L’attuazione della decisione quadro Ue sul riconoscimento dei provvedimenti assunti in absentia: meglio tardi che mai…

31 Marzo 2016

Con l'entrata in vigore del decreto legislativo 31 del 15 febbraio 2016 la normativa nazionale si adegua a quella dell'Unione al fine di consentire una più efficace operatività del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie pronunciate in assenza dell'interessato al processo. Con tale decreto il legislatore ha recepito, con notevole ritardo, la decisione quadro 2009/299/Gai.
Abstract

Con notevole ritardo il nostro legislatore ha dato finalmente attuazione, nell'ordinamento interno, alla decisione quadro 2009/299/Gai del 26 febbraio 2009 del Consiglio Ue, che ha modificato le decisioni quadro 2002/584/Gai, 2005/214/Gai, 2006/783/Gai, 2008/909/Gai e 2008/947/Gai, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo.

Le modifiche introdotte dalla decisione quadro – che interessavano, come evidenziato, altre cinque decisioni quadro in materia di cooperazione giudiziaria e, più in generale, di circolazione e riconoscimento di decisioni giudiziarie – sono tutte incentrate sull'ipotesi di un provvedimento assunto in absentia: esse sono state recepite con il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 31.

Con l'entrata in vigore del predetto decreto, dunque, la normativa nazionale si adegua a quella dell'Unione al fine di consentire una più efficace operatività del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie.

L'antecedente sovranazionale: la decisione quadro 2009/299/Gai

Prima della decisione quadro 2009/299/Gai la questione del giudizio in absentia non era mai stata affrontata in modo uniforme nelle varie decisioni quadro che applicavano il principio del reciproco riconoscimento alle decisioni giudiziarie definitive; in conseguenza di ciò la diversità di soluzioni processuali dei vari Paesi aveva a lungo costituito un ostacolo alla cooperazione giudiziaria, che il Consiglio avvertì l'esigenza di risolvere attraverso la previsione di motivi chiari e comuni per il non riconoscimento delle decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l'interessato non è comparso personalmente.

In questo contesto, la decisione quadro del 2009 ha costituito, altresì, il primo intervento normativo concreto, in ambito di Unione, finalizzato a garantire un diritto dell'individuo riconosciuto nella Convenzione europea, per il tramite di quello che potrebbe definirsi un procedimento indiretto: le modifiche alle decisioni relative a strumenti di attuazione del principio del reciproco riconoscimento si limitano, infatti, a precisare dei motivi di non riconoscimento ma attraverso questi si potenzia l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato (precise definizioni di tali motivi comuni dovrebbero consentire all'autorità di esecuzione di eseguire la decisione nonostante l'interessato non sia presente al giudizio, pur rispettando pienamente il diritto alla difesa dell'interessato), rafforzando nel contempo il diritto dell'imputato di partecipare al processo.

Ancora una volta, dunque, seppure la finalità della decisione quadro non era quella di armonizzare e ravvicinare le legislazioni nazionali potenziando i diritti processuali, la definizione di condizioni per il riconoscimento delle sentenze pronunciate in absentia conformi a parametri ricavabili dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha sortito l'effetto, indiretto, di costringere i Paesi a rendere i propri sistemi conformi alla Convenzione e, pur disconoscendo intenti di ravvicinamento, attraverso la conformità ad un atto comune ha garantito l'uniformità delle normative dei Paesi membri in subiecta materia.

Così, peraltro, non poteva che essere, considerato il livello di rilevanza oramai riconosciuto al diritto dell'imputato di partecipare al processo: il diritto ad un processo equo, garantito dalla Cedu, infatti, secondo la stessa decisione quadro include il diritto dell'interessato a comparire personalmente al processo, che presuppone che egli sia al corrente del processo fissato; il rimedio alla violazione di tale diritto dovrebbe essere rappresentato da un nuovo processo o un ricorso in appello volto a garantire i diritti della difesa, nel quale l'interessato ha il diritto di essere presente, il merito della causa, comprese le nuove prove è riesaminato e il procedimento può condurre alla riforma della decisione originaria.

Quanto anticipato nella decisione quadro 2009/299/Gai (con lo scopo precipuo di assicurare l'esecuzione dei provvedimenti, nell'intento di facilitare la cooperazione giudiziaria in materia penale e di potenziare l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Stati membri) ha trovato ulteriore eco nella Risoluzione contenente una tabella di marcia (che scandisce ben sei diverse misure) per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali che il Consiglio dell'Unione europea ha adottato in data 30 novembre 2009: un vera e propria tappa epocale, a livello europeo, per l'affermazione delle esigenze di tutela dei diritti di soggetti sottoposti ad indagine o già a processo penale, agevolata dal nuovo assetto conseguente al Trattato di Lisbona e dal nuovo ruolo assunto, nell'aquis comunitario, dalla Carta dei diritti dell'Unione europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Lo spirito di riforma normativa ha contagiato, oltre al Consiglio, anche la Commissione, che il 27 novembre 2013, nel tentativo di fornire più garanzie e norme di salvaguardia per i cittadini interessati da processo penale, ha presentato cinque proposte – articolate in tre proposte di direttiva e due raccomandazioni – finalizzate, appunto, al rafforzamento dei diritti processuali dei cittadini dell'Unione: una di queste è la proposta di direttiva COM (2013) 821 def., relativa al rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, oggi diventata la direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione dell'11 marzo 2016 (v. su questa Rivista BIGIARINI, Presunzione di innocenza e diritto al silenzio nella nuova direttiva Ue).

Da notare che gli artt. 8 e 9 della direttiva ripropongono – in termini più stringati – le condizioni già introdotte dalla decisione quadro 2009/299/Gai, questa volta, però, al fine di stabilire un sistema di indicazioni per la celebrazione del processo in absentia nei vari Paesi dell'Unione, così implicitamente tracciando delle vere e proprie regole europee per la legittimità di un giudizio celebrato senza la presenza dell'imputato.

Il d.lgs. 31 febbraio 2016, n. 31

Orbene, il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 31, ha recepito quella parte della decisione quadro 2009/299/Gai che apportava, a sua volta, modifiche alla decisione quadro 2002/584/Gai istitutiva del mandato di arresto europeo e alla decisione quadro 2008/909/Gai relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea.

Fedelmente al contenuto dell'atto europeo in recepimento, il legislatore nazionale ha premesso alle modifiche normative vere e proprie una disposizione, rubricata Disposizioni di principio e ambito di applicazione, nella quale viene individuato l'oggetto del decreto stesso: dare attuazione alla decisione quadro 2009/299/Gai, nella parte in cui modifica due altre decisioni quadro del 2002 e del 2008, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo.

Il decreto, infatti, attua la decisione quadro nella parte in cui la stessa aveva modificato: a) la decisione quadro 2002/584/Gai, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri; b) la decisione quadro 2008/909/Gai, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea. È da osservare, peraltro, che la decisione quadro 2009/299/Gai ha modificato anche tre altre decisioni quadro: a) la decisione quadro 2005/214/Gai (reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie; l'attuazione di tale decisione quadro è avvenuta con il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37); b) la decisione quadro 2006/783/Gai (reciproco riconoscimento alle decisioni di confisca; tale decisione quadro è stata attuata con il decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 137); c) la decisione quadro 2008/947/Gai (reciproco riconoscimento alle decisioni concernenti la sospensione condizionale; l'attuazione di tale decisione quadro è avvenuta con il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 38).

L'adeguamento giunge, come accennato in premessa, con notevole ritardo: stando alla decisione quadro, infatti, gli Stati membri avrebbero dovuto adottare le misure necessarie per conformarsi alle nuove disposizioni entro il 28 marzo 2011, ovvero, qualora avessero dichiarato l'esistenza di seri motivi di supporre di non riuscire ad ottemperare alle disposizioni in essa previste entro il biennio dalla sua adozione, al più tardi, a decorrere dal 1° gennaio 2014, così come l'Italia si era impegnata a fare.

Le modifiche alla legge 22 aprile 2005, n. 69, in materia di mandato di arresto europeo

La prima e più significativa modifica contenuta nel decreto è quella introdotta all'art. 2: la disposizione apporta modificazioni alla legge 22 aprile 2005, n. 69, che ha recepito nel nostro ordinamento la disciplina dell'Unione in materia di mandato di arresto europeo, sostituendo l'art. 19, comma 1, la lettera a), della legge del 2005 con una nuova previsione.

La decisione quadro del 2009, infatti, aveva inserito nella decisione quadro 2002/584/Gai, istitutiva dello strumento europeo di consegna di ricercati e condannati, il nuovo articolo 4-bis, rubricato Decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l'interessato non è comparso personalmente, abrogando contemporaneamente il paragrafo 1 dell'art. 5 di tale ultima decisione. Tale ultima disposizione era stata, in fase di originario recepimento, pedissequamente riproposta all'art. 19, lett. a), l. 22 aprile 2005, n. 69 ed era stata qualificata dall'Italia come condizione obbligatoria, con ciò dandosi dimostrazione della sensibilità del nostro sistema alla tutela dei diritti processuali e, contemporaneamente, dell'evidente diffidenza rispetto al modus operandi degli altri Paesi dell'Unione (una vera e propria presa di coscienza dell'effettiva eterogeneità dei sistemi giuridici dei Paesi dell'Unione e, soprattutto, delle differenti garanzie riconosciute a livello costituzionale).

Ne consegue che oggi, con il recepimento della decisione quadro 2009/299/Gai, la normativa italiana si adegua al testo modificato della decisione quadro 2002/584/Gai e, all'iniziale condizione obbligatoria, ne è sostituita una nuova. Sulla base della precedente normativa, infatti, la consegna da parte dell'Italia era sempre subordinata, in caso di mandato volto a dare esecuzione ad una decisione definitiva pronunciata in absentia – e nella sola ipotesi in cui il ricercato non fosse stato citato personalmente né altrimenti informato della data e del luogo dell'udienza che aveva portato a tale decisione – alla condizione che l'autorità giudiziaria emittente fornisse assicurazioni considerate sufficienti a garantire al consegnando la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro di emissione e di partecipare al relativo giudizio.

La nuova condizione (che nella decisione quadro è qualificata come causa facoltativa di non esecuzione) è ben più articolata della precedente ed è sempre obbligatoria (L'esecuzione del mandato d'arresto europeo da parte dell'autorità giudiziaria italiana, nei casi sotto elencati, è subordinata alle seguenti condizioni): essa, per vero, si atteggia come un'ipotesi di consegna condizionata all'esistenza di alcuni presupposti che potremmo definire di “legittimità del giudizio contumaciale”, nel senso che vengono introdotte una serie di condizioni in presenza di una delle quali la Corte di appello può comunque dare luogo alla consegna anche se la pena o la misura di sicurezza conseguono ad un giudizio nel quale l'imputato non è comparso personalmente.

Il nuovo art. 19, comma 1, lett. a), della legge n. 69 del 2005, introdotto dall'art. 2 del d.lgs. in commento, prevede, infatti, che, in caso di mandato di arresto finalizzato alla esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza irrogate mediante decisione pronunciata in absentia, la Corte di appello possa, comunque, dar luogo alla consegna se il certificato che accompagna il mandato di arresto europeo attesta una delle condizioni di seguito indicate. Queste ultime si presentano come alternative, atteso che il verificarsi anche di una sola di esse impedisce il rigetto della richiesta: trattandosi di ipotesi particolarmente articolate, è opportuno analizzarle singolarmente.

La prima condizione è che l'interessato sia stato citato tempestivamente e personalmente, essendo informato inequivocabilmente della data e del luogo del processo che ha portato alla decisione pronunciata in absentia e del fatto che una tale decisione avrebbe potuto esser presa anche in mancanza della sua partecipazione. Peraltro, diversamente da quanto previsto nella decisione quadro – e a differenza della modifica contenuta nell'art. 2 dello stesso decreto legislativo – il legislatore non ha previsto espressamente l'ipotesi che l'interessato sia stato di fatto informato ufficialmente con altri mezzi della data e del luogo del processo.

La seconda possibilità, alternativa alla prima, è che l'interessato sia stato informato del processo a suo carico e sia stato rappresentato nel processo conclusosi con la decisione da un difensore, nominato da lui stesso o d'ufficio.

La terza condizione, alternativa alle precedenti, è che l'interessato, ricevuta la notifica della decisione e informato del diritto di ottenere un nuovo processo o della facoltà di dare inizio al giudizio di appello (in cui ha il diritto di partecipare e che consente il riesame del merito della causa e l'allegazione di nuove prove che possono condurre alla riforma della decisione oggetto di esecuzione) abbia dichiarato espressamente di non opporsi a tale decisione, né abbia richiesto la rinnovazione del processo o proposto ritualmente appello. Viene dato rilievo, dunque, al comportamento dell'imputato che abbia manifestato la sua acquiescenza o in forma attiva – dichiarando di non voler proporre impugnazione o, se previsto, richiedere un nuovo giudizio – o in forma omissiva – lasciando spirare inutilmente il termine per esercitare il relativo diritto; è l'atteggiamento del soggetto, a fronte del complesso adempimento informativo posto in essere, a legittimare, pertanto, l'esecuzione della sentenza contumaciale. Rimane da osservare che, per garantire effettivamente i diritti dell'individuo, dovrebbe comunque esigersi che lo Stato di emissione preveda un sistema che consenta la restituzione nel termine dopo aver accertato l'assenza della volontà di subire le conseguenze della decisione adottata senza la sua partecipazione.

Infine, la quarta ed ultima possibilità, anch'essa alternativa rispetto alle precedenti, è quella in cui l'interessato non ha ricevuto personalmente la notifica della decisione ma la riceverà personalmente e senza indugio dopo la consegna nello Stato membro di emissione, venendo espressamente informato dei termini entro i quali potrà esercitare il diritto ad un nuovo processo o la facoltà di dare inizio al giudizio di appello, al quale ha il diritto di partecipare e che consente il riesame del merito della causa e l'allegazione di nuove prove che possono condurre alla riforma della decisione oggetto di esecuzione. Il legislatore nazionale, nell'introdurre tale ultima condizione, ha deviato rispetto alla previsione contenuta nella decisione quadro: in quest'ultima, infatti, si fa riferimento all'informativa che deve essere data all'interessato circa il diritto ad un nuovo processo, mentre il decreto richiama esclusivamente l'informativa dei termini entro cui potrà essere esercitato il diritto a un nuovo processo. Nella sostanza, peraltro, la differenza non appare significativa, posto che l'informativa sui termini presuppone il diritto ad ottenere un nuovo processo.

Tale ultima condizione lascia, però, perplessi: con essa si legittima, infatti, la consegna di un individuo che non ha mai avuto conoscenza dello svolgimento di un procedimento a suo carico, né del fatto che questo si è concluso con una sentenza di condanna, sulla sola base dell'impegno a provvedere alla notifica della decisione – consentendo di ottenere un nuovo giudizio o di proporre impugnazione – dopo che la consegna abbia avuto esecuzione (id est: dopo che la sentenza abbia già trovato parziale esecuzione sul piano internazionale). Si dovrebbe essere arrestati e consegnati, infatti, sulla base di un provvedimento mai ufficialmente e legalmente comunicato. Mancano, inoltre, poiché non sono state recepite con il decreto legislativo in esame, le ulteriori indicazioni contenute nell'art. 4-bis, commi 2 e 3, legge n. 69 del 2005, che già di per sé potevano essere considerate non soddisfacenti e che vale, però, la pena ricordare: Qualora il mandato d'arresto europeo sia emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà alle condizioni di cui al paragrafo 1, lettera d), e l'interessato non sia stato precedentemente informato ufficialmente dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico, questi può, una volta informato del contenuto del mandato d'arresto europeo, chiedere che gli sia trasmessa copia della sentenza prima della consegna. Non appena ricevuta informazione della richiesta, l'autorità emittente fornisce all'interessato copia della sentenza per il tramite dell'autorità di esecuzione. La richiesta dell'interessato non ritarda la procedura di consegna né la decisione di eseguire il mandato d'arresto europeo. La sentenza è trasmessa all'interessato a soli fini informativi; la trasmissione non costituisce notificazione ufficiale della sentenza né fa decorrere i termini applicabili per la richiesta di un nuovo processo o per la presentazione di un ricorso in appello. Qualora la persona sia consegnata alle condizioni di cui al paragrafo 1, lettera d), e abbia chiesto un nuovo processo o presentato ricorso in appello, la detenzione della persona in attesa di tale processo o appello è riesaminata, fino alla conclusione del procedimento, conformemente al diritto dello Stato membro di emissione, a intervalli regolari o su richiesta dell'interessato. Il riesame verte in particolare sulla possibilità di sospensione o interruzione della detenzione. Il nuovo processo o l'appello hanno inizio in tempo utile dalla consegna.

Il legislatore è intervenuto, infine, modificando anche l'art. 30, comma 1, legge n. 69 del 2005, relativo al contenuto del mandato d'arresto europeo nella procedura attiva di consegna. Si precisa, infatti, che lo schema di euromandato da utilizzarsi è quello conseguente alle modifiche introdotte dall'art. 2, par. 3, della decisione quadro 2009/299/Gai del Consiglio e si provvede allo sostituzione del modello originariamente allegato alla predetta legge con quello allegato al decreto: nella sostanza, dunque, la modifica del formulario è finalizzata a tenere in considerazione le nuove condizioni declinate in materia di giudizio in absentia.

Le modifiche al decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161

L'art. 3 del decreto legislativo in commento è dedicato, invece, alla modifica di due diverse disposizioni (artt. 2 e 13) del decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che a sua volta aveva introdotto disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/909/Gai relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea. La modifica in questione corrisponde alla previsione contenuta nell'art. 5 della decisione quadro 2009/299/Gai.

Con riferimento all'art. 2 del d.lgs. 161 del 2010, viene modificato il certificato da utilizzare al fine del reciproco riconoscimento: il modello di certificato originariamente allegato al decreto legislativo del 2010, infatti, viene sostituito dall'allegato al nuovo decreto. Di ciò viene dato atto anche nella parte definitoria del decreto, attraverso un richiamo al fatto che il certificato in utilizzo è quello modificato dall'art. 5, paragrafo 2), della decisione quadro 2009/299/Gai del Consiglio, del 26 febbraio 2009.

Con riferimento all'art. 13 del decreto del 2010, invece, la modifica interessa, più nello specifico, il comma 1, lettera i), e riguarda uno dei casi nei quali la Corte di appello rifiuta il riconoscimento della sentenza di condanna. Nella versione originaria, infatti, la lettera i) prevede il rifiuto del riconoscimento della sentenza di condanna qualora la sentenza sia stata pronunciata in contumacia, se il certificato non indica che la persona ha avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e ha volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o opposizione.

La modifica normativa prevede ora il rifiuto del riconoscimento della sentenza di condanna se l'interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione da eseguire, a meno che il certificato attesti:

  1. che, a tempo debito, è stato citato personalmente e, pertanto, informato della data e del luogo fissati per il processo o che ne è stato di fatto informato ufficialmente con altri mezzi, idonei a comprovare inequivocabilmente che ne era al corrente, nonché che è stato informato del fatto che una decisione poteva essere emessa in caso di mancata comparizione in giudizio; ovvero
  2. che, essendo al corrente della data fissata per il processo, aveva conferito un mandato ad un difensore, di fiducia o d'ufficio, da cui in effetti è stato assistito in giudizio; ovvero
  3. che, dopo aver ricevuto la notifica della decisione ed essere stato espressamente informato del diritto a un nuovo processo o ad un ricorso in appello con possibilità di parteciparvi per ottenere un riesame nel merito della imputazione, compresa l'assunzione di nuove prove, ha dichiarato espressamente di non opporsi alla decisione o non ha richiesto un nuovo processo o presentato ricorso m appello entro il termine a tal fine stabilito.

È da rilevare che la modifica normativa contiene, a ben vedere, due lievi differenze – di natura lessicale – rispetto alla stesura contenuta nella decisione quadro. E infatti:

a) al numero 1), in relazione all'ipotesi, già contenuta nella decisione quadro, relativa all'informazione ufficiale dell'esistenza del giudizio data all'interessato con altri mezzi, si precisa che questi devono caratterizzarsi come idonei a comprovare inequivocabilmente che l'interessato ne era al corrente (della data e del luogo fissati per il processo), così modificandosi la formula introdotta nella decisione quadro in modo tale che si è stabilito inequivocabilmente che era al corrente del processo fissato;

b) al numero 2), relativamente alla nomina di un difensore, è fatto riferimento alla sua effettiva assistenza in giudizio, mentre, con differente terminologia ma con analogo senso, la decisione quadro postula l'effettivo patrocinio in giudizio.

In conclusione

Come osservato in premessa, l'intervento normativo in esame, seppur in ritardo, effettua un non più procrastinabile adeguamento alla normativa dell'Unione, al fine di consentire un sempre più effettivo reciproco riconoscimento dei provvedimenti giudiziari.

Il recepimento della decisione quadro è avvenuto in termini fedeli, rispettosi delle indicazioni fornite dalla fonte sovranazionale; da osservare, però, che le nuove disposizioni in ambito di cooperazione giudiziaria non si armonizzano appieno con la modifica di recente intervenuta in materia di giudizio in absentia nell'ordinamento interno con la legge 28 aprile 2014, n. 67. Rinviando ad altra sede l'approfondimento, infatti, non può non segnalarsi come oggi, nel nostro Paese, per la celebrazione di un giudizio in assenza dell'imputato si continua a prescindere dall'esistenza di una prova certa della conoscenza, da parte dell'imputato, della data e del luogo del processo, postulandosi esclusivamente la conoscenza dell'esistenza del procedimento (in assenza di ulteriori precisazioni, d'altronde, di più non può trarsi dalle condizioni sintomatiche indicate nel nuovo art. 420-bis, comma 2, c.p.p.) e la volontà di sottrarsi a tale conoscenza. Tutto ciò contrariamente alle indicazioni sovranazionali che richiedono l'accertamento, nei confronti dell'imputato, della conoscenza del processo fissato e, dunque, la piena contezza da parte sua della data in cui l'udienza si svolgerà. Sotto questo profilo, d'altronde, anche la più recente e già citata direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 (BIGIARINI, cit.) impone che l'indagato o imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, implicitamente postulando la comunicazione della data e del luogo ove il processo si terrà; allo stesso modo, la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo esige proprio tale conoscenza (non la semplice conoscenza dell'esistenza del processo).

Si impone adesso, dunque, un ulteriore intervento legislativo che possa armonizzare il sistema attraverso una più attenta cernita delle condizioni – previste dall'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. – che oggi legittimano la celebrazione di un giudizio in assenza dell'imputato, al fine di evitare che una richiesta di consegna avanzata dall'Italia possa essere respinta da un altro Paese dell'Unione.

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