteso nel senso che il conducente deve essere non solo sempre in grado di padroneggiare assolutamente il veicolo in ogni evenienza ma deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui e tale obbligo trova il suo limite naturale unicamente nella ragionevole prevedibilità degli eventi, oltre il quale non è consentito parlare di colpa.

Applicando i principi in esame al caso d'investimento di un pedone, la Corte conclude ribadendo che, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per la sua morte, è necessario che il conducente del veicolo investitore si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso e, inoltre, che prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente il quale ha, peraltro, l'obbligo di ispezionare la strada costantemente, mantenere sempre il controllo del veicolo e prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende (il principio è testualmente ripreso da Cass. pen., Sez. IV, 12 ottobre 2005, n. 44651, Leonini).

Diverse le conclusioni dei giudici di legittimità con riguardo al secondo aspetto degno di nota, ossia all'imputazione di interruzione colposa di gravidanza.

Sul punto, la Corte regolatrice perviene a una decisione di annullamento in parte qua senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Premessa, infatti, l'indubbia natura colposa della condotta di guida dell'imputato e dato per assodato il rilievo causale di tale condotta sul prodursi dell'evento, ciò che assume rilievo è, ancora una volta, la questione della prevedibilità di detto evento; ma in questo caso la disamina delle peculiarità del caso concreto induce i giudici di legittimità all'annullamento della condanna per il capo b), in quanto – sulla scorta di tale disamina - non poteva condurre ad esiti positivi il giudizio di prevedibilità che, in quel determinato contesto di tempo e di luogo, potesse essere presente una donna incinta. La sentenza in commento censura, infatti, l'inadeguatezza della risposta motivazionale in punto di elemento soggettivo del reato fornita dal provvedimento impugnato, che, dopo che il giudice di primo grado non aveva motivato sul punto, ha "liquidato" la specifica doglianza con l'affermazione secondo cui era «[...] peraltro prevedibile, in quanto del tutto probabile, che una donna in età giovanile che attraversi la strada possa essere incinta». Osservano infatti i giudici di legittimità che «non è dato di sapere a quale massima di esperienza, calata nel caso concreto, il collegio giudicante il gravame del merito ancori tale dato probabilistico», laddove, dall'esame delle sentenze di merito, non è emerso alcun elemento noto (quale poteva essere ad esempio, secondo la Corte regolatrice, se l'incidente fosse avvenuto nelle immediate adiacenze di un ospedale o di una clinica o di uno store che vendesse prodotti per la prima infanzia) da cui potesse inferirsi tale giudizio probabilistico.

Il terzo e ultimo aspetto affrontato dalla sentenza in commento, cui qui ci si limita a fare breve cenno, concerne la motivazione – giudicata lacunosa – del diniego delle attenuanti generiche. Anche sul punto la Corte di legittimità decide per l'annullamento, in questo caso con rinvio alla Corte d'appello: oggetto di censura è l'argomento (espresso nella sentenza impugnata) secondo il quale le attenuanti generiche, se pur ritenute concedibili, non potevano che essere considerate subvalenti rispetto all'aggravante contestata; la Corte regolatrice osserva al riguardo che i giudici del gravame del merito hanno operato una commistione tra la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche ed il giudizio di comparazione delle stesse. Di qui l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame sul punto.

Osservazioni

l punto nodale che la sentenza in commento affronta, sia con riguardo all'omicidio colposo, sia (a ben vedere) con riguardo all'interruzione colposa di gravidanza, è costituito dai limiti di applicabilità del principio di affidamento, quale peculiare declinazione delle questioni attinenti alla prevedibilità ed evitabilità dell'evento

In relazione a determinate attività rischiose giuridicamente consentite, nelle quali siano a vario titolo coinvolti più soggetti che interagiscano fra loro, possono sovente presentarsi situazioni in cui la condotta del singolo è influenzata dalla convinzione che gli altri individui coinvolti nella stessa attività agiranno in modo conforme a regole di cautela. In pratica l'agente fa affidamento sulla condotta degli altri, confidando cioè sul fatto che essa sarà idonea a evitare (o a non introdurre) rischi in quanto aderente alle prescrizioni cautelari di settore.

È chiaro che, oltre al profilo della necessità di improntare il rispetto delle regole di cautela nelle attività legittime ma rischiose all'esigenza di corrispondere alle aspettative sociali, vi è anche il problema di fissare i criteri per l'individuazione della responsabilità colposa (e del relativo fondamento giuridico) negli eventi verificatisi in tali attività, rispetto agli autori delle diverse attività rischiose convergenti.

Qui come altrove, occorre muovere dal principio costituzionale di personalità della responsabilità penale, in base alla quale ciascuno dei consociati risponde, in linea generale, della propria condotta e dei pericoli e degli eventi di danno da essa creati; ma, nello specifico, il problema fondamentale si pone in relazione a determinate situazioni e a determinate attività, laddove sia possibile prevedere che altre persone non si attengano alle regole cautelari che disciplinano l'attività comune o convergente. In tal caso viene fatto carico al singolo agente di adottare le cautele necessarie a evitare i rischi introdotti dalla condotta altrui; ed è in queste circostanze che occorre stabilire fino a che limite il singolo agente possa invocare il principio di affidamento, ossia il suo affidamento nella correttezza dell'attività di altri, e da quale momento in poi egli debba assumere su di sé l'onere di ovviare ai rischi della scorrettezza o della negligenza, imprudenza o imperizia altrui.

Nell'attuale, evolutivo assetto sociale, si assiste in modo crescente a situazioni nelle quali vi è la convergenza di più attività lecite ma rischiose, non necessariamente dello stesso tipo, poste in essere da più persone, contemporaneamente o anche in tempi diversi, di guisa che la condotta dell'uno può interagire, influenzandola, con la condotta dell'altro. In tutte queste situazioni ciascuno dei soggetti agenti è tenuto al rispetto di regole cautelari; e, quindi, l'esclusione o la limitazione dei rischi è subordinata all'osservanza di tali regole da parte di ciascuno.

Sul piano dell'esperienza giuridica, il primo e fondamentale settore in cui si è posto il problema delle condizioni di applicabilità del principio dell'affidamento è quello della circolazione stradale: ossia di una serie di condotte indipendenti fra loro (quelle dei singoli guidatori degli automezzi e, più in generale, dei singoli utenti della strada, ivi compresi i pedoni), ma tutte vincolate al rispetto di norme di cautela comuni, come quelle del Codice della Strada.

Secondo la giurisprudenza più recente, richiamata nell'ampio tessuto motivazionale della sentenza in commento, è necessario valutare, ai fini della sussistenza della colpa, se, nelle condizioni date, l'agente dovesse e potesse concretamente prevedere le altrui condotte irregolari. L'applicazione del principio in esame ha, nel tempo, combinato la necessità di tener conto del principio di autoresponsabilità del singolo automobilista con la necessità che costui adotti in pari tempo tutte le misure possibili per impedire eventi dannosi correlati alle imprudenze altrui.

La più risalente giurisprudenza esigeva, pervero, uno standard molto alto di responsabilità dell'automobilista: tant'è che vi fu chi coniò icasticamente, in contrapposizione speculare al principio di affidamento, l'espressione principio di sfiducia, secondo la quale il conducente non può fare affidamento sul corretto comportamento di un altro conducente, perché, anzi, «ha l'obbligo di prevedere le sue eventuali imprudenze o trasgressioni, preparandosi a superarle senza danno altrui» (DUNI, Limite dell'obbligo di prevedere le imprudenze altrui, in Riv. Giur. circol. strad., 1964, p. 330 e ss.).

Con la sentenza Minunno della Sezione IV della Cassazione penale (la n. 46741/2009), si è dato un parziale segno di discontinuità rispetto al precedente, rigorosissimo orientamento, in base al quale le condotte imprudenti dei diversi utenti della strada determinavano esse stesse un rischio tipico prevedibile e da governare per quanto possibile; l'indirizzo da ultimo affermato richiama alla necessità che il comportamento imprudente altrui debba essere valutato nella sua ragionevole prevedibilità in base alle circostanze del caso concreto; con la conseguenza che la condotta posta in essere senza che fosse ragionevolmente prevedibile il comportamento imprudente altrui non dovrebbe determinare responsabilità colposa; la tipologia di situazioni in cui la ragionevole prevedibilità viene meno può essere la più varia ma in particolare il problema della condotta colposa imprevedibile altrui si profila in quelle situazioni nelle quali l'evento è frutto di una condotta alla guida repentina e spesso necessitata, in cui il guidatore è costretto a eseguire la manovra – ad esempio la manovra d'emergenza – senza avere la possibilità e il tempo di avvedersi dell'imprudenza altrui.

Nella vastissima casistica al riguardo, cui la sentenza in commento fa ampi cenni, si afferma che il principio dell'affidamento trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della prevedibilità.

Ciò è stato ad esempio affermato in Cass. pen., Sez. IV, 2 febbraio 2016, n. 5691 del, Tettamanti, (citata anche nella sentenza che qui si commenta), nella quale la suprema Corte ha affermato la responsabilità dell'imputato che, alla guida della propria vettura, aveva effettuato un repentino cambio dalla corsia di sorpasso a quella di destra senza segnalare per tempo la sua intenzione, andando così a collidere con un motociclo che sopraggiungendo dietro di lui aveva tentato, imprudentemente, di sorpassarlo a destra .

Il principio di affidamento ha trovato applicazione in un caso (Cass. pen., Sez. IV, 6 maggio 2016, n. 940, Pino, n.m.) nel quale, per converso, è stata annullata dalla Suprema Corte la sentenza di condanna di un'automobilista, la quale, dopo avere effettuato una manovra di svolta a sinistra in corrispondenza di un incrocio, superava lo stop e si immetteva su un'arteria dalla quale proveniva un motociclo che aveva la precedenza; l'imputata, non accortasi del motociclista – per l'orario notturno, la scarsa illuminazione e l'elevatissima velocità del motociclo (oltre 100 kmh in centro abitato) che oltretutto procedeva verosimilmente a fari spenti –, proseguiva nella manovra di svolta a sinistra, seguendo però una traiettoria con la quale impegnava la corsia di marcia del motociclista, che nell'impatto fra i due veicoli decedeva. Nella pronunzia si è fra l'altro richiamato il principio in base al quale, qualora le regole di cautela che si assumono violate si presentino come regole "elastiche", che indicano, cioè, un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, è comunque necessario che l'imputazione soggettiva dell'evento avvenga attraverso un apprezzamento della concreta prevedibilità ed evitabilità dell'esito antigiuridico da parte dall'agente modello .

Sempre in applicazione del principio di affidamento, con altra pronunzia (Cass. pen., Sez. IV, 9 gennaio 2015, n. 12260, Moccia e altro) la Suprema Corte ha annullato la sentenza con la quale era stata esclusa la responsabilità del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell'autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all'automezzo ed era stato investito dall'imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio-temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman.

Il problema dei limiti di applicabilità del principio di affidamento si è posto anche in diversi altri contesti: dalla responsabilità colposa in ambito sanitario, a quella in ambito prevenzionistico, a molteplici situazioni nelle quali il comportamento del singolo agente si rapporta con quello di altri soggetti tenuti al rispetto di regole cautelari: si tratta di casi nei quali può ravvisarsi la cooperazione colposa fra più agenti, come accade nel caso di successione nelle posizioni di garanzia, o di trasferimento delle stesse mediante delega di funzioni, oppure nel caso di lavoro d'équipe, specie in ambito sanitario.

In linea di massima, comunque, può dirsi che, se vale in tutte queste ipotesi il principio dell'autoresponsabilità penale, nondimeno la reciproca consapevolezza della compartecipazione ad attività rischiose pone comunque il problema di stabilire a quali condizioni il singolo agente debba farsi carico di prevedere la possibile condotta incauta degli altri operatori.

Autorevole dottrina (MANTOVANI) ha indicato tali condizioni:

  • nella prevedibilità dell'altrui imprudenza, ossia nella possibilità che, in relazione alla situazione concreta, il singolo agente possa ragionevolmente prevedere che altri agenti pongano in essere condotte imprudenti e potenzialmente dannose;
  • nell'evitabilità delle conseguenze dell'altrui comportamento imprudente, ossia nella concreta possibilità di agire efficacemente per impedire gli effetti dell'altrui condotta colposa;
  • negli eventuali obblighi di sorveglianza, coordinamento e controllo affidati al singolo operatore nei confronti degli altri (ciò vale in particolare con riguardo ai reati colposi plurisoggettivi e alla sussistenza, in capo all'agente, della c.d. posizione di garanzia).

Fatta questa ampia premessa di ordine generale, e venendo al caso esaminato nella sentenza in commento, deve convenirsi che essa fa buon governo dei criteri di applicabilità del principio di affidamento e dei relativi limiti di operatività.

Quanto all'omicidio colposo, sebbene le vittime stessero attraversando la strada (un'arteria di grande transito) senza utilizzare l'apposito sottopassaggio, e dunque in modo imprudente, è di tutta evidenza che l'autore del reato stesse conducendo la propria autovettura in condizioni di ancor più grave imprudenza: non solo perché egli guidava la propria autovettura a una velocità doppia rispetto a quella consentita, ma altresì perché tale condotta di guida veniva posta in essere in ore serali, con asfalto bagnato (e dunque in minori condizioni di sicurezza) e, soprattutto, in area urbana, oltretutto prossima a una fermata della metropolitana e dunque presumibilmente molto frequentata.

Era prevedibile in concreto che, in dette condizioni, un pedone attraversasse quella strada senza avvalersi del sottopasso? La sentenza in commento, a tale domanda, offre condivisibilmente risposta affermativa, atteso che ben poteva prevedersi che alcuno, incurante della pericolosità di un attraversamento di una strada avente quelle caratteristiche, vi si avventurasse, magari per la fretta o per mera distrazione, così esponendosi a rischio di essere investito. Quanto, poi, all'evitabilità, essa deve ritenersi acclarata, in quanto, se l'automobilista avesse osservato le regole cautelari specifiche (quelle del codice della strada, a cominciare dal limite di velocità) e quelle generiche di diligenza, prudenza e perizia, sarebbe stato verosimilmente in grado di rallentare o di fermarsi in tempo, scongiurando così l'evento che, invece, egli cagionò.

Parimenti corretto, alla stregua dei principi sopra enunciati, è il passaggio in cui la sentenza perviene ad opposte conclusioni con riguardo al reato di interruzione colposa di gravidanza.

In questo caso, assume peculiare rilievo – nell'ambito dell'operatività del principio di affidamento – il profilo della concreta prevedibilità che, a quell'ora e in quel punto, la strada venisse attraversata in modo imprudente (non da un pedone qualsiasi, bensì) da una donna incinta.

Sul punto, la Cassazione rileva una carenza motivazionale, segno di una sottostante lacunosità probatoria (evidentemente risalente al giudizio di merito), nel senso che non risultano essersi palesati in sede istruttoria elementi fattuali che rendessero ragionevolmente prevedibile l'attraversamento della strada da parte di una donna in stato di gravidanza: opportunamente, l'estensore della motivazione esemplifica quali potessero essere tali elementi fattuali (la vicinanza di ospedali o cliniche, o di esercizi commerciali di articoli per la prima infanzia ecc.), denunciando l'assenza di riscontri al riguardo e traendone, conseguentemente, la conclusione che non vi fosse in concreto la prevedibilità dell'evento del reato contestato al capo b).

Il percorso argomentativo seguito dalla Suprema Corte, in definitiva, rispetta la regola generale in base alla quale, per potersi parlare di prevedibilità in concreto, è necessario procedere a una valutazione ex ante che si estenda a tutte le peculiarità che caratterizzano il caso specifico, da effettuarsi alla stregua dell'agente modello razionale, ma tenendo conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale. Infatti, il concetto di prevedibilità in concreto è finalizzato a evitare che una valutazione meramente astratta del concetto di prevedibilità estenda la rimproverabilità dell'agente anche a situazioni di rischio che egli, in base alle conoscenze che aveva o che avrebbe dovuto avere, non poteva prevedere; e, quindi, a impedire che a suo carico gravi una responsabilità eccedente i limiti del principio di colpevolezza.

Guida all'approfondimento

MANTOVANI F., Il principio di affidamento nel diritto penale, in Riv.it. dir. e proc.pen., 2009, 2.

RUSSO R., Sul principio di affidamento in materia di circolazione stradale, Cass. pen., 2010, 9.

BALZANI S. – TRINCI A., I reati in materia di circolazione stradale, CEDAM 2016, pp. 281 e ss..

G. RICCARDI, Reati alla guida – percorsi giurisprudenziali, Giuffrè 2010, pp. 145 e ss..

CANEPA A., L'imputazione soggettiva della colpa, Giappichelli 2011, pp. 110 e ss..

Volendo, PAVICH G., La colpa penale, Giuffrè 2013.

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