Le dichiarazioni del testimone irreperibile e il giusto processo

Carlotta Conti
31 Agosto 2015

Strettamente connessa alle implicazioni attuative del principio costituzionale del giusto processo si presenta la materia delle dichiarazioni del testimone irreperibile. Sul punto si è registrato un mutamento giurisprudenziale sia all'interno del nostro ordinamento, sull'onda del necessario adeguamento ai dettami di Strasburgo, sia nel sistema convenzionale, in ragione di un profondo ripensamento dell'esegesi ormai classica.
Abstract

Strettamente connessa alle implicazioni attuative del principio costituzionale del giusto processo si presenta la materia delle dichiarazioni del testimone irreperibile.

Sul punto si è registrato un mutamento giurisprudenziale sia all'interno del nostro ordinamento, sull'onda del necessario adeguamento ai dettami di Strasburgo, sia nel sistema convenzionale, in ragione di un profondo ripensamento dell'esegesi ormai classica.

Oggi, in entrambi i sistemi, i relata unilaterali risultano utilizzabili in presenza di riscontri. Tale regola richiede un apprezzamento in concreto del sindacato condotto dal giudice nella valutazione delle prove.

Le Sezioni unite De Francesco 2014

La disciplina ricavabile dall'art. 111 Cost., così come attuato nel sistema codicistico ha mostrato una netta divaricazione rispetto all'assetto delineato dalla Convenzione europea nell'interpretazione prospettata dalla Corte di Strasburgo, con riferimento alla questione dell'utilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni rese da persone irreperibili, da sempre oggetto di acceso dibattito. Sul punto dapprima sono intervenute le Sezioni unite (Cass.pen., Sez. un., 25 novembre 2010, n. 27918); successivamente si è registrata una pronuncia della Grande Camera della Corte europea (Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito, 15 dicembre 2011) che ha in parte rivisitato l'interpretazione sino ad allora accolta a Strasburgo.

Nel momento in cui il Collegio esteso si è pronunciato, il sistema convenzionale poteva essere ricostruito come segue. Il testo della Cedu prevede all'art. 6, par. 3, lett. d) che “ogni accusato ha in particolare il diritto di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e di ottenere la convocazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico nelle medesime condizioni dei testimoni a carico”. Da tale statuizione di principio – considerata un aspetto del canone del giusto processo sancito dall'art. 6, par. 1 – i giudici di Strasburgo avevano desunto in via interpretativa due regole relative alle dichiarazioni rese fuori dal contraddittorio. Anzitutto, le deposizioni raccolte unilateralmente potevano essere utilizzate soltanto se all'imputato fosse stata concessa “un'occasione adeguata e sufficiente di contestare la testimonianza a carico” e cioè di interrogare l'autore della dichiarazione al momento della deposizione o anche successivamente. In tal caso, l'utilizzo delle precedenti dichiarazioni non era considerato di per sé contrario all'art. 6, parr. 1 e 3, lett. d) Cedu.

Qualora una simile possibilità non fosse stata riconosciuta – e purché vi fosse un buon motivo per non aver svolto l'esame orale del dichiarante – quanto raccolto in segreto non poteva valere a fondare in modo esclusivo o determinante la sentenza di condanna (c.d. sole or decisive rule). In ipotesi del genere, occorrevano altri elementi di prova idonei a compensare la mancata assicurazione del diritto a confrontarsi con l'accusatore fugando i sospetti che desta una prova non sottoposta al contraddittorio. In caso contrario, si sarebbe verificata una violazione del giusto processo ex art. 6, par. 1, Cedu di cui il diritto a confrontarsi era considerato, come si è accennato, una componente. Ad avviso della Corte europea la sole or decisive rule aveva valore generale ed operava anche qualora il contraddittorio fosse divenuto impossibile per irreperibilità, morte o grave infermità del dichiarante.

Ebbene, ove confrontato con un siffatto quadro convenzionale, il sistema probatorio italiano determinava ictu oculi una situazione di specialità reciproca sul piano delle garanzie. Per un verso, la regola generale del contraddittorio nella formazione della prova, stabilita dall'art. 111, comma 4, primo periodo,Cost., non poteva dirsi tutelata in presenza di un'occasione adeguata e sufficiente di contraddire, anche in una sede diversa rispetto a quella in cui le dichiarazioni fossero state rese. Il nostro ordinamento, così come attuato nel sistema codicistico, richiedeva la pienezza e la contestualità del contraddittorio e considerava di regola inutilizzabili le precedenti dichiarazioni. Per altro verso, le eccezioni previste dall'art. 111, comma 5, Cost. ed attuate dal legislatore ordinario, consentivano — nelle ipotesi tassativamente previste — di utilizzare le precedenti dichiarazioni anche come prova unica o principale per la condanna senza che fossero richiesti ulteriori requisiti come, ad esempio, la presenza di riscontri.

Così, per la questione che qui interessa, in caso di impossibilità di ripetizione non dovuta a volontaria sottrazione al contraddittorio, le dichiarazioni unilaterali potevano essere utilizzate anche come prova esclusiva, o comunque determinante, ai fini della condanna (art. 512 c.p.p.).

Le Sezioni unite avevano tracciato sul punto una soluzione ermeneutica di portata generale volta a conformare la disciplina interna ai più garantisti dettami convenzionali. Ad avviso del Collegio esteso, il contrasto tra l'art. 111, comma 5,Cost. e la disciplina della Convenzione europea poteva essere agevolmente superato. La diversità di articolazione delle norme interne rispetto alla Convenzione non escludeva che esse costituissero comunque applicazione di un identico o analogo principio generale inteso a porre un rigoroso criterio di valutazione delle dichiarazioni dei soggetti, che la difesa non aveva mai avuto la possibilità di esaminare, e ad eliminare o a limitare statuizioni di condanna fondate esclusivamente su tali dichiarazioni. D'altronde, ad avviso della Corte, l'art. 111, comma 4, secondo periodo,Cost. e art. 526, comma 1-bis, c.p.p. recavano una norma regolare, che attuava il principio del contraddittorio; pertanto, non imponevano l'interpretazione a contrario. Dunque, non dovevano essere letti come se stabilissero che, quando la sottrazione al confronto fosse non volontaria ed attribuibile a motivi oggettivi, le dichiarazioni divenissero utilizzabili tout-court. In sostanza, per il Supremo Collegio, la norma nazionale si limitava a porre una determinata tutela per l'imputato ma non escludeva che potesse essere posta o ricavata da norme diverse una protezione più estesa, in attuazione del principio del contraddittorio che ha, comunque, carattere generale. Pertanto, era ben configurabile un'interpretazione convenzionalmente orientata che richiedesse i riscontri per le dichiarazioni acquisite ex art. 512 c.p.p. Le Sezioni unite avevano ricavato dal sistema probatorio un canone di “prudente valutazione”, generalizzabile lungo le direttrici convenzionali e sull'onda del criterio del ragionevole dubbio.

La sentenza Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito, dicembre

La Corte di Strasburgo è tornata a pronunciarsi sulla delicata questione con la sentenza Al-Khawaja e Tahery. Dopo aver ribadito che, in mancanza di un'occasione adeguata e sufficiente di confrontarsi con l'accusatore, l'utilizzo delle precedenti dichiarazioni è consentito se vi è un buon motivo per non aver proceduto all'esame orale e se si rispetta la regola del sole or decisive, la Grande Camera ha introdotto un vero e proprio temperamento al divieto di utilizzare come prova unica o determinante le dichiarazioni rese dalla persona non sottoposta al contraddittorio.Anzitutto, la Corte di Strasburgo, nella sua composizione più autorevole, ha affermato che la parola decisive deve essere intesa in senso stretto come indicativa di una prova di tale rilievo da determinare l'esito del processo. Quando le dichiarazioni unilaterali hanno riscontri, la valutazione circa la decisività delle stesse dipende dalla forza persuasiva di questi ultimi. Più essi saranno pesanti, meno probabile sarà che la prova unilaterale debba considerarsi decisiva. In secondo luogo, la Grande Camera ha precisato che la sole or decisive rule non deve essere interpretata in maniera assoluta. Quando una dichiarazione unilaterale è l'unica prova o la prova decisiva a carico dell'accusato, l'ammissione della stessa non si traduce automaticamente in una violazione dell'art. 6, par. 1. Semplicemente, quando una condanna è basata unicamente o in modo determinante sulla dichiarazione di un testimone assente, la Corte deve sottoporre il procedimento ad un attento scrutinio delle garanzie complessivamente riconosciute, che devono compensare l'avvenuta compressione del contraddittorio. In ragione dei pericoli insiti nell'ammissione di una simile prova, essa pesa assai nel bilanciamento e richiede adeguati fattori di compensazione, identificabili nell'esistenza di forti garanzie procedurali.

Le pronunce successive a Strasburgo e in Italia

Ove si abbia riguardo alle pronunce successive, peraltro, non sfugge che i giudici di Strasburgo hanno sostanzialmente valutato il novero delle prove disponibili ed il vaglio sull'attendibilità delle dichiarazioni unilaterali condotto nella motivazione. Dunque, sia pure nell'ambito del consueto approccio casistico proprio dell'organo della Convenzione, tra le garanzie compensative quasi sempre un peso rilevante ha avuto il riscontro intrinseco ed estrinseco delle dichiarazioni.

Nella sentenza Gani c. Spagna, 19 febbraio 2013, n. 61800/08, la Corte europea ha ritenuto corretta l'utilizzazione di dichiarazioni predibattimentali di una vittima impedita a testimoniare a causa di uno stress post-traumatico perché adeguatamente bilanciata dall'esistenza di seri riscontri. In tale occasione, i giudici di Strasburgo non hanno mancato di ribadire che la "regola della prova esclusiva o determinante" non deve essere applicata in maniera inflessibile nella risoluzione di questioni attinenti all'equità del procedimento. Se così non fosse, essa si trasformerebbe in uno strumento grezzo e indiscriminato che si porrebbe in contrasto con l'approccio tradizionalmente adottato dalla Corte nel giudizio sulla complessiva equità processuale mediante la ponderazione dei concorrenti interessi della difesa, della vittima, dei testimoni, nonché dell'interesse pubblico all'effettività dell'amministrazione della giustizia (v. anche Tseber c. Repubblica Ceca, 22 novembre 2012, n. 46203/08). Ancora, nella vicenda Văraru c. Roumanie, 3 dicembre 2013, n. 35842/05 la Corte europea ha affermato che, in assenza di elementi atti a corroborare la versione dei fatti fornita dalla vittima, l'acquisizione di dichiarazioni decisive rese nel corso delle indagini non ha consentito un equo e corretto accertamento da parte dei giudici (in termini, Lučić c. Croazia, 27 febbraio 2014, n. 5699/11).

In proposito, da più parti si è posto l'interrogativo se la sentenza segni effettivamente una svolta oppure si ponga in linea di sostanziale continuità con il passato, limitandosi, in definitiva, ad attenuare il peso degli altri elementi che sempre dovevano essere presi in considerazione nella valutazione della decisività delle dichiarazioni unilaterali.

Dal canto suo, la giurisprudenza interna successiva, in alcuni casi – pur citando la sentenza Al-Khawaja e Tahery – continua a riproporre ex professo la sole or decisive rule effettuando una vera e propria “prova di resistenza” dell'affermazione di responsabilità penale alla luce di tutti gli elementi desumibili dal complesso delle ulteriori risultanze processuali (Cass.pen., Sez. VI, 13 novembre 2013, n. 2296; Cass.pen., Sez. I, 4 aprile 2012, n. 14807; Cass.pen., Sez. fer., 1° agosto 2013, n. 35729). In altre occasioni, la giurisprudenza ha richiamato più semplicemente la necessaria esistenza di altri elementi di prova, escludendo l'ammissibilità dei c.d. riscontri incrociati (Cass.pen., Sez. III, 20 giugno 2012, n. 28988; Trib. Monza, 12 dicembre 2012, n. 3094).

In conclusione

L'impressione è che, in subjecta materia, l'approccio della Corte interna si stia assestando sull'analisi del “peso” che le dichiarazioni unilaterali hanno avuto sulla decisione, con un apprezzabile avvicinamento al tipo di giudizio condotto dalla Corte europea sia all'epoca della valutazione congiunta, sia dopo la sentenza Al-Khawaja e Tahery.

In particolare, anche la Cassazione pare condurre oggi una valutazione bifasica. In prima battuta, effettuata la prova di resistenza, si valuta se le dichiarazioni unilaterali hanno avuto un peso esclusivo o determinante. Qualora si verifichi quest'ultima eventualità, in seconda battuta, si esamina l'esistenza di idonee garanzie procedurali, quali come si è detto più volte, la presenza di riscontri (Cass. pen., Sez. VI, 13 novembre 2013, n. 2296).

In proposito, tuttavia, è appena il caso di rilevare che la valutazione in due fasi ha un senso qualora si vadano a cercare garanzie compensative “eterogenee” e cioè non attinenti alla valutazione delle prove. Qualora, per contro – come fino ad oggi sembra essere accaduto – si faccia questione di corroboration, a ben vedere già nell'affermazione che le dichiarazioni unilaterali costituiscono prova determinante, pur in presenza di altri elementi, è sostanzialmente ipotecato – se non addirittura implicito – l'esito positivo del sindacato sull'esistenza della garanzia compensativa dei riscontri.

Guida all'approfondimento

Balsamo, “Processo equo” e utilizzazione probatoria delle dichiarazioni dei testimoni assenti: le divergenti tendenze interpretative della Corte di Cassazione italiana e della Corte Suprema del Regno Unito, in Cass. pen., 2011, 4506.

Balsamo, La Corte di Strasburgo e i testimoni assenti: gli sviluppi del “nuovo corso” avviato dalla sentenza Al-Khawaja, ivi, 2013, 2837.

Biral, L'overall examination: nuove frontiere sul diritto a confrontarsi con i testimoni, in Arch. pen., 2013, 1, 8.

Conti, Le dichiarazioni del testimone irreperibile: l'eterno ritorno dei riscontri tra Roma e Strasburgo, in Proc. pen. e giust., 2015, 2, 1.

Tonini-Conti, Il diritto delle prove penali2, Milano, 2014.

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