Deliberazioni negative, tutela reale e controllo

Cecilia Frangini
04 Agosto 2016

Il cambio di segno della delibera assembleare, che secondo un'innovativa giurisprudenza il giudice può effettuare in presenza di impugnazione di una delibera negativa, pone il problema del confronto con gli strumenti di controllo e tutela da garantire verso tale nuova delibera. Il focus propone alcuni spunti di riflessione con riferimento alla individuazione dei mezzi di impugnazione e dei termini di relativo esercizio, tenendo presenti le consuete dinamiche processuali che vedono la domanda di annullamento della delibera invalida accompagnarsi ad istanze cautelari che ne anticipino gli effetti.
Premessa

Il cambio di segno della delibera assembleare, che secondo un'innovativa giurisprudenza il giudice può effettuare in presenza di impugnazione di una delibera negativa, pone il problema del confronto con gli strumenti di controllo e tutela da garantire verso tale nuova delibera.

Il focus propone alcuni spunti di riflessione con riferimento alla individuazione dei mezzi di impugnazione e dei termini di relativo esercizio, tenendo presenti le consuete dinamiche processuali che vedono la domanda di annullamento della delibera invalida accompagnarsi ad istanze cautelari che ne anticipino gli effetti.

L'azione di annullamento delle deliberazioni negative e tutela non solo demolitoria

Il Tribunale di Milano, con la - ancora recente - ordinanza datata 28 novembre 2014, ha riproposto all'attenzione degli operatori le delicate questioni connesse al regime delle deliberazioni assembleari c.d. negative, affermando, qualora queste si rivelino assunte sulla base di voti - variamente - viziati, la piena ammissibilità di una tutela reale (in antitesi ad una tutela solo obbligatoria, che si svolgerebbe unicamente sul piano risarcitorio); e ciò non solo all'esito di un giudizio di merito, ma anche nell'ambito di un procedimento cautelare (nella specie, il procedimento d'urgenza disciplinato dall'art. 700 c.p.c.).

In estrema sintesi, il provvedimento afferma:

(i) che, qualora l'assemblea dei soci di una società di capitali non sia stata in grado di assumere una determinata deliberazione a causa del mancato raggiungimento del quorum deliberativo, quella delibera, ancorché di segno negativo, può comunque essere impugnata dai soci interessati alla sua assunzione e, ove venga accertato l'illegittimo esercizio del diritto di voto da parte dei soci che l'avevano bloccata, può essere annullata dal giudice;

(ii) che l'annullamento della deliberazione negativa non può però fermarsi ad una tutela meramente demolitoria, che non porterebbe alcun risultato utile ai soci che abbiano proposto la relativa domanda, ma può pervenire, attraverso l'intervento del giudice, al risultato di sostituire la delibera negativa invalida con una delibera di segno opposto, cioè positiva, attraverso l'accertamento della effettiva volontà assembleare, formatasi per effetto dei voti validamente espressi;

(iii) che, in correlazione a tale forma di tutela, è anche possibile, per i soci interessati all'assunzione della deliberazione bloccata dal voto contrario illegittimo, chiedere in via d'urgenza (non già la sospensione ai sensi dell'art. 2378, comma 3 e 4, c.c. bensì) l'emissione di un provvedimento cautelare ai sensi dell'art. 700 c.p.c., diretto ad anticipare gli effetti della sentenza di merito di annullamento della deliberazione negativa, con sostituzione della stessa con altra, opposta, di segno positivo, secondo quanto appena indicato sub (i) e (ii).

In particolare, con riferimento al punto sub (ii), di maggiore interesse e problematicità, l'ordinanza afferma che il giudice, una volta che abbia valutato l'illegittimità del voto espresso dai soci che si sono opposti all'adozione della deliberazione, è titolare del potere di riconteggiare i voti, considerando solo quelli validamente espressi e espungendo dal quorum deliberativo quelli illegittimi (nella fattispecie oggetto dell'ordinanza del 28 novembre 2014 pronunciata dal Tribunale di Milano, il vizio dedotto era quello dell'esercizio abusivo del voto da parte dei soci di minoranza; ma il vizio del voto potrebbe essere correlato anche ad altri profili di illegittimità, primo fra tutto il possibile conflitto di interessi, non dichiarato dal socio o comunque non rilevato dal presidente dell'assemblea): in tal modo, il giudice farebbe emergere e dichiarerebbe il diverso ed opposto risultato assembleare, risultante sulla base dei voti effettivamente, legalmente, nonché lecitamente espressi.

Il ragionamento, così sintetizzato, si snoda attraverso vari passaggi. Punto di partenza è la natura della delibera negativa. Il tema ha dato luogo nel passato a opposte ricostruzioni. Tuttavia l'orientamento oggi maggioritario è quello che considera la delibera negativa come una deliberazione comunque “esistente, in quanto manifestazione di volontà dei soci assunta all'esito del procedimento all'uopo previsto dalla legge, come tale imputabile alla società, e dunque suscettibile di essere impugnata come quelle positive nelle forme, nei termini e nei limiti di cui all'art. 2377 c.c.” (così, testualmente, l'ordinanza del 28 novembre 2014 del Tribunale di Milano. In giurisprudenza, negli stessi sensi, Lodo arbitrale, 2 luglio 2009, Pres. Consolo; Trib. Catania, 10 agosto 2007; Trib. Reggio Emilia, 20 dicembre 2002; Trib. Napoli, 5 dicembre 2002; App. Roma, 29 maggio 2001; Trib. Milano, 2 giugno 2000; Trib. Milano, 28 aprile 2000. In dottrina, Sacchi-Vicari, Invalidità delle delibere assembleari, in Le nuove S.p.A., dir. da Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010, 1, 663 ss.; Sacchi, Effetti della sentenza che accoglie l'impugnazione delle delibere assembleari di S.p.A., in Il diritto delle società oggi - Innovazioni e persistenze, dir. da Benazzo, Cera e Patriarca, Torino, 2011, 575. Già prima della riforma, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi del socio nelle società per azioni, in Trattato delle società per azioni dir. da Colombo e Portale, 3, 2, Torino, 1993, 120; Ferrari, L'abuso nel diritto delle società, Padova, 1988, 140 ss.; Trimarchi, Invalidità delle deliberazioni in assemblea di società per azioni, Milano, 1958, 63).

Essendo a tutti gli effetti una deliberazione dell'assemblea dei soci, essa allora può ben essere impugnata dai soci che avevano interesse alla sua adozione; interesse rimasto frustrato dal voto negativo di altri soci, titolari di un numero di voti sufficiente per bloccare la deliberazione in questione.

Ora, se prevale oggi la tesi che riconosce alle delibere negative lo status di volontà deliberativa dei soci, non si può però allo stesso tempo non riconoscere che una tutela esclusivamente demolitoria, cioè di mero annullamento della stessa, non gioverebbe in alcun modo ai soci che ne propongano l'impugnazione: non avrebbe, infatti, alcun senso privare di effetti una deliberazione che, proprio in quanto negativa, nessun effetto sta producendo.

Sia la dottrina sia la giurisprudenza hanno quindi ricercato una strada per compiere un ulteriore passo in avanti, in modo da riconoscere ai soci interessati all'adozione della deliberazione bloccata, una tutela reale, non limitata cioè al riconoscimento del risarcimento del danno subito in conseguenza dell'esercizio illegittimo del diritto di voto da parte degli altri soci.

Un precedente cui l'ordinanza del Tribunale di Milano è chiaramente ispirata è il Lodo arbitrale 2 luglio 2009, che già aveva espressamente riconosciuto la possibilità di una tutela c.d. sostitutiva - e non meramente demolitoria (l'alternativa tra tutela demolitoria e tutela sostitutiva è messa in risalto da Cian, Abus d'égalité, tutela demolitoria e tutela risarcitoria, in Corr. giur., 2008, 399 ss., in commento a Trib. Catania, 10 agosto 2007, cit.) - di fronte ad una deliberazione assembleare di segno negativo, il cui esito era stato condizionato da un voto di blocco illegittimo. Il Lodo arbitrale 2 luglio 2009, presidente Consolo, aveva esaminato e risolto, nei termini di cui al testo, una fattispecie in cui la delibera negativa impugnata era stata frutto della mancata astensione dei soci-amministratori, che, pur versando in situazione di conflitto di interessi, avevano votato contro la proposta all'ordine del giorno avente ad oggetto lo svolgimento della azione sociale di responsabilità nei loro confronti.

Si era già in quella occasione osservato come, nel caso di accertamento da parte del giudice (i) che una delibera sia stata respinta per effetto del computo, nel quorum deliberativo di voti in realtà viziati, e (ii) che la mancata assunzione della delibera comporti un potenziale pregiudizio della società, il giudice possa effettuare una operazione aritmetica di scomputo dei voti viziati, ricalcolando l'effettivo quorum deliberativo formatosi per effetto dei voti positivi legittimamente espressi. Tale operazione poi non implicherebbe alcuna particolare ingerenza nella vita della società, perché il giudice per un verso si troverebbe a svolgere le medesime operazioni che spetterebbero al presidente dell'assemblea, il quale nell'ambito del procedimento assembleare può depurare i risultati della votazione dai voti invalidi; per altro verso, ha il potere di valutare se la deliberazione negativa sia o meno pregiudizievole per la società, così come avviene nel caso dell'azione di annullamento tradizionale, proposta contro deliberazioni assembleari positive.

La tesi sopra sintetizzata, cui anche l'ordinanza del Tribunale di Milano mostra di aderire, pervenendo al risultato di invertire il segno della deliberazione, che da negativa diventa positiva, attribuisce tutela reale al socio che svolge l'impugnazione (sia il Lodo arbitrale del 2 luglio 2009, sia l'ordinanza del Tribunale di Milano del 28 novembre 2014 condividono e fanno proprie la ricostruzione effettuata da Centonze, Qualificazione e disciplina del rigetto della proposta (c.d. «delibera negativa»), in Riv. società, 2007, 414 ss., spec. 428 ss. e 444-447. In precedenza, in relazione alla generale possibilità dell'intervento sostitutivo del giudice circa l'accertamento dell'effettivo risultato assembleare all'esito dell'operazione di scomputo dei voti illegittimi o viziati, anche Preite, L'abuso di maggioranza e conflitto di interessi, cit., 120 ss., nonché gli altri autori citati dallo stesso Centonze, op. cit., 428, nota 47): il voto che aveva bloccato l'adozione della deliberazione, se si rivela illegittimo - anche all'esito di una delibazione sommaria condotta nell'ambito di un procedimento cautelare - va scomputato dal quorum deliberativo; sicché, all'esito di tale operazione, il giudice accerta quale doveva in realtà essere l'effettivo risultato della deliberazione e provoca la sostituzione della nuova delibera, di approvazione della proposta all'ordine del giorno, a quella, viziata, di segno negativo, che quella medesima proposta aveva invece respinto (l'ordinanza del Tribunale di Milano del 28 novembre 2014, dopo aver chiarito (i) la possibilità di impugnazione della deliberazione negativa, (ii) la possibilità per il giudice di accertare il diverso esito della votazione, facendo emergere la diversa deliberazione di segno positivo, (iii) la possibilità che ciò avvenga anche nell'ambito di un procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ha tuttavia rigettato la domanda cautelare proposta in quell'occasione, per la mancanza del profilo del fumus boni iuris in relazione al vizio dedotto, che, come si è anticipato, era quello dell'esercizio abusivo del voto di blocco da parte del socio di minoranza).

La pronuncia del giudice, dunque, avrebbe carattere costitutivo nella pars destruens, diretta all'annullamento - quindi alla demolizione - della deliberazione negativa viziata, che avverrebbe in forza del potere attribuitogli dagli artt. 2377 e 2378 c.c.; per contro, nella pars construens, quella cioè diretta a favorire l'emersione della diversa volontà assembleare, avrebbe carattere non costitutivo, ma dichiarativo, così sottraendosi al limite rappresentato dall'art. 2908 c.c., secondo cui, come noto, solo nei casi previsti dalla legge, l'autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici (così, Centonze, Qualificazione e disciplina del rigetto della proposta, cit., 472 ss.; Sacchi, Effetti della sentenza cit., 571 ss.; Sacchi-Vicari, Invalidità delle delibere, cit., 663 ss.; e, in precedenza, già Ferrari, L'abuso nel diritto, cit., 140 ss.; Martines, L'abuso di minoranza nelle società di capitali, in Contr. e impr., 1997, 1208 ss. Sul tema dei limiti posti dall'art. 2908 c.c., si segnala la particolare posizione di Gaboardi, Delibera assembleare negativa, cit., 716-719, secondo cui che il limite posto dall'art. 2908 c.c. non avrebbe modo di operare nella fattispecie in esame, giacché la dichiarazione del carattere illegittimo dei voti di blocco ed il conseguente accertamento del diverso risultato assembleare, altro non sarebbero se non parte della medesima tutela, di carattere costitutivo in entrambe le predette componenti, apprestata dalla legge attraverso l'attribuzione al giudice del potere di pronunciare l'annullamento delle deliberazioni assembleari nel loro complesso, comprese dunque quelle di segno negativo).

La nuova deliberazione assembleare sostitutiva e il necessario riconoscimento di conseguenziali strumenti di reazione

L'impostazione cui il Tribunale di Milano aderisce con l'ordinanza del 28 novembre 2014 - e prima di esso anche il Collegio arbitrale che ha pronunciato il Lodo del 2 luglio 2009 - può essere o meno condivisa: certamente essa muove dalla condivisibile esigenza di consentire il superamento di illegittime, magari strumentali, situazioni di stallo nella vita sociale, causate da possibili comportamenti ostruzionistici, abusivi o comunque illegittimi posti in essere da quei soci il cui peso in assemblea consenta di bloccare l'adozione di determinate deliberazioni; ma resta comunque esposta ad una serie di obiezioni, soprattutto in relazione alla possibilità di concepire una tutela di natura reale in presenza di una deliberazione negativa, in luogo di una tutela meramente obbligatoria conseguente all'esercizio scorretto, o addirittura illegittimo, delle prerogative sociali attribuite ai soci. L'ordinanza del Tribunale di Milano del 28 novembre 2014 è stata commentata in modo positivo da Di Bitonto, Abuso del diritto di voto a carattere ostruzionistico (c.d. “delibere negative”): profili sostanziali, in Società, 2015, 700 e ss.; Gaboardi, Delibera assembleare negativa e tutela cautelare d'urgenza (profili processuali), in Società, 2015, 711 ss.; Monteverde, Un (importante) passo nella ricostruzione della disciplina delle delibere negative, in Giur. it., 2015, 1444 ss.; critico è invece il commento di Toniolo, La delibera “negativa” dell'assemblea: un futuro ancora incerto, in Giur. comm., 2016, II, 211 e ss.

In precedenza, il Lodo arbitrale del 2 luglio 2009 è stato commentato criticamente da De Pra, Deliberazione negativa votata in conflitto di interessi e divieto del voto del socio-amministratore, in Giur. comm., 2010, 922 ss., secondo cui l'attribuzione di una tutela reale attraverso la sostituzione della deliberazione ad opera del giudice urterebbe contro il testo dell'art. 2908 c.c. A tali critiche ha replicato Sacchi, Effetti della sentenza cit., 573, ribadendo che la stessa proclamazione dei risultati da parte del presidente dell'assemblea sembra avere la natura giuridica delle dichiarazioni di scienza, sicché, allo stesso modo, la modificazione ad opera del giudice dei risultati proclamati implicherebbe un mero accertamento e non si traduce in una sentenza costitutiva. Sul punto, si veda anche Guerrera, Il verbale di assemblea cit., 126, secondo cui la deliberazione si perfezionerebbe al momento dell'espressione del voto e non successivamente, con l'accertamento presidenziale del risultato delle votazioni e, men che mai, con la proclamazione dei risultati da parte del presidente dell'assemblea.

Tuttavia, anche coloro che hanno mostrato di condividere il percorso argomentativo svolto dal Tribunale di Milano e le ragioni (non solo giuridiche, ma anche quelle dirette a valorizzare la necessità di favorire l'effettivo funzionamento degli organi sociali), hanno correttamente fatto rilevare come la soluzione accolta determini comunque la necessità di confrontarsi con una serie di ulteriori problematiche.

Uno dei principali interrogativi attiene al controllo giurisdizionale sulla deliberazione - sostitutiva - di segno positivo, accertata dal giudice attraverso il procedimento in precedenza descritto e che tiene luogo della originaria deliberazione - sostituita - di segno negativo.

Non è infatti revocabile in dubbio che il necessario rispetto del diritto di azione imponga di individuare adeguate forme di tutela in favore, a questo punto, di quei soci (a partire, naturalmente, da quelli che con il loro voto negativo avevano originariamente bloccato l'adozione della deliberazione), i quali, nella vigenza del precedente testo della deliberazione impugnata, non avevano legittimazione - o interesse - alla sua rimozione.

Si è infatti correttamente fatto rilevare, pur in un contesto di generale apprezzamento per la ricostruzione effettuata dal Tribunale, come restino aperti - e quindi ancora da chiarire - una serie di problemi, soprattutto di natura processuale: tra questi, ad esempio, quelli correlati alla individuazione delle forme attraverso cui impugnare la deliberazione sostitutiva emersa all'esito dell'intervento del giudice; alla individuazione dei termini per la proposizione di tali iniziative; alla necessità di garantire ai soci che non abbiano partecipato al processo la conoscenza o la conoscibilità della nuova deliberazione; alla individuazione dei soggetti legittimati all'impugnazione (Monteverde, Un (importante) passo cit., 1445).

Impugnazione del provvedimento del giudice o impugnazione della deliberazione assembleare sostitutiva?

I limiti della presente indagine non consentono di confrontarsi con tutte tali questioni, che coinvolgono complesse problematiche, di natura al tempo stesso sostanziale e processuale. Una prima riflessione che può tuttavia svolgersi in questa sede - senza alcuna pretesa di esaustività - attiene alla individuazione degli strumenti processuali attraverso cui l'impugnazione della deliberazione sostitutiva, quella cioè riscritta dal giudice, debba avvenire.

Ci si potrebbe infatti chiedere se i soci portatori di interessi (sostanziali) contrari alla adozione di quella deliberazione - tra cui sicuramente vanno considerati anche coloro che, in sede assembleare, avevano espresso il voto contrario, che aveva impedito il raggiungimento del quorum deliberativo - debbano proporre le azioni di impugnazione di cui agli artt. 2377 e 2378 c.c. (o, se del caso, anche quella di cui all'art. 2379 c.c.); o se siano invece legittimati ad impugnare la pronuncia giurisdizionale che abbia provveduto all'annullamento della deliberazione negativa.

Su quest'ultima soluzione sono già state sollevare alcune perplessità, giacché essa postulerebbe il riconoscimento del potere di proporre l'appello anche a soggetti che potrebbero essere rimasti estranei al precedente grado di giudizio, ai quali dovrebbe essere poi riconosciuto anche il potere di far valere ragioni di invalidità autonome e diverse da quelle esaminate dal giudice in prime cure (Monteverde, Un (importante) passo cit., 1445).

Tale problema potrebbe in realtà non sussistere laddove al giudizio di impugnazione della deliberazione negativa abbiano partecipato - ad esempio in qualità di intervenienti - i soci, l'illegittimità del cui voto sia stata dedotta come causa di annullamento; e ciò proprio per contrastare il vizio dedotto e favorire il rigetto dell'impugnazione.

In tal caso, tuttavia, si porrebbe comunque il diverso problema dell'individuazione della natura di tale intervento, giacché, se esso fosse qualificato non come intervento principale o litisconsortile ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.c. (in quanto diretto a far valere, in confronto di tutte le parti o, quanto meno, in confronto dell'attore, la legittimità del proprio voto e di conseguenza la legittimità della conseguente deliberazione), ma come intervento adesivo dipendente ai sensi dell'art. 105, comma 2, c.p.c. (in quanto svolto ad adiuvandum della società, convenuta nell'azione di annullamento), risulterebbe allora possibile solo l'adesione all'altrui impugnazione della pronuncia di primo grado, ma non la proposizione di una impugnazione autonoma, che dovrebbe essere dichiarata inammissibile (sul tema, Cass., 19 febbraio 2009, n. 3634; Cass., 10 marzo 2011, n. 5744).

In termini più generali, al di là della peculiare posizione dei soci l'invalidità del cui voto sia stata dedotta come causa di invalidità della deliberazione, la possibilità di sottoporre ad un ulteriore controllo giurisdizionale la nuova deliberazione positiva (ripetesi: quella sostitutiva) deve comunque essere necessariamente garantita sia in relazione alla posizione di coloro che non abbiano proposto intervento nel giudizio di impugnazione della deliberazione negativa o che (anche prescindendo dalla posizione assunta - magari di astensione - nell'ambito della relativa assemblea) non avevano interesse o legittimazione alla sua rimozione, sia in relazione alla possibilità di far valere questioni ulteriori e diverse rispetto a quelle dedotte in quel giudizio.

E, in relazione a tali posizioni, non sembra che vi siano ostacoli ad ammettere che contro tale nuova deliberazione possano essere fatte valere le azioni di impugnazione tradizionalmente disciplinate dalle norme sostanziali.

L'individuazione del provvedimento giurisdizionale che realizza la deliberazione assembleare sostitutiva: l'ordinanza cautelare o la sentenza di merito?

In relazione alla possibilità di proporre l'impugnativa della deliberazione sostitutiva, qualche ulteriore riflessione può svolgersi, sempre senza alcuna pretesa di completezza, pure con riferimento all'individuazione del momento a partire dal quale tale deliberazione si può considerare adottata, all'esito dell'intervento del giudice.

Tale riflessione va evidentemente condotta avendo presenti le concrete dinamiche attraverso le quali si svolge il giudizio di impugnazione delle deliberazioni assembleari invalide, che normalmente vede la domanda di merito accompagnarsi ad una correlativa istanza cautelare di sospensione della sua efficacia, al fine di ottenere l'anticipazione degli effetti delle futura statuizione che interverrà solo al termine del giudizio.

Tenendo presenti tali dinamiche, nel caso di impugnazione di una deliberazione assembleare negativa, si assisterà generalmente alla proposizione:

  • della domanda di merito, per ottenere dal giudice il suo annullamento, da completarsi con l'affermazione del diverso esito del voto assembleare e dell'esistenza di una opposta deliberazione assembleare, di segno non più negativo, ma positivo;
  • di una domanda cautelare, diretta ad anticipare gli effetti di quella futura statuizione di merito; di fatto: quindi ad affermare già essa, sia pure col carattere provvisorio e non stabile, fisiologico dei provvedimenti cautelari, l'esistenza e l'efficacia di una deliberazione di segno positivo. Tale del resto sarebbe il possibile contenuto del provvedimento cautelare correlato alla domanda di annullamento di una delibera negativa anche secondo Gaboardi, Delibera assembleare negativa cit., 719-720, secondo cui “la ricostruzione della tutela di merito avverso la delibera negativa in termini (non di puro annullamento, ma) di proclamazione del risultato assembleare legittimo sembra concedere spazio […] ad una forma di cautela (atipica) che assicuri l'anticipazione dell'effetto costitutivo dell'effettiva (e legittima) volontà assembleare”.

In tale contesto, che del resto corrisponde proprio a quello nel cui ambito è stata pronunciata l'ordinanza del 28 novembre 2014, si pone allora il problema di stabilire se il potere di impugnare la deliberazione sostitutiva, frutto dell'intervento del giudice, si correli già al provvedimento di accoglimento dell'istanza cautelare dei soggetti che impugnino (o si propongano di impugnare) la deliberazione negativa, o se invece tale potere sia correlabile solo alla pronuncia che definisce il giudizio di merito.

In via preliminare, si ricorda a tale riguardo come lo stesso Tribunale di Milano, con l'ordinanza del 28 novembre 2014, abbia osservato che la delibera negativa non è, per definizione, idonea a produrre effetti sulla sfera giuridico-patrimoniale dei soci; non è, quindi, suscettibile di un'attività propriamente esecutiva; non può dirsi neppure assoggettabile ad una sospensione ai sensi dell'art. 2378, commi 3 e 4, c.c.; tuttavia, proprio l'esclusione del mezzo cautelare tipico apre la strada alla tutela cautelare d'urgenza atipica e residuale ex art. 700 c.p.c. Infatti il provvedimento d'urgenza chiesto, in quella sede, dai soci che avevano visto la deliberazione da essi votata favorevolmente bloccata dal voto contrario dei soci di minoranza, di cui si era dedotta l'abusività, è stato dichiarato ammissibile; sebbene poi, come si è già avuto modo di ricordare, il Tribunale non abbia ravvisato, sotto il profilo del fumus boni iuris, gli estremi del dedotto vizio di abuso nell'esercizio del diritto di voto da parte della minoranza. Avevano già ammesso la possibilità di ricorrere alla tutela innominata d'urgenza in fattispecie analoghe: Trib. S. Maria Capua Vetere, 5 novembre 1996; Trib. Milano, 2 giugno 2000; Trib. Roma, 24 settembre 2001.

Se questo è il rimedio cautelare astrattamente utilizzabile, va però affrontato e sciolto il dubbio circa la sua stessa ammissibilità, in rapporto alla natura della pronuncia di merito cui esso inevitabilmente si correla. Tale pronuncia, come si è detto, ha carattere costitutivo quanto all'annullamento della deliberazione negativa che si assume viziata (la pars destruens dell'intervento del giudice), come lo stesso Tribunale di Milano riconosce espressamente; ma avrebbe poi carattere di pronuncia di accertamento, nella parte in cui il giudice, dopo aver escluso i voti viziati ed effettuato il ricalcolo di quelli validamente espressi, dichiara, similmente a quanto fa il presidente dell'assemblea, l'effettivo esito effettivo della votazione (Centonze, Qualificazione e disciplina del rigetto della proposta, cit., 428, nonché la giurisprudenza e la dottrina ivi citate in nota 47), così pervenendo al risultato della inversione - se i voti favorevoli e validamente espressi risultino sufficienti al raggiungimento del quorum richiesto - del segno della deliberazione.

La questione è, dunque, quella dell'ammissibilità stessa di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. in relazione a domande di mero accertamento o costitutive. Al riguardo, ci si può qui limitare ad osservare che, superando precedenti incertezze e ritrosie, la giurisprudenza di merito più recente sembra ormai incline a riconoscere la possibilità di un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. anche nell'ambito delle azioni di mero accertamento (Trib. Milano, 2 luglio 2013; Trib. Bari, 9 luglio 2012; Trib. Cagliari, 30 gennaio 2008; Trib. Rossano, 3 aprile 2007) o delle azioni costitutive (con riferimento alle pronunzie costitutive, in realtà nessun dubbio si pone circa l'ammissibilità del rimedio ex art. 700 c.p.c. in relazione alle statuizioni conseguenziali di condanna). Così facendo proprio l'orientamento della dottrina maggioritaria. In dottrina, ammettono il ricorso alla tutela d'urgenza in rapporto ad una domanda di mero accertamento e costitutive, oltre ad Andrioli, Commento al c.p.c. cit., 260, Montesano, I provvedimenti d'urgenza, Napoli, 1955, 67; Redenti, Diritto processuale civile, II, rist II ed., Milano, 1957, 263; Proto Pisani, Provvedimenti d'urgenza, in Enc. dir., XXV, Roma, 1991, 15 ss.; Arieta, Trattato di diritto processuale civile, XI, Le cautele. Il processo cautelare, Padova, 2011, 576 ss.; Balbi, Provvedimenti d'urgenza, in Digesto IV, discipline privatistiche, XVI, Torino, 1997, 98 ss.; Dittrich, Il provvedimento d'urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., in Il processo cautelare a cura di Tarzia - Saletti, Padova, 2011, 282 ss.; Santangeli, Il provvedimento d'urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. e la manutenzione del contratto, in Riv. dir. proc., 2006, 53 ss.; Tommaseo, I provvedimenti d'urgenza, Padova, 1983, 254; Id., Provvedimenti d'urgenza, in Enc. dir., vol. XXXVII, Milano, 1988, 872; Vullo, I procedimenti sommari e speciali, a cura di Chiarloni - Consolo, II, 2005, 1323 ss.

Se dunque si ritiene che anche nella situazione in esame il provvedimento cautelare d'urgenza, pur correlato ad una pronuncia di merito avente per un verso natura costitutiva e per altro verso natura di mero accertamento, sia comunque pienamente ammissibile, resta tuttavia ancora da verificare se il diritto alla impugnazione di cui si discute sia poi esercitabile nei confronti della delibera sostitutiva scaturente dall'ordinanza di accoglimento della domanda cautelare (già in prima istanza o all'esito del reclamo, ove proposto); o piuttosto solo nei confronti della delibera positiva che si sia formata con la pronuncia di merito, che, diversamente dal provvedimento cautelare, è quella suscettibile di passare in giudicato e fissare, con carattere di stabilità, il nuovo regolamento dei rapporti tra le parti.

Tale questione si correla (non più al rapporto tra il provvedimento cautelare ed il carattere, di mero accertamento o costitutivo, della sentenza di merito, ma) al tema della natura anticipatoria del provvedimento d'urgenza, in relazione alla previsione di cui all'art. 669-octies, comma 6 c.p.c., secondo cui l'instaurazione del giudizio di merito non è necessaria riguardo ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. ed agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito.

Si tratta, come noto, della disposizione che ha attenuato il rapporto di strumentalità tra provvedimento cautelare e giudizio di merito ad esso correlato e che si traduce nella scomparsa dell'onere di instaurazione del giudizio di merito entro un termine perentorio, a pena di inefficacia della misura cautelare concessa, come pure nella circostanza che l'inefficacia non si produce se il giudizio di merito instaurato poi si estingua.

Per questa via, il legislatore, con la novella del 2005, ha attribuito ai provvedimenti di urgenza emessi ex art. 700 c.p.c. l'attitudine se non alla stabilità propria del giudicato (il provvedimento cautelare resta pur sempre modificabile e, sotto tale profilo, per definizione provvisorio), comunque alla produzione di effetti, che, indipendentemente dalla formazione del giudicato, potrebbero comunque perdurare sine die, ove non rimossi da una successiva pronuncia di merito di segno contrario.

Quale che sia la lettura che si intende dare all'art. 669-octies, comma 6 c.p.c. (si ricorda che secondo alcuni autori la disposizione si applicherebbe ai soli provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito e, dunque, non automaticamente a tutti i provvedimenti ex art. 700 c.p.c. ma solo a quelli resi ai sensi di tale norma idonei all'anticipazione; in tal senso, Biavati, Prime riflessioni sulla riforma del processo cautelare, in Riv. dir. proc., 2006, 565; Merlin, Il processo cautelare a cura di Tarzia, II ed., Padova, 2004, 335; Fabiani, Il rito cautelare societario (contraddizioni e dubbi irrisolti), in Riv. dir. proc., 2005, 1187. Secondo altri autori, invece, essa si applicherebbe certamente a tutti i provvedimenti ex art. 700 c.p.c. ed inoltre, tra gli altri provvedimenti cautelari previsti dal c.c. o da leggi speciali, solo a quelli che abbiano natura anticipatoria; in tali sensi Proto - Pisani, Novità nella disciplina dei procedimenti cautelari in generale (1994/2005), in Foro it., 2007, V, 84; Saletti, Il nuovo regime delle misure cautelari e possessorie, Padova, 2006, 18 ss.), appare comunque difficile negare che il provvedimento cautelare correlato all'impugnazione di una deliberazione negativa (il cui contenuto, previa l'operazione di scomputo dal quorum deliberativo dei voti contrari illegittimi, porta già esso ad affermare l'esito positivo della votazione), abbia effetti pienamente anticipatori della sentenza di merito che verrà emessa all'esito del giudizio di merito.

Tale osservazione sembra allora portare alla conclusione che l'azione di impugnazione contro la nuova deliberazione assembleare positiva, frutto dell'intervento sostitutivo del giudice, possa essere proposta (evidentemente dai soci aventi un interesse contrario all'adozione di quella decisione) già al termine del procedimento cautelare e, dunque, in relazione al provvedimento che, in prima istanza o all'esito del reclamo, abbia accolto la domanda del ricorrente ed invertito il segno dell'originaria votazione.

Gli effetti di tale provvedimento cautelare, infatti, sarebbero sì provvisori, in quanto la statuizione sarebbe insuscettibile di passare in giudicato e, dunque, incapace di dettare il regime del regolamento di interessi delle parti con la correlativa stabilità ed intangibilità; essi, tuttavia, sarebbero destinati a prodursi, in via anticipata rispetto alla sentenza di merito, sino al momento - in realtà del tutto eventuale alla luce del disposto dell'art. 669-octies c.p.c. - in cui sopravvenga una pronuncia di merito, che accerti invece l'infondatezza delle ragioni positivamente delibate dal giudice della fase cautelare, con la cognizione sommaria propria di tale sede.

Tale conclusione circa il carattere anticipatorio del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. qui considerato e la conseguente mancanza di vincolo di strumentalità necessaria con il giudizio di merito, appare conforme a quelle cui dottrina e giurisprudenza sono pervenute anche in relazione al rapporto sussistente tra l'azione di impugnazione delle deliberazioni assembleari (positive) e la richiesta di sospensione della relativa efficacia, disciplinata dall'art. 2378, commi 3 e 4, c.c. Anche in relazione a tale istanza cautelare, si è posta infatti la questione se il provvedimento di accoglimento, che dunque sospenda l'efficacia della deliberazione impugnata, possa essere ricompreso tra “gli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali”, cui l'art. 669-octies, comma 6 c.p.c., fa espresso riferimento nell'escludere, una volta concessa la misura cautelare, la necessità di instaurazione del successivo giudizio di merito.

Proprio con riferimento alla domanda cautelare di sospensione dell'efficacia della deliberazione assembleare (positiva) oggetto di impugnazione, si è osservato che il risultato prodotto dall'accoglimento della domanda di annullamento di un atto è che quell'atto non produce più effetti, sicché anche l'accoglimento della relativa istanza di sospensione porta alla conclusione che quell'atto non produce alcun effetto, sia pure in via provvisoria qualora la cautela sia necessariamente e funzionalmente collegata ad un provvedimento che statuisca poi, in via definitiva sull'annullamento; il fatto che l'istanza di sospensione ex art. 2378, comma 3 c.c. sia proponibile solo in corso di giudizio e non anche ante causam, deriva allora da una particolare scelta legislativa, ma non è correlata affatto all'assenza di carattere anticipatorio rispetto al contenuto della successiva sentenza di merito di annullamento della deliberazione impugnata (Querzola, La tutela anticipatoria fra procedimento cautelare e giudizio di merito, Bologna, 2006, 22 ss.).

In conclusione

La dottrina è dunque generalmente favorevole a riconoscere anche alla sospensione di cui all'art. 2378 c.c. - nonostante il fatto che tale misura cautelare si correli necessariamente ad una domanda di merito già proposta - natura anticipatoria (Proto Pisani, Verso la residualità del processo a cognizione piena?, in Foro it., 2006, V, 58; Fabiani, Il rito cautelare societario cit., 1192; Villata, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, 2006, 236 e 504 e ss.; Carratta, in Il nuovo processo societario, a cura di Chiarloni, Bologna, 2008, 1157; Saletti, in La riforma delle società. Il processo, a cura di Sassani, Torino, 2003, 224); e negli stessi sensi è orientata anche la giurisprudenza di merito più recente, secondo cui la sospensione di una deliberazione assembleare pronunciata in corso di causa è idonea ad anticipare gli effetti della decisione di merito e pertanto non perde efficacia in caso di successiva estinzione del giudizio di merito (Trib. Milano, 22 aprile 2011).

Tornando all'impugnativa della deliberazione negativa ed al provvedimento cautelare che anticipi gli effetti della relativa sentenza di annullamento, la conclusione cui sembra potersi pervenire è allora quella secondo cui la definizione (eventualmente all'esito della possibile fase di reclamo) del procedimento cautelare, conclusosi con un provvedimento di accoglimento della richiesta diretta ad affermare, sia pure in termini di fumus boni iuris, l'illegittimità dei voti che avevano bloccato l'adozione della deliberazione ed a dichiarare il diverso esito della votazione assemblare, rappresenta il momento a partire dal quale le azioni di impugnazione della deliberazione sostitutiva possono essere svolte, nel rispetto dei termini di decadenza previsti, dai soggetti che, con l'adozione di tale nuova deliberazione, acquistino legittimazione ed interesse al relativo annullamento.

Un'ultima osservazione si impone proprio con riferimento a tale ultima questione.

L'individuazione del momento iniziale di decorso del termine per l'impugnazione della deliberazione sostitutiva, infatti, potrebbe dar luogo a notevoli incertezze nei casi in cui i soggetti interessati alla relativa impugnazione non abbiano partecipato al giudizio - ivi compreso quello cautelare - che si sia concluso con l'affermazione da parte del giudice del diverso - ed opposto rispetto a quello originario - esito della votazione.

Un ausilio, in relazione a tale tema, sembra provenire dall'art. 2378, comma 6, c.c., secondo cui i dispositivi dei provvedimenti di sospensione e delle sentenze che decidono sull'impugnazione della deliberazione assembleare devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.

Si tratta di una disposizione posta, evidentemente, in specifica funzione delle esigenze di pubblicità dei nuovi assetti delle decisioni assembleari all'esito dei possibili interventi del giudice; pubblicità diretta a consentire la conoscenza di tali nuovi assetti proprio da parte di coloro che non abbiano partecipato al giudizio di impugnazione e che abbiano tuttavia posizioni soggettive dipendenti o comunque influenzate dalla efficacia e validità (o dalla inefficacia ed invalidità) della deliberazione impugnata. Il sesto comma dell'art. 2378 c.c. era stato espunto nell'ambito della riforma delle società; esso è stato poi reintrodotto dall'art. 9, D.lgs. n. 37 del 2004, correttivo del D.lgs. n. 6 del 2003, evidentemente proprio in considerazione del rilievo che la previsione assume, in rapporto ai soggetti estranei al giudizio di impugnazione, le cui posizioni soggettive siano tuttavia suscettibili di essere influenzate dall'esito delle decisioni assunte dal giudice.

In mancanza di una diversa fonte - e quindi di un diverso ed anteriore momento - di conoscenza del provvedimento adottato dal giudice, sarà dunque, in ultima istanza, la data della iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento cautelare, effettuata a cura egli amministratori, a rappresentare il momento a partire dal quale le azioni di impugnazione potranno essere svolte nel rispetto dei termini di decadenza previsti.

Tale disposizione è in realtà prevista con riferimento al provvedimento di sospensione e della sentenza che decide sull'impugnazione ai sensi dell'art. 2378, commi 3 e 4, c.c., dunque con riferimento alle deliberazioni che il legislatore ha ivi mostrato di considerare: quelle cioè di segno positivo.

Tuttavia non sembra che vi siano ostacoli che impediscano la applicazione estensiva - o, in estremo subordine, la sua applicazione analogica, ove si consideri la ratio che ne è alla base e che si è sopra delineata - anche all'ipotesi di adozione di un provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. che si ponga in correlazione con la domanda di annullamento di una deliberazione assembleare, sia pure di segno negativo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario