L’amministratore di diritto risponde anche se non gestisce la società
07 Aprile 2014
Premessa
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14432 del 27 marzo 2014, ha confermato la sentenza dei giudici di secondo grado, ritenendo colpevole penalmente l'amministratore di diritto di una s.r.l. per l'omesso versamento delle ritenute previdenziali; la sua responsabilità per i giudici di legittimità è in ogni caso dovuta, anche nell'ipotesi in cui sia stato nominato un soggetto terzo a gestire la società. Solo l'ipotesi di esclusione della titolarità dei poteri in senso formale potrebbe evitare una condanna di natura penale, fermo restando, però, che all'amministratore competono precisi doveri di controllo e vigilanza sul versamento secondo le scadenze previste. La vicenda
Con sentenza del 17 dicembre 2012, la Corte di Appello, parzialmente riformando la sentenza dei giudici di primo grado, condannava l'amministratore di una SRL perché ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 2, D.L. n. 463/83, convertito in Legge n. 638/83 (omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti, commesso dal gennaio 2005 al luglio 2006). Avverso la sentenza di condanna, l'amministratore ricorreva in Cassazione, sostenendo principalmente che i giudici del merito di secondo grado avevano emesso una sentenza che presentava elementi di carenza assoluta di motivazione, contraddittoria e illogica, perché confermava la responsabilità in assenza di elementi atti a suffragare sia l'elemento oggettivo, sia quello soggettivo del reato; per l'amministratore ricorrente non sono state valutate congruamente le plurime prove documentali offerte, idonee ad escludere la responsabilità dell'amministratore. I giudici di legittimità osservano che l'amministratore ricorrente, legale rappresentante di una s.r.l., viste la gravi difficoltà finanziarie che avevano attanagliato la sua ditta, aveva alla fine delegato a terzi la gestione della società, successivamente dichiarata fallita, disinteressandosi delle attività contabili, compresi i versamenti periodici delle ritenute previdenziali, convinto che fosse il soggetto gestore di fatto della società a dover rispondere di tali incombenze. Nel ricorso in Cassazione si evidenzia che, nonostante le numerose prove, tra le quali l'amministratore ricorrente indica una relazione del curatore fallimentare e la comunicazione della notizia di reato della Guardia di Finanza che segnalavano che un soggetto terzo era il gestore di fatto della società poi fallita, la Corte di Appello avrebbe ugualmente ritenuto sussistente il dolo, sia pure sotto forma di dolo eventuale, asserendo il principio che comunque l'amministratore avrebbe dovuto vigilare continuamente sulla corretta gestione della società, con particolare riferimento ai versamenti delle ritenute secondo le scadenze, pur senza negare la presenza di una delega di fatto. I giudici di legittimità evidenziano che la delega, anche di fatto, da parte dell'imprenditore ad un terzo della gestione della società, in assenza di un comportamento manifesto da parte del primo di spogliarsi giuridicamente della rappresentanza legale della società, non vale quale condotta positiva atta a scriminare il delegante. In questo senso è certamente corretta l'affermazione della Corte di Appello secondo la quale l'amministratore ricorrente aveva sempre mantenuto, pur conferendo ad un terzo poteri gestori totali, la carica di amministratore e legale rappresentante della società per cui era in questo soggetto che andavano individuate, in caso di violazioni penali riconducibili al ruolo societario, una responsabilità ex art. 40 cpv. c.p. (responsabilità nascente dalla violazione di un obbligo di garanzia gravante sull'imprenditore). L'art. 2639 c.c. afferma che l'amministratore di fatto di una società è da ritenersi responsabile di tutti quei doveri cui è soggetto normalmente anche l'amministratore di diritto; sull'argomento del cd. amministratore di fatto si è più volte espressa la Corte di Cassazione (sent. n. 33385/2012); in tale occasione i giudici di legittimità avevano affermato che anche l'amministratore di fatto deve rispondere per evasione fiscale e omessa presentazione della dichiarazione dei redditi della società. Accade sempre più spesso, infatti, che negli accertamenti e verifiche effettuate da parte dell'amministrazione finanziaria nei confronti di società, accanto o in alternativa a reati imputabili all'amministratore di diritto, si annoverano le attività poste in essere da soggetti non investiti formalmente dall'attività di gestione. Il fenomeno è generalmente collegato ad intenti fraudolenti indirizzati all'evasione delle imposte, mediante l'attribuzione di cariche societarie ad una c.d. “testa di legno” ossia ad un soggetto privo di qualsivoglia possidenza patrimoniale, nei confronti dei quali si renderebbe vana ed inutile qualsiasi azione esecutiva erariale. In questi casi, i rappresentanti dell'amministrazione finanziaria devono eseguire le proprie attività nei confronti di un amministratore “apparente” e di uno “di fatto” e questo nella consapevolezza che la responsabilità penale può manifestarsi in relazione sia al principio della “personalità” del reato, sia alla specifica attribuzione funzionale corrente tra la società ed il soggetto ad essa legalmente preposto. In questo contesto resta indubbia la necessità di individuare e punire chi, per un comportamento omissivo o commissivo, possa aver configurato, tramite il proprio comportamento, una responsabilità penale derivante dalla violazione di un obbligo giuridico che, nella fattispecie in commento, è “un obbligo di agire, passibile quindi della composizione di un c.d. reato omissivo proprio”. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 47710/2013 ha affermato che il principio dell'equiparazione dell'amministratore di fatto a quello di diritto è stato recepito dal Legislatore in occasione della riforma del diritto societario. L'art. 2639 c.c., introdotto con il D.lgs. n. 6/2003, afferma che per i reati societari al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge è equiparato chi esercita in materia continuativa i poteri previsti dalle legge. La norma, ancorché riferita esplicitamente ai reati societari previsti dal codice civile, contiene la codificazione di un principio generale applicabile ad altri settori penali dell'ordinamento e per la sua natura interpretativa è applicabile anche ai fatti pregressi. I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, osservano che il tema della responsabilità penale dell'amministratore di diritto di una società (colui, cioè, che riveste la carica formale con correlata rappresentanza legale esterna) per fatti commessi da terzi che amministrino la società in via di fatto, non è nuovo nella giurisprudenza di legittimità che, in svariate occasioni, ha sempre precisato che l'amministratore di diritto continua a rispondere di eventuali reati omissivi (ferma restando l'eventualità di una ipotesi di condotta concorsuale del terzo), in stretta correlazione con gli obblighi propri gravanti sull'amministratore di diritto: obblighi di vigilanza che gli impongono di controllare di continuo l'andamento della gestione ed intervenire per evitare che tali condotte illecite possano essere poste in essere. Nel caso in esame i giudici di legittimità osservano che, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, va confermato il principio che l'amministratore di diritto di una società, rispetto all'amministratore di fatto della medesima società, è comunque chiamato a rispondere del reato omissivo contestato, quale diretto destinatario degli obblighi di legge, in quanto il fatto stesso della accettazione (o del mantenimento) della carica attribuisce anche specifici doveri, tra i quali quelli di vigilanza e di controllo, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta, che si concretizza sulla base della sola consapevolezza che da quella condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico), ovvero l'accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale). Tra l'altro, evidenziano i giudici di legittimità, nel caso specifico emergeva che più che una delega al soggetto terzo di amministrare la società, si parlava di un contratto di consulenza stipulato tra le due parti che, semmai, ribadiva la piena volontà da parte dell'amministratore ricorrente di continuare a “gestire” la società. Per i giudici di Piazza Cavour affinché l'amministratore di diritto possa venire esentato da responsabilità rispetto all'amministratore di fatto, non è sufficiente né la posizione di amministratore di fatto ai vertici dell'azienda, né eventuali deleghe da parte dell' amministratore di diritto, occorrendo, invece, che venga esclusa in capo a quest'ultimo la titolarità dei poteri da intendersi in senso formale. Per la Corte di Cassazione il ricorso dell'amministratore di diritto va rigettato e annullato, senza rinvio, limitatamente alle omissioni contributive fino ad una certa data, perché per quelle precedenti i fatti sono estinti per prescrizione. |