Esclusione socio e revoca della facoltà di amministrare nelle società di persone: due fattispecie distinte a confronto
13 Gennaio 2016
Nelle società personali (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice) la qualifica di socio si accompagna a peculiari caratteristiche, pur con le parziali differenziazioni che ineriscono alle tre diverse tipologie societarie. Innanzitutto, i soci delle società di persone hanno la responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali (peraltro: nelle s.s. l'art. 2267 c.c. consente il patto contrario per esonerare uno o più soci da tale responsabilità illimitata e solidale e, nelle s.a.s., tale responsabilità grava solo sui soci accomandatari; nelle s.n.c., invece, l'art. 2291 non consente distinzioni in tal senso tra i soci). In secondo luogo, la qualifica di socio (illimitatamente responsabile) comporta anche il potere di amministrare la società (“salvo diversa pattuizione”: art. 2257 c.c. per le s.s.; salvo che l'atto costitutivo della s.n.c. non restringa tale potere ad alcuni soltanto dei soci, pur rimanendo in essere la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci: n. 3 dell'art. 2295 c.c.; nelle s.a.s. sono amministratori quelli tra i soci accomandatari - art. 2318 c.c. - che siano stati nominati tali secondo le modalità prescritte nell'art. 2319 c.c.). Inoltre, nelle società di persone la quota di un socio non può essere trasferita (sia inter vivos che mortis causa) senza il consenso degli altri soci, essendo un contratto intuitus personae l'accordo pattizio che costituisce le società in commento. In breve, dunque, queste sono le fondamentali prerogative che ineriscono alla figura di socio nelle società personali. La facoltà di amministrare la società di persone racchiude tutta una serie di diritti, doveri, poteri, responsabilità, diversi da quelli che il socio detiene proprio in quanto tale, e aggiuntivi, che vengono attribuiti soltanto a colui o a coloro che è/sono investito/i del potere di amministrare la società. Il rapporto di amministrazione è dunque connesso con il rapporto sociale, ma distinto da quest'ultimo. Infatti, le vicende modificative o estintive che possono interessare il rapporto di amministrazione durante la vita della società non necessariamente influiscono sul rapporto sociale. Non può dirsi invece altrettanto per l'ipotesi inversa, in quanto l'esclusione del socio amministratore comporta necessariamente anche l'automatica revoca della facoltà di amministrare la società. In dottrina e in giurisprudenza ci si è chiesti se, nel silenzio della legge sul punto, sia possibile nominare amministratore di società di persone un soggetto estraneo alla compagine sociale. E' bene subito evidenziare che il quesito si pone soltanto in relazione alla s.s. e alla s.n.c in quanto per le s.a.s. l'art. 2318 parla chiaro: “L'amministrazione della società può essere conferita soltanto a soci accomandatari”. L'orientamento dominante in dottrina (tra gli altri: V. Buonocore, Fallimento e Impresa, Morano 1969, 89 e ss.; F. Galgano, Le società in genere, le società di persone – Giuffrè Ed. 2007, 245 par.52) ritiene che la facoltà di amministrare la società di persone non possa essere attribuita a soggetti terzi estranei che non siano anche soci. L'argomento principale sul quale si basa questa tesi è la responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali che può gravare ex lege (art. 2291 c.c.) soltanto in capo ai soci. Secondo tale orientamento, dunque, sarebbe ammissibile solo la figura dell'institore non socio (regolata dall'art. 2203 c.c.). In particolare, la facoltà di amministrare comporta anche l'assunzione di un potere assai importante per la vita sociale: quello di rappresentanza della società (art. 2266 c.c.), che spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale (limite del potere di rappresentanza). Il contratto sociale può però prevedere, così come consentito dallo stesso art. 2266 c.c., che il potere di rappresentanza sia ristretto nel suo esercizio soltanto ad uno o più soci amministratori. Chiariti dunque, nei loro tratti essenziali, gli aspetti peculiari che contraddistinguono il rapporto sociale e il rapporto di amministrazione, nel momento della loro costituzione e del loro sviluppo, si possono analizzare gli aspetti salienti che connotano invece le fasi patologiche: l'esclusione del socio e la revoca dell'amministratore. Le fasi patologiche
a) La revoca della facoltà di amministrare (art. 2259 c.c.) L'art. 2259 c.c. distingue l'ipotesi in cui l'amministratore sia stato nominato nel contratto sociale da quella in cui, invece, sia stato nominato con atto separato: soltanto nel primo caso l'efficacia della revoca è subordinata alla presenza di una giusta causa. Nella seconda ipotesi, infatti, l'efficacia della revoca è sottoposta alle norme che regolano la medesima fattispecie nel rapporto di mandato (art. 1726 c.c.). Sul concetto di “giusta causa” di revoca, la giurisprudenza si è ampiamente espressa, ritenendo che: (i) “essa sussista anche qualora l'amministratore compia atti che, pur non consistendo inadempimento agli obblighi di gestione sullo stesso gravanti, minino il pactum fiduciae con la società” (Cass. civ. Sez. I, sent. n. 11801 del 21.11.98); (ii) essa possa essere “sia soggettiva che oggettiva, purchè si tratti di circostanze o fatti sopravvenuti idonei a incidere negativamente sulla prosecuzione del rapporto di amministrazione; nel secondo caso, essa consiste in situazioni estranee alla persona dell'amministratore, quindi non integranti un suo inadempimento e sempre che ricorra un quid pluris, cioè l'esistenza di situazioni tali da elidere il citato affidamento riposto sulle attitudini e le capacità dell'organo di gestione, in modo tale da poter fondatamente ritenere che siano venuti meno, in capo allo stesso, quei requisiti di avvedutezza, capacità e diligenza di tipo professionale che dovrebbero sempre contraddistinguere l'amministratore di una società di capitali” (Cass. civ. Sez. I sent. n. 7425 del 14.5.12, che a sua volta richiama le precedenti sentenze n. 23557 del 12.09.08 e n. 16526 del 5.10.08). Anche la delega, da parte dell'amministratore, ad un soggetto estraneo alla compagine sociale del potere di gestione è ritenuta dalla giurisprudenza di merito (Tribunale di Roma, Sez. III civile, sent. del 31.12.14) giusta causa di revoca dell'amministratore della società di persone. L'amministratore che ritenga di essere stato ingiustamente revocato, potrà poi agire giudizialmente, anche in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c., per chiedere l'accertamento della mancanza di una giusta causa di revoca e, dunque, il proprio reintegro nelle funzioni amministrative della società. Quanto alla legittimazione a chiedere la revoca dell'amministratore, il III comma dell'art. 2259 c.c. stabilisce che la revoca per giusta causa possa essere richiesta giudizialmente da ciascun socio: si tratta di una previsione volta a superare, ad esempio, eventuali situazioni di inerzia e stallo della compagine sociale nell'addivenire alla votazione sulla delibera di revoca, oppure qualora permanga un disaccordo insanabile tra i soci nel merito della revoca medesima. Per la giurisprudenza, infatti, l'amministratore nominato con il contratto sociale può essere revocato se sussiste una giusta causa e con l'unanimità dei consensi degli altri soci, mentre tali due requisiti possono sussistere solo in via alternativa nel caso di cui al II comma dell'art. 2259 c.c. (Cass. civ. Sez. I sent. n. 13761 del 12.6.09; Tribunale di Roma, Sez. III civile, sent. del 31.12.14)
b) L'esclusione del socio (art. 2286 c.c.) L'art. 2286 c.c. disciplina, all'interno dei suoi tre commi, delle fattispecie tipiche al verificarsi delle quali il socio può (dunque in via facoltativa) essere escluso dalla società. Al primo comma è enunciata una “clausola generale” in presenza della quale il socio può subire l'esclusione dalla compagine sociale: “L'esclusione di un socio può avere luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale”. La giurisprudenza ha avuto modo di enucleare una casistica concreta delle gravi inadempienze che possono giustificare l'esclusione del socio dalla compagine sociale ma, cercando di fare un'astrazione a livello generale, si può ritenere che l'inadempimento del socio sia grave e, quindi, idoneo a provocarne l'esclusione, quando: - Il comportamento del socio determina “un grave ostacolo al raggiungimento dei fini sociali, incidendo negativamente sia sui diritti dei soci che sull'economia dell'impresa” (Corte d'Appello di Milano, sent. n.58/2000 del 18.01.2000, così come richiamata da Cass. civ. Sez. I, sent.n. 15197 del 29.11.2001); - Il comportamento del socio si connoti “in termini di gravità tale da compromettere il conseguimento dell'oggetto sociale”,“non solo quando le stesse siano di consistenza tale da impedire il perseguimento dell'oggetto sociale ma anche quando le stesse abbiano inciso negativamente sulla situazione dell'ente, rendendo disagevole il raggiungimento dei fini sociali”. In tal senso: Cass. civ. sent.n. 710 del 30 gennaio 1980; Cass. civ. sent. n. 2344 del 17 aprile 1982; Cass.civ. sent.n. 6200 del 1 giugno 1991, tutte richiamate da Tribunale di Roma, terza Sez. civ. ordinanza dell'8.02.2013 nella causa r.g.n. 70236/2012, il quale ha ritenuto che “La mancata continuità nella prestazione dell'attività lavorativa da parte del Sig... omissis…alla luce del chiaro tenore dello statuto societario che vincola i soci alla prestazione di tale attività, costituisce una inadempienza alle obbligazioni che derivano dal contratto sociale e che, dunque, già da sola sarebbe sufficiente per disporre l'esclusione del socio. Pertanto, secondo il Tribunale di Roma, il reiterato compimento di comportamenti illegittimi che ostacolano il normale funzionamento della società costituisce motivo di esclusione del socio. - Il comportamento del socio integra il “reiterato mancato rispetto del dovere di cooperazione che grava su tutti i soci per l'esercizio in comune dell'attività economica allo scopo di dividerne gli utili, art. 2247 c.c.” così come ritenuto dal Tribunale di Vicenza, Sez. I civile, con la sentenza del 27 febbraio 2014. L'art. 2288 c.c. prevede invece delle circostanze al verificarsi delle quali il socio è escluso di diritto (fallimento del socio, ottenuta liquidazione della quota sociale da parte del creditore).
c) L'esclusione del socio-amministratore/la revoca della facoltà di amministrare al socio-amministratore L'esclusione del socio che sia investito di funzioni gestorie comporta necessariamente l'automatica revoca delle medesime e la cessazione, dunque, anche della carica di amministratore. Quando l'esclusione del socio-amministratore è richiesta in via giudiziaria, in via principale viene dunque chiesta l'esclusione del socio e, in via subordinata, la revoca delle facoltà gestorie. A titolo esemplificativo, costituiscono gravi inadempienze ai sensi dell'art. 2286 c.c., idonee a provocare l'esclusione del socio-amministratore: l'emissione di un assegno bancario sul c/c della società ma per scopi personali, in tal modo realizzando un'indebita commistione tra il patrimonio sociale e quello personale dei soci; l'inerzia nell'amministrare e nel gestire l'unico cespite patrimoniale della società; le mancate dimissioni qualora, per impedimenti dovuti a motivi personali, il socio-amministratore non sia in grado di gestire la società e deleghi le proprie funzioni a soggetti che compiono atti pregiudizievoli per la società. (C. Conforti, Le società di persone: amministrazione e controlli, Milano, 2009, 410). Il compimento di tali e analoghi atti, infatti, è idoneo a far venir meno i principi fondamentali sui quali si basa la formazione dell'accordo pattizio nelle società personali: l'intuitus personae e l'affectio societatis (B. Acquas, L'esclusione del socio nelle società, Milano, 2008, 92). Qualora, invece, i comportamenti del socio-amministratore siano sì censurabili sotto il profilo della diligenza del mandatario, ma non concretino quelle gravi inadempienze di cui all'art. 2286 c.c. che, sole, possono giustificare l'esclusione del socio (amministratore), traducendosi nella violazione del dovere del socio di collaborare con la società per realizzare i fini che le sono propri, sarà possibile giungere alla revoca delle facoltà gestorie, ma non, anche, all'esclusione del socio (amministratore). A seguito della revoca delle facoltà di amministrazione della società ai sensi dell'art. 2259 c.c., l'ex-amministratore, rimasto però socio in quanto non escluso, potrà poi essere chiamato a rispondere dei propri inadempimenti, che hanno portato alla sua revoca, anche subendo l'esercizio di un'azione di responsabilità, ai sensi dell'art. 2260 c.c. (C. Conforti, c.s. citato, p. 371). Quanto, poi, alle maggioranze richieste per l'approvazione della delibera di revoca del socio-amministratore, vi è da sottolineare che, in deroga al principio dell'unanimità dei consensi, necessaria per l'approvazione della delibera di revoca dell'amministratore nominato con il contratto sociale, se l'amministratore è socio, non è richiesto il suo consenso ai fini della propria revoca, avendo portata generale il principio di cui all'art. 2373 c.c. (divieto di voto in conflitto di interessi con la società) del quale costituisce applicazione anche l'art. 2287 c.c. che esclude dal computo delle maggioranze necessarie per l'approvazione della delibera di esclusione di un socio, il socio medesimo escludendo (in tal senso: Cass. civ. Sez. I sent. n. 13761 del 12.6.09, cit.). Conclusioni
Dopo aver esaminato i presupposti che regolano, nelle società di persone, la revoca dell'amministratore e l'esclusione del socio, con particolare riferimento alla figura del socio-amministratore, pare di poter concludere l'analisi evidenziando come sia necessario soffermarsi attentamente nella valutazione in concreto delle singole fattispecie e dei casi individuali prima di poter ritenere che uno o più fatti di inadempimento concretino, oltre che una “giusta causa” di revoca delle facoltà gestorie dell'amministratore (ai sensi dell'art. 2259 c.c.), anche una “grave inadempienza” (ex art. 2286 c.c.) tale da legittimare l'esclusione del socio dalla compagine sociale: non vi sono automatismi, in questo senso, né valide categorizzazioni astratte che consentano di sovrapporre con automaticità le due fattispecie. Potrà dunque ben verificarsi la situazione nella quale un socio-amministratore, revocato nelle proprie facoltà gestorie per giusta causa, continui ad essere socio e possa pertanto continuare a esercitare le prerogative proprie dei soci nelle società personali, come ad esempio, il diritto di voto per la nomina del nuovo amministratore. In tal senso, sempre Tribunale di Roma, Sez. III civile, sent. del 31.12.14: “…conseguentemente, ai fini della nomina del (secondo) amministratore della società, era necessario il consenso unanime di tutti i soci, compreso il consenso della Sig.ra…omissis… a nulla, infatti, rilevando la circostanza che quest'ultima era stata revocata (legittimamente, per come sopra evidenziato) dalla carica di amministratrice, in quanto tale decisione non impediva alla predetta di esercitare i diritti e le prerogative che le derivano dalla (diversa) qualità di socia della …omissis…”. |