Se “il fatto non sussiste” non sussiste nemmeno il “collegamento”. Incostituzionale l'art. 197-bis c.p.p.

Redazione Scientifica
31 Gennaio 2017

La Corte costituzionale ha dichiarato – sentenza n. 21 del 26 gennaio 2017 – l'illegittimità costituzionale dell'art. 197-bis, comma 6, c.p.p. nella parte in cui prevede l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, c.p.p. anche per le dichiarazioni rese dall'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o ...

La Corte costituzionale ha dichiarato – sentenza n. 21 del 26 gennaio 2017 – l'illegittimità costituzionale dell'art. 197-bis, comma 6, c.p.p. nella parte in cui prevede l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, c.p.p. anche per le dichiarazioni rese dall'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste.

È stato altresì dichiarato incostituzionale il comma 3 dell'art. 197-bis c.p.p. nella parte in cui prevede l'assistenza di un difensore per le suddette persone.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal tribunale ordinario di Macerata, con ord. del 22 maggio 2015, n. 232, il quale riteneva le disposizioni censurate prive di ragionevolezza, oltreché non rispettose del principio di uguaglianza, perché parificavano la posizione dell'imputato in procedimento connesso o di reato collegato, assolto con sentenza irrevocabile, a quella della persona dichiarante ai sensi dell'art. 210 c.p.p. e, di conseguenza, la diversificavano rispetto al testimone ordinario, sia sotto il profilo dell'assistenza difensiva che sotto quello della limitazione probatoria delle dichiarazioni.

La Consulta, dichiarando fondata la questione sollevata, richiama le motivazioni della sentenza con cui aveva già dichiarato incostituzionale l'art. 197-bis c.p. nella parte in cui la disposizione si applica alle dichiarazioni rese dalle persone nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto (Corte cost. n. 381/2006): l'assetto normativo della prova dichiarativa, in esito alla novella del 1° marzo 2001, n. 63, di attuazione del ‘giusto processo', evidenziasse una complessiva ‘strategia di fondo' del legislatore: precisamente, quella di “enucleare una serie di figure di dichiaranti nel processo penale in base ai diversi ‘stati di relazione' rispetto ai fatti oggetto del procedimento, secondo una graduazione che, partendo dalla situazione di assoluta indifferenza propria del teste ordinario, giunge fino alla forma ‘estrema' di coinvolgimento, rappresentata dal concorso del dichiarante nel medesimo reato”. […] Alla molteplicità di tali ‘stati di relazione' corrisponde, evidentemente, una “articolata scansione normativa”, relativa non soltanto alla varietà soggettiva dei dichiaranti, ma anche alle differenti modalità di assunzione della dichiarazione e, soprattutto, ai diversi effetti del dichiarato.

La sentenza piena di assoluzione perché il fatto non sussiste costituisce, dunque, una circostanza idonea ad eliminare qualsiasi “stato di relazione” di quel dichiarante rispetto ai fatti oggetto del procedimento.

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