Apporti in natura nelle società di capitali e relazione giurata di stima
Jacopo Sodi
18 Maggio 2016
Si analizza la disciplina degli apporti in natura non imputati a capitale e la necessità della relazione giurata di stima. Definite le differenze con i conferimenti ed i finanziamenti e delineati i tratti della figura, si esaminano varie fattispecie, simili, che escludono ogni necessità di perizia: l'aumento gratuito del capitale, i versamenti a fondo perduto, il c.d. aumento di capitale “per compensazione”, la disciplina degli acquisti “pericolosi” e delle fusioni e scissioni, ed infine la rivalutazione dei beni d'impresa. Tali istituti denotano la fiducia del legislatore verso le scelte degli amministratori in merito all'iscrizione in bilancio di cespiti entrati a far parte del patrimonio sociale a titolo gratuito.
Introduzione
Lo scopo di questo scritto non è quello di ricostruire la disciplina degli apporti non imputati a capitale, sulla cui trattazione si è già formata ampia ed autorevole dottrina (vedi U. Tombari, Apporti spontanei e prestiti dei soci nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2006, 551, ove anche ampie indicazioni dell'estesa bibliografia sul punto; M. Miola, I conferimenti in natura, in Tratt. delle soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, 2004, 208 ss.), bensì quello più specifico di analizzare un particolare aspetto di essa, consistente nella verifica della necessità di predisporre una relazione giurata di stima all'atto dell'apporto: trattasi infatti di un aspetto discusso, sul quale non constano specifici precedenti giurisprudenziali (tra le principali trattazioni si segnalano M. Miola, op. cit., 221, favorevole alla redazione della perizia quantomeno in molte delle situazioni che verranno analizzate, e M. Rubino de Ritis, Gli apporti spontanei in società, Torino, 2001, fautore della tesi opposta; vedi anche G.A.M. Trimarchi, Le modificazioni del capitale nominale senza modificazione del patrimonio netto – Parte Prima, Studio di Impresa n. 99 – 2011/I, Approvato dalla Commissione Studi di Impresa il 25 maggio 2011).
Per realizzare un simile obiettivo, si procederà individuando brevemente la fattispecie "apporto in natura", tracciandone per sommi capi la disciplina e mettendone a fuoco le differenze rispetto ai conferimenti; verranno quindi analizzate le ragioni addotte a favore e contro la necessità della redazione della relazione giurata di stima in sede di sua esecuzione, tentando infine di offrire una soluzione al quesito coerente con i principi sottostanti e che possa orientare con sicurezza gli operatori.
Gli apporti a patrimonio e la loro distinzione dai conferimenti e dai finanziamenti dei soci
Per individuare esattamente il campo di indagine la prima necessità è quella di distinguere esattamente gli apporti - intesi quali versamenti a favore della società sottratti dall'obbligo di restituzione - dai conferimenti, da un lato, e dai finanziamenti, dall'altro.
L'apporto in società, nel senso sopra assunto ed indagato, sia esso in denaro o in natura, si caratterizza per una funzione economica analoga a quella del conferimento, in quanto rappresenta una delle forme attraverso cui i soci - anche se non necessariamente loro - dotano la società di risorse per svolgere la propria attività di impresa. Pur appartenenti quindi all'ambito degli strumenti di raccolta, essi si distinguono nettamente dai conferimenti, in quanto il loro eventuale ingresso a titolo definitivo nel patrimonio sociale non implica necessariamente un'imputazione a capitale: essi rappresentano invece in tal caso riserve, come tali non soggette in alcun modo alle regole che sovrintendono alla formazione, incremento e riduzione del capitale (secondo una classificazione non pacifica, ma condivisa dalla dottrina – vedi sul punto il quadro delineato da G.A.M. Trimarchi, op. cit., - e fatta propria anche dal principio Contabile n. 28 elaborato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri, gli apporti possono configurarsi come: i) versamenti a titolo di finanziamento, di cui diremo oltre in questo stesso paragrafo; ii) versamenti a fondo perduto, destinati ad entrare a far parte del netto a tutti gli effetti e quindi rappresentanti vere e proprie riserve; iii) versamenti in conto futuro aumento di capitale ed in conto aumento di capitale, diversamente ricostruiti dalla dottrina – vedi G.A.M. Trimarchi, op. cit., e recentemente P. Spada, Il valore del conferimento tra dimensionamento della partecipazione sociale e computo nel capitale nominale di costituzione, in corso di elaborazione, manoscritto gentilmente messo a disposizione dell'Autore, 7 - e dalla giurisprudenza talvolta come debiti e talvolta come parti anch'essi del netto e quindi riserve a tutti gli effetti. A tale classificazione, per completezza, sono da aggiungersi le tipologie dei versamenti in conto capitale ed a copertura di perdite, entrambi, nelle diverse definizioni loro attribuite dalla dottrina, da intendersi quali riserve generiche della società o riserve aventi la specifica funzione di coprire perdite di bilancio).
Gli apporti in denaro ed in natura non sono disciplinati espressamente dal legislatore, ma è pacifico in dottrina (P. Spada, op. cit., 7.) l'assunto secondo cui “pare che nulla vieti ai soci di destinare situazioni soggettive attive a servizio dell'iniziativa collettiva speculativa, escludendo che i valori della situazioni destinate siano computati nel capitale nominale; così incrementando il patrimonio netto, senza incrementare il capitale nominale”. Traccia della loro ammissibilità si trova inoltre in una norma fiscale, l'art. 88, comma 4, TUIR, secondo cui "non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società";essa non solo indirettamente corrobora la ricostruzione civilistica, ma addirittura rappresenta un incentivo al ricorso a tali strumenti (la neutralità fiscale opera sia in ingresso nel patrimonio sociale, come detto nel testo, sia in uscita, allorquando la società ne deliberi l'eventuale restituzione a favore dell'apportante: vedi in modo approfondito, sotto il profilo fiscale, G. Corasaniti, Profili tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in società, Padova, 2008, 186 ss.).
Se quindi gli apporti rappresentano uno dei canali di finanziamento, nel senso ampio ed aziendalistico, della società, è peraltro necessario individuare in modo nitido anche la differenza con i veri e propri finanziamenti - questa volta intesi nel senso tecnico-giuridico del termine - che gli stessi soci o i terzi possono effettuare a favore della società.
Anche in questo caso, pur con le necessarie approssimazioni, esistono ben due parametri che permettono una delimitazione precisa delle figure, poiché gli apporti acquisiti a titolo definitivo nel patrimonio sociale i)non implicano alcun obbligo restitutorio della società ii) non possono mai contemplare forme di remunerazione assimilabili alla produzione di interessi. Manca quindi, nel caso in esame, il tratto tipico di tutte le forme di finanziamento, ivi compresi quelli effettuati dai soci, ossia la pretesa giuridica alla restituzione; inoltre se il mutuo può astrattamente potrebbe contemplare l'assenza di una remunerazione, in quanto convenuto privo di interessi, ciò costituisce per gli apporti un dato giuridico imprescindibile.
Non è questa la sede per riproporre invece i risultati dell'indagine sugli indici rivelatori del finanziamento e del versamento a patrimonio: sia la dottrina sia la giurisprudenza hanno ormai individuato soluzioni che godono di ampio consenso, anche se la prassi, spesso consapevolmente equivoca, continua a sottoporre ai giudici un cospicuo contenzioso sul punto (vedi, ex multis, G. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Tratt. delle soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, 2004, 743 ss. Il contenzioso si sviluppa soprattutto in caso di crisi d'impresa, poiché la qualificazione di una prestazione del socio a favore della società come finanziamento o come versamento in conto capitale produce conseguenze radicalmente differenti: vedi, tra le tante sul punto, la prima importante pronuncia Cass., 3 dicembre 1980, n. 6315, in Giur. comm., 1981, II, 815, con nota di P. Ferro Luzzi, I "versamenti in conto capitale"; e le più recenti Cass., 29 ottobre 1994, n. 8928, in Giur. comm., 1996, II, 39, con nota di J. Sodi, I versamenti in conto capitale nella prassi: differenti caratteristiche ed atteggiamenti della giurisprudenza; Cass., 19 marzo 1996, n. 2314; Cass., 14 dicembre 1998, n. 12539, in Notariato, 1999, 538, con nota di Busi; Cass., 6 luglio 2001, n. 9209).
La conseguenza di quanto sopra è che gli apporti a patrimonio - siano essi in denaro o in natura – ove rappresentanti versamenti a fondo perduto/in conto capitale sono da considerare a tutti gli effetti parte del patrimonio netto della società, assimilabile alle riserve (l'opinione prevalente li equipara alla riserva da soprapprezzo: vedi U. Tombari, op. cit., 573). Anche per la dottrina aziendalistica, infatti, essi nel Conto Economico rappresentano "Proventi straordinari" - voce E. 20 - mentre nello Stato Patrimoniale sono rilevati all'attivo in funzione della tipologia del bene apportato – in natura, credito … – ed al passivo quali riserve, di capitale, da collocare all'interno del Patrimonio Netto, al punto A.VII, “Altre riserve”.
L'effettuazione dell'apporto/versamento quindi lo "socializza", sottraendolo ad ogni obbligo restitutorio da parte della società dietro semplice richiesta del suo autore ed a tutta la conseguente disciplina dei finanziamenti, art. 2467 c.c.in primis. Le ulteriori conseguenze di una simile qualificazione sono che:
i) la società e solo essa ne può liberamente disporre, assumendo le deliberazioni idonee, rimesse all'assemblea (ordinaria nella s.p.a. e con i quorum della prima parte del terzo comma dell'art. 2479-bis c.c. nella s.r.l., salvo che non vi sia una loro qualificazione come "riserve statutarie" o simili, la cui disposizione è quindi rimessa all'assemblea straordinaria nella s.p.a. ed ai quorum qualificati nella s.r.l.);
ii) essi, in quanto posta del netto definitivamente acquisita al patrimonio sociale, risentono come tutte le altre riserve delle eventuali perdite e sono erosi secondo l'ordine condiviso da tutta la dottrina, che vede in primis intaccate queste ultime e solo in estrema istanza il capitale, ossia ciò che tecnica costituisce conferimento.
Tratti identificativi degli apporti a patrimonio
Una moderna concezione della figura esclude ogni profilo di automatica assimilazione dell'apporto alla donazione: una loro caratteristica saliente è la spontaneità, ma essa non deve essere confusa con i tratti tipici dei negozi liberali.
In primo luogo la spontaneità deriva dal sistema delle regole societarie, secondo cui le società non hanno alcuno strumento per costringere i propri soci a versamenti ulteriori rispetto all'esecuzione dei conferimenti sottoscritti (in questo senso, ex multis, G. Tantini, op. cit., 766 ss.). Ma il dato saliente è che alla base dell'apporto vi è quasi sempre una causa societatis, e quindi un fenomeno tipicamente oneroso, secondo cui nel contratto "le parti (soci e società) decidono il tipo di «vincolo» a cui i soci intendono assoggettare il finanziamento (in senso lato) che si obbligano a dare" (così U. Tombari, op. cit., p. 570; in senso analogo vedi anche M.S. Spolidoro, Riserve targate, in Liber Amicorum Pietro Abbadessa, Torino, 2014, vol. 2, 1326, e M. Miola, op. cit., 211. Si segnala che il tema del profilo causale è oggetto di uno specifico approfondimento e di uno studio in corso di elaborazione della Commissione Civilistica del CNN, al quale si rimanda per gli opportuni approfondimenti).
Non vi è alcun limite nella determinazione dell'oggetto dell'apporto, che quando – più spesso – è costituito da denaro non pone particolari problemi, mentre quando si concretizza in un bene in natura o un credito apre una serie di questioni ulteriori.
La disciplina del negozio, a forma libera in caso di apporto spontaneo non donativo di denaro (cfr. U. Tombari, op. cit., p. 575), risentirà necessariamente della qualità del bene “apportato” e quindi: in caso di immobili implicherà la forma scritta - ad substantiam - e quella autentica per poter dare corso a tutte le conseguenti formalità pubblicitarie; in caso di aziende o loro rami richiederà la forma scritta ad probationeme quella autentica per l'accesso alla pubblicità commerciale - cfr. art. 2556 c.c. -; l'apporto di crediti consiglierà ugualmente la forma scritta, onde disciplinare attentamente i profili di disciplina; il tutto fatta eccezione per quei rari casi in cui di vera donazione si tratti.
L'opportunità della forma scritta si evidenzia ulteriormente in quanto è l'autonomia privata a dominare la materia: essa non può incidere sui tratti distintivi della fattispecie, a pena di una sua riqualificazione come conferimento o finanziamento, ma è libera di articolare la tipologia di apporto e la sua disciplina.
La relazione giurata di stima in caso di apporti a patrimonio in natura: alcune prime considerazioni
Svolte queste considerazioni generali, è possibile a questo punto affrontare il tema centrale e capire se ogni volta in cui un socio si renda disponibile ad apportare, spontaneamente e definitivamente, un bene in natura nel patrimonio sociale, sia sempre e comunque indispensabile applicare per analogia la disciplina dei conferimenti e quindi far predisporre una relazione giurata di stima secondo le regole previste dagli artt. 2343 ss. e 2465 c.c.
Volendo liquidare la questione in modo frettoloso e formale, si potrebbe sostenere che la differenza tra conferimento ed apporto - capitale il primo e semplice patrimonio il secondo - esclude che la disciplina operi allo stesso modo: trattasi evidentemente di un ragionamento che non soddisfa ed impone un'analisi più approfondita.
La preoccupazione manifestata da molti studiosi è che una disapplicazione delle prescrizioni in materia di conferimenti in natura si presti a comportamenti abusivi, che aggirano le norme sulla corretta formazione del capitale. Sarebbe infatti sufficiente effettuare un apporto in natura, privo di ogni filtro di controllo, iscrivere in bilancio la riserva conseguente, così incrementando il patrimonio netto della società, ed immediatamente dopo deliberare un aumento gratuito del capitale ai sensi degli artt. 2442 o 2481-ter c.c., per aver realizzato un'operazione di rafforzamento patrimoniale in tutto e per tutto assimilabile ad un conferimento in natura privo della perizia di stima (G.A.M. Trimarchi, L'aumento del capitale sociale, Milano, 2007, 76; M. Miola, op. cit., 220 ss.; M.S. Spolidoro, op. cit., 1337).
In questo senso, se nel contratto fosse espressamente convenuto “il divieto di impiegare il bene per un futuro aumento di capitale”, non vi sarebbero rischi e non sussisterebbe alcuna necessità di ricorso alla relazione di stima (Ufficio Studi del CNN, Quesito d'Impresa 560-2014/I, pubblicato il 13 ottobre 2014); ma lo scopo di queste brevi note è capire se sia ammissibile anche un'interpretazione più "coraggiosa".
Una prima considerazione è che le regole in materia di aumento gratuito del capitale – cfr. artt. 2442 e 2481-ter c.c. – fanno sì cenno alle “riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili", ma non le selezionano in funzione delle loro modalità di formazione, limitandosi, secondo l'interpretazione condivisa, semplicemente a richiedere che esse – tutte ed indistintamente, comunque formatesi – risultino da un bilancio approvato (vedi ad esempio G.E. Colombo, Il bilancio e le operazioni sul capitale, in Giur. comm., 1984, I, 841 ss.; M. Cera, Il passaggio di riserve a capitale, Milano, 1988, 106 ss). Il testo normativo non richiede in alcun modo che, in funzione della modalità di costituzione della riserva, sia necessaria sin dall'origine (momento dell'apporto nel caso in esame) la perizia: dal sistema sembra in contrario potersi ricavare l'intenzione di affidarsi agli amministratori ed alla loro funzione di filtro, che si sostanzia nelle regole di formazione del bilancio, nella scelta dei criteri di valutazione e di appostazione dei beni e nella loro conseguente responsabilità civile e penale; né questo è l'unico caso nel quale il legislatore fonda su tale comportamento qualche operazione straordinaria.
Una seconda riflessione, attinente al versamento a fondo perduto rappresentato da un apporto in natura a patrimonio, è relativa alla copertura delle perdite: non si dubita del fatto che esso sia utilizzabile a tale scopo e che non si debba distinguere tra fenomeni di patrimonializzazione - creazione della riserva - derivanti da versamenti in denaro o da apporti in natura; né si registra, in questa seconda direzione, alcuna opinione che per assolvere a tale funzione richieda che il valore del versamento sia “garantito”, nella sua entità, da una perizia di stima. Se quindi la tesi qui avversata fosse corretta, anche una sopravvalutazione di una riserva iscritta per effetto di un apporto in natura, ossia dell'acquisizione a titolo gratuito di un bene, potrebbe rivelarsi un'operazione fraudolenta, permettendo alla società di evitare le conseguenze tipiche previste dalla regola "ricapitalizza o liquida".
Un ulteriore esempio di operazione di rafforzamento patrimoniale, e conseguente capitalizzazione della società, nella quale le risultanze del bilancio – in assenza totale di alcuna perizia di stima – sono dirimenti, è quella che si realizza quando, acquisito un bene a titolo oneroso con una modalità di pagamento dilazionata, si procede poi ad un aumento di capitale a pagamento: la struttura dell'aumento prevede generalmente una liberazione del conferimento in denaro, ma l'aumento stesso – espressamente od implicitamente – contempla una possibilità di compensazione tra il debito del socio derivante dalla sottoscrizione ed il suo credito – al pagamento del prezzo - derivante dalla vendita del bene. Anche in questo caso una sopravvalutazione del bene acquistato, con conseguente iscrizione in bilancio di un credito – gonfiato – del venditore, porterebbe a facili elusioni del corretto metodo di formazione del capitale, ma non per questo vi è alcuna voce che ricava in via interpretativa l'obbligo di ricorso ad una perizia giurata di stima (già G.B. Portale, I conferimenti in natura atipici, Milano, 1974, 9 ss. paventava i rischi di una simile operazione: la giurisprudenza per lungo tempo ha assimilato simili "compensazioni" in sede di aumento di capitale oneroso a conferimenti di crediti, finalmente cambiando orientamento ed allineandosi alla migliore dottrina con le sentenze Cass., 5 febbraio 1996, n. 936; Cass., 24 aprile 1998, n. 4236. Vedi anche F. Martorano, Compensazione del debito per conferimento, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2006, 519 ss.. In questo senso è oramai orientata anche la migliore prassi notarile, per la quale vedi Commissione società del Consiglio Notarile di Milano, Massima 125 - Aumento di capitale e compensazione di crediti, e Osservatorio del Consiglio Notarile di Firenze, Prato e Pistoia, Orientamento 23/2011 – Aumento di capitale mediante compensazione e crediti postergati nella s.r.l.).
In analoga direzione potrebbero svolgersi alcune considerazioni circa gli acquisti pericolosi ai sensi degli articoli 2343-bise 2465, comma 2, c.c. Questa fattispecie richiede che l'acquisto di beni da parte della società – a titolo oneroso – sia supportato in determinate circostanze da una perizia giurata di stima, ma circoscrive l'applicazione delle specifiche cautele ai primi due anni di vita della società (la ratio preferibile individuata dalla dottrina - M.S. Spolidoro, Gli acquisti pericolosi, in Tratt. delle soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, 2004, 677, 685, e A. Pisani Massamormile, I conferimenti nelle società per azioni. Acquisti pericolosi. Prestazioni accessorie, in Il Codicie Civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1994, 290 - è quella di proteggere la società nei suoi primi anni di vita, quando la situazione finanziaria è più delicata ed è quindi più semplice per i soci - e/o gli amministratori – approfittarne): ciò dimostra come simili operazioni, superata la fase di start up, siano di fatto rimesse alla diligente condotta degli amministratori.
L'art. 2343-ter, comma 2, lett. a), c.c., rappresenta un altro indice normativo del ragionamento in corso di svolgimento, in quanto proprio in materia di conferimenti in natura permette di aumentare il capitale senza ricorrere ad alcuna perizia di stima e ponendo quale condizione che il “il valore attribuito, ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo, ai beni in natura o crediti conferiti sia pari o inferiore: a) al fair value iscritto nel bilancio dell'esercizio precedente quello nel quale è effettuato il conferimento a condizione che il bilancio sia sottoposto a revisione legale e la relazione del revisore non esprima rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento”. In questo caso, a supporto dell'operazione, vi è l'ulteriore condizione negativa della presenza di un revisore che non abbia formulato rilievi proprio sulla valutazione dei cespiti oggetto di conferimento; ma l'aumento poggia comunque su una valutazione economica effettuata dagli amministratori, tradotta in una posta del bilancio e recepita dai soci mediante una sua approvazione non troppo risalente nel tempo (vedi in argomento M. Notari, Il regime alternativo della valutazione dei conferimenti nella società per azioni, in Riv. soc., 2009, 54; N. Abriani, Il nuovo regime dei conferimenti in natura senza relazione di stima, in Riv. not., 2009, I, 95; G. Ferri jr., La nuova disciplina dei conferimenti in natura in società per azioni: considerazioni generali, in Riv. soc., 2009, 253; M. Maltoni, Questioni in merito all'applicazione dell'art. 2343 ter c.c., Studio n. 152-2009/I della Commissione Studi d'Impresa del CNN).
La disciplina delle fusioni e scissioni, infine, offre spunti aggiuntivi con le regole che sovrintendono alla determinazione del capitale della società risultante dall'operazione. Analizzando la fusione – per semplicità il caso di una fusione “propria”, ma con criterio estensibile a pressoché tutte le varianti delle due operazioni – è un dato ormai condiviso quello secondo cui “ad eccezione di alcune particolari ipotesi, il capitale della società risultante […] può essere liberamente determinato entro i seguenti due estremi: la somma dei patrimoni netti delle società interessate alla fusione, da intendersi quale limite superiore; in misura almeno pari al capitale minimo previsto dalla legge per il tipo societario cui appartiene la società risultante dalla fusione, da intendersi quale limite inferiore” (così Osservatorio sul diritto societario del Consiglio Notarile di Firenze, Orientamento 3/2008 – Fusione tra società di capitale e determinazione del capitale della risultante, e Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, Massima 72 - Imputazione del disavanzo “da concambio” nella fusione e nella scissione). Anche quindi nell'ambito di una complessa operazione di riorganizzazione dell'impresa, e della conseguente riallocazione del patrimonio netto delle società coinvolte, il legislatore si “fida” delle valutazioni degli amministratori, al punto che permette una “capitalizzazione” di valori rappresentati da riserve senza chiedere alcuna valutazione peritale ed a prescindere da come si siano formati (vedi per una conferma Consiglio Notarile di Milano, Massima 72, cit.).
Ulteriori ragioni della tesi che non richiede la predisposizione della relazione giurata di stima
Dall'esame svolto sin qui si ricava che il sistema pare così strutturato:
i)molte operazioni "straordinarie" poggiano sulle risultanze di un bilancio;
ii) la riclassificazione delle poste del netto e, più in generale, la formazione del bilancio, che deve poi essere approvato dai soci, è rimessa alla diligenza degli amministratori;
iii) gli amministratori hanno specifiche responsabilità civili e - nuovamente - penali;
iv) l'apporto in natura che entra a far parte stabilmente del patrimonio sociale viene "recepito" definitivamente nella sua dimensione quantitativa in sede di approvazione del primo bilancio successivo alla sua effettuazione;
v) una voltaapprovato tale bilancio, quel valore è “definitivo” e diviene utilizzabile, come tutte le altre poste del netto, per qualsiasi operazione straordinaria, ivi compreso un aumento di capitale gratuito.
Una possibile obiezione deriva dal fatto che in caso di acquisti onerosi vi è un elemento oggettivo, dato dal prezzo, che è solitamente frutto di una reale trattativa svolta con un terzo estraneo, che rende affidabile la valutazione. Esistono però numerosi elementi che privano tale considerazione di buona parte della sua forza argomentativa: in primo luogo anche in caso di acquisto oneroso la controparte della società potrebbe non essere un soggetto estraneo alla compagine (si pensi al bene acquistato da un socio dopo due anni dalla costituzione o, anche prima, da uno stretto congiunto del socio); in secondo luogo l'acquistoa titolo gratuito di un cespite non esclude la sua iscrivibilità in bilancio (vedi G.E. Colombo, Il bilancio di esercizio, in Tratt. delle soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino 1994, 21 ed ancor prima G.B. Portale, I beni iscrivibili nel bilancio di esercizio e la tutela dei creditori nella società per azioni, in Riv. soc., 1969, 271; cfr. anche il Principio Contabile OIC n. 16, paragrafo 39).
Un argomento ulteriore, determinante ed emergente dalla legislazione fiscale, ma con notevoli implicazioni civilistiche e societarie, è quello relativo alla possibilità di rivalutazione dei beni d'impresa, introdotta per la prima volta dalla L. n. 72/1983 e successivamente più volte prorogata.
La possibilità di rivalutazione dei beni d'impresa, infatti, nell'ambito delle varie norme che si sono succedute nel tempo, è sempre stata rimessa esclusivamente ad una scelta gestionale degli amministratori, previa adeguata motivazione loro e dell'organo di controllo, nelle relazioni di accompagnamento al bilancio. Tra i limiti previsti per la rivalutazione, e la conseguente iscrizione di maggiori valori in bilancio, non vi era, né la dottrina la ha mai desunta, necessità di alcuna relazione giurata di stima da parte di esperti terzi (vedi per tutti l'iniziale e sempre attuale commento di P. Marchetti, Sulla destinazione dei saldi di rivalutazione monetaria, in Riv,. soc., 1983, 114 ss.; ed anche G.E. Colombo, Il bilancio e le operazioni sul capitale, cit., 848 e M. Cera, op. cit, 84 ss.).
L'analisi delle possibili destinazioni dei saldi - o riserve- di rivalutazione monetaria, così formatisi, diviene a questo punto rilevante: essi possono essere imputati a capitale, accantonati in una speciale riserva, ridotti mediante l'utilizzazione della procedura prevista per la riduzione reale del capitale sociale o utilizzati a copertura delle perdite. Quel che preme qui sottolineare è come il legislatore, a fronte della emersione di una riserva conseguente alla rivalutazione di beni già iscritti in bilancio senza alcuna predisposizione di perizie giurate da parte di terzi, abbia legittimato operazioni di forte rilievo patrimoniale e finanziario: non solo la sua contabilizzazione a copertura di perdite; non solo la sua possibile distribuzioneai soci, pur seguendo le garanzie offerte dalle procedure che disciplinano la riduzione reale del capitale sociale; ma addirittura la possibilità di sua "capitalizzazione", utilizzandola cioè per un aumento di capitale gratuito.
In questo ultimo senso si colgono forti analogie: la rivalutazione di un bene iscritto in bilancio deriva da una scelta gestionale degli amministratori, allo stesso modo in cui ad essi è rimessa la valutazione sull'iscrizione dell'apporto in natura; la cristallizzazione della posta, nella sua entità, deriva dall'approvazione del primo bilancio successivo alla rivalutazione (la dottrina ha chiarito, sin dalla prima normativa emanata in materia, che la procedura è necessariamente "bifase" e che "dal momento in cui viene approvato il bilancio nel quale è iscritta la riserva per saldo di rivalutazione la riserva stessa è immediatamente utilizzabile in una delle direzioni possibili (copertura delle perdite, imputazione a capitale, distribuzione ai soci) secondo i presupposti propri di ciascuna di esse": così P. Marchetti, op. cit., p. 117), allo stesso modo in cui la possibile riserva emergente dell'effettuazione dell'apporto in natura diviene "idonea" per essere utilizzata, anche per l'aumento gratuito del capitale.
In sostanza, se nel caso delle riserve di rivalutazione la sequenza i) valutazione degli amministratoriii)iscrizione in bilancio ed approvazione dello stesso iii) utilizzazione per un aumento di capitale gratuito, non solo è perfettamente legittima, ma addirittura prevista espressamente dal legislatore, non vi è ragione per ritenere che un'analoga procedura, adottata in occasione dell'effettuazione di un apporto in natura a favore della società, divenga invece un'operazione illegittima. E' quindi già il legislatore ad aver avallato la ricostruzione secondo cui le risultanze di un bilancio approvato dai soci, e predisposto da amministratori sotto pena di pesanti responsabilità civili e penali, costituisce base sufficiente per un'operazione sul capitale legittima e rispettosa dei principi.
Tentativo di ricostruzione della disciplina degli apporti in natura in relazione alla eventuale necessità della perizia giurata di stima
Possiamo a questo punto tentare una ricostruzione organica delle differenti situazioni che possono presentarsi in concreto, cercando così di distinguere la disciplina “ordinaria” di questa operazione, da quella che si deve applicare quando ricorrono precisi indici di aggiramento dei principi sulla corretta formazione del capitale.
Ed in primo luogo può essere a questo punto utile recuperare una distinzione proposta di recente da un'Autorevole dottrina (P. Spada, op. cit, 1) secondo cui la necessità della perizia di stima può porsi solo allorquando vi è “destinazione” di beni in natura, ossia vincolo di risorse ad uno scopo, e non “attribuzione”: la prima genera investimento, ossia voci di patrimonio netto, che assumono i contorni del capitale nominale - e richiedono quindi una perizia di stima - ove rappresentanti conferimenti “tipici”, in esso computabili per legge, e conferimenti “atipici” in caso contrario; la seconda crea passività reali, ossia indebitamento, e non pone in alcun caso questioni sulla necessaria valutazione peritale dell'oggetto dell'atto "attributivo".
Quando le parti – “apportante” e società – intendono quindi realizzare una destinazione, ponendo in essere un apporto spontaneo, e la disciplina del loro rapporto prevede che lo stesso sia in tempi stretti imputato a capitale, o comunque, pur se non a breve termine, esiste già un programma negoziale che vuole realizzare tale operazione, sicuramente dovrà essere predisposta una perizia di stima. In questo caso, infatti, possono porsi due alternative: un aumento di capitale a pagamento, in quanto l'apporto rappresenta tecnicamente un versamento in conto (futuro) aumento di capitale, ossia un anticipato conferimento in natura; un aumento di capitale gratuito, in quanto l'apporto spontaneo si “socializza” a beneficio di tutta la compagine, rappresentando un “normale” versamento a fondo perduto/in conto capitale. Le due operazioni, pur se radicalmente differenti tra loro, realizzano un rafforzamento del capitale sorretto dalla prestazione di un bene in natura a favore della società, che non può quindi sfuggire alla disciplina della stima (si tratta, in sostanza, di un'operazione unitaria, nella quale si ravvisa un collegamento negoziale delle sue varie fasi, giustamente etichettata da un'attenta dottrina come “conferimenti in natura mascherati”: così M. Miola, op. cit., 221).
Se viceversa il medesimo apporto si realizza nell'ambito di un programma negoziale che esclude espressamente l'imputabilità a capitale della possibile riserva che emerge, non vi sarà alcuna necessità di stima, in quanto la permanente destinazione della riserva esclude in radice la sussistenza di alcun rischio (così Ufficio Studi del CNN, Quesito d'Impresa 560-2014/I, pubblicato il 13 ottobre 2014).
Un ulteriore passo può però essere compiuto quando le parti, nel momento in cui l'apporto spontaneo viene effettuato, non hanno alcun preciso programma negoziale che contempli un aumento di capitale, poiché in tal caso saremo davanti ad un “semplice” versamento a fondo perduto/in conto capitale, entrante a far parte del netto, caratterizzato dall'oggetto dell'apporto diverso dal denaro ma che non richiede alcuna perizia di stima. Quando la società approverà il primo bilancio successivo all'apporto, il valore di quest'ultimo sarà definitivamente “acquisito” come riserva, cristallizzato, ed in futuro, come ogni altra posta del netto, prescindendo dalla sua specifica origine e modalità di formazione, potrà essere utilizzato per eventuali operazioni straordinarie, tra le quali anche aumenti gratuiti del capitale.
Ma allora ciò che rileva non è tanto il fattore tempo – inteso come intervallo tra l'esecuzione dell'apporto e la delibera di aumento gratuito del capitale – quanto il procedimento adottato, dovendosi intendere la perizia di stima come un succedaneo dell'approvazione di quel bilancio – ordinario o straordinario, nel senso di infrannuale – che recepisce l'emersione del valore e crea la riserva.
In questo quadro, sarà compito del giudice – civile e penale – stabilire se le parti hanno inteso realizzare un procedimento in frode alla disciplina dei conferimenti nel caso specifico, ma non si potrà invece, sul piano generale, desumere una regola che imponga la sistematica valutazione di stima degli apporti spontanei a patrimonio in natura.
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Sommario
Tentativo di ricostruzione della disciplina degli apporti in natura in relazione alla eventuale necessità della perizia giurata di stima