Il fallimento delle società partecipate pubbliche

26 Gennaio 2016

La legge delega in tema di riforma della pubblica amministrazione, c.d. Legge Madia n. 124/2015, prevede importanti conseguenze per le partecipate pubbliche. Il Legislatore ha ritenuto di perseguire meglio le finalità della legge delega attraverso un testo unico delle partecipate pubbliche, che dovrà portare ad una disciplina armonica delle diverse fattispecie e fornire soluzioni anche in merito al discusso tema dell'assoggettabilità, o meno, al fallimento delle società partecipate pubbliche.
Premesse

La legge delega in tema di riforma della pubblica amministrazione, c.d. Legge Madia n. 124/2015, prevede importanti conseguenze per le partecipate pubbliche.

All'art. 18, della legge delega, vengono definite le linee guida sul riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, che hanno come finalità prioritaria quello di assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza. Pertanto, alla lett. a) dello stesso art. 18 si prevede una suddivisione tra tipi di società in relazione: 1) alle attività svolte; 2) agli interessi pubblici di riferimento; 3) alla determinazione quali-quantitativa, nonché diretta o indiretta, della partecipazione; 4) alla modalità dell'affidamento diretto oppure con procedura di evidenza pubblica; 5) alla quotazione in borsa o all'emissione di strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati; 6) all'individuazione della relativa disciplina civilistica ivi compresa quella in materia di organizzazione e crisi d'impresa.

Il Legislatore ha ritenuto di perseguire meglio le finalità della legge delega attraverso un testo unico delle partecipate pubbliche, che, come appena ricordato, dovrà portare ad una disciplina armonica delle diverse fattispecie e fornire soluzioni anche in merito al discusso tema dell'assoggettabilità, o meno, al fallimento delle società partecipate pubbliche.

Dottrina e giurisprudenza, infatti, sono ancora divise e conseguentemente permane la situazione di incertezza degli operatori, delle amministrazioni e in generale del mercato. I provvedimenti legislativi si susseguono ormai incessantemente e il legislatore nel tempo sembra avere sostituito interventi tendenti a disciplinare il futuro utilizzo, in tal senso si veda quanto previsto dalla legge di stabilità n. 147/2013 ai commi da 550 a 569 dell'art. 1, nonché con la legge di stabilità n. 190/2014 dove viene imposto un piano operativo di razionalizzazione, delle società pubbliche ad interventi tendenti a limitare, o meglio a ridimensionare, il fenomeno della utilizzazione delle stesse.

L'abuso di questo strumento è ormai da tempo all'attenzione del nostro legislatore e della magistratura, anche contabile. Quest'ultima negli anni più recenti ha ristretto l'ambito di utilizzo di questo strumento societario al fine, in primis, di ridurre la spesa pubblica, ma nello stesso tempo di evitare possibili strumentalizzazioni dirette, ad esempio, ad eludere i vincoli imposti dal “patto di stabilità”, nonché a ledere la libera concorrenza.

Nonostante la chiarezza con cui si esprimono sia l'art. 1, comma 1, della legge fallimentare -“Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici”- , sia l'art. 2221 c.c. - “Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti in caso di insolvenza alle procedure del fallimento e del concordato preventivo salve le disposizioni delle leggi speciali” nonché le recenti pronunce della Corte di Cassazione (vedi da ultimo Cass. n. 22209/2013) restano ancora dubbi almeno per le società c.d. in house providing, species, secondo alcuni,del genere società partecipate pubbliche.

In altri termini, il “mondo” delle partecipate pubbliche, ancora oggi non disciplinato da una norma organica, è oggetto di interventi contingenti che impediscono una lettura sistematica, oltre il dettato della singola disposizione. In particolare, i dubbi, a parere di chi scrive, sembrano essere stati alimentati anche dalla recente sentenza delle Sezioni Unite (vedi Cass. SS.UU. n. 26283/2013) e continuano a svilupparsi al di fuori, o meglio nonostante, i precetti normativi.

Considerazioni sulle norme dettate dal Codice Civile

La prima considerazione non può non partire dalla ben nota Relazione al Codice Civile n. 998, relativa agli artt. da 2458 a 2460, ove è stato affermato che “è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggior snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici. […] La disciplina comune delle società per azioni deve pertanto applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato e di enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano”.

Tale assunto potrebbe essere considerato alla base delle decisioni di legittimità in quanto appare lampante che in tema di società pubbliche è il pubblico che decide di “vestire abiti” privati e non viceversa (le cui origini possono farsi risalire già all'epoca delle società anonime ante Codice Civile, Cass. SS. UU. del 7 marzo 1940 n. 1337 in Massima, Foro It., 1941, 200 e ss. con nota di G. Ferri).

Si deve infatti osservare che:

i) nel nostro Codice Civile poche sono le disposizioni previste in tema di intervento pubblico e precisamente sono limitate all'art. 2449 come modificato;

ii) le recenti riforme in tema di diritto societario e fallimentare (Cfr. Relazione accompagnatoria al d.lgs. n. 3/03 che ha modificato il Codice Civile, mentre il d.lgs. n. 5/06 di riforma del diritto fallimentare, non ha modificato il R.d. n. 267/42, art. 1, comma 1. Ivi “Restano quindi esclusi dall'assoggettabilità alle procedure concorsuali, oltre agli imprenditori agricoli ed agli enti pubblici che esercitano in via esclusiva o prevalente un'attività economica, anche tutti i piccoli imprenditori, siano essi imprenditori individuali che collettivi.” confermando quindi che esclusi restano gli Enti pubblici e non le società a partecipazione pubblica) non hanno introdotto modifiche;

iii) lo schema di disegno di legge delega sulla riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza (Commissione Rordorf) all'art. 2, comma 1, lett. e) prevede l'esclusione esplicita solo per gli enti pubblici. Si tratta ancora di uno schema di disegno di legge delega recante “Delega al Governo per la riforma organica della disciplina della crisi di impresa e dell'insolvenza”. Oggi all'art. 2, comma 1, lett. e) prevede di assoggettare al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza ogni categoria di debitore (persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore commerciale o agricolo) con esclusione dei soli enti pubblici, disciplinandone distintamente i diversi esiti possibili, con riguardo all'apertura di procedure di regolazione concordata o coattiva, conservativa o liquidatoria, tenendo conto delle relative peculiarità soggettive ed oggettive.

In tale contesto sembra potersi confermare l'intento del nostro legislatore di non disciplinare specificamente le società partecipate pubbliche in modo che le stesse restino “attratte” nella disciplina delle società private. Non si deve dimenticare infatti che le società pubbliche sono innanzitutto società per le quali la natura di imprenditore commerciale viene acquisita dal momento della loro costituzione ed iscrizione nel registro delle imprese. In altri termini, le società costituite secondo una delle forme previste dal Codice Civile sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall'effettivo esercizio dell'attività, in quanto la qualità di imprenditore commerciale collettivo viene assunta dal momento stesso della loro costituzione e non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa, al contrario di quanto avviene per l'imprenditore commerciale individuale.

Si deve tuttavia constatare la vigenza di una serie di norme pubblicistiche (come ad es. norme speciali: in materia di contratti pubblici di cui al d.lgs.n. 163/06, in materia di accesso agli atti di cui alla L. n. 241/90, in tema di reclutamento del personale con i conseguenti divieti e limiti di assunzione, previsti dalla L. 147/2013, comma 557, nonché all'assoggettamento a obiettivi di finanza pubblica , al comma 553 della stessa legge, ovvero in tema di responsabilità contabile, stabilita all'art. 4, comma 12 del D.L. n. 95/12, in tema di anticorruzione e trasparenza) emanate di volta in volta anche per le società partecipate pubbliche private. Tuttavia, le dette ultime norme non sembrano in alcun modo portare a qualificare come enti pubblici, le società private partecipate da amministrazioni pubbliche.

Definizione del perimetro delle società pubbliche e norme in materia di fallimento di società e di enti

Le considerazioni dirette ad affermare la fallibilità delle società partecipate pubbliche appaiono diverse sotto diverse prospettive e in definitiva possono ricondursi anche a motivazioni di ordine normativo derivanti essenzialmente dalle previsioni di cui all'art. 4 della l. n. 70/75 che non permette di istituire o riconoscere nessun nuovo ente pubblico se non per espressa previsione legislativa.

In altri termini se non vi è una espressa previsione normativa che attribuisca natura pubblica alla società partecipata non risulta possibile alcuna riqualificazione in tal senso di una società privata.

A tale disposizione fanno da corollario quella di cui all'art. 4, comma 13, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 conv. nella legge n. 135/2012, laddove si afferma che in tema di società a totale o parziale partecipazione pubblica si applica comunque la disciplina del Codice Civile in materia di società di capitali.

A queste si aggiungano quelle di cui al d.l. del 28 agosto 2008, n. 134, come conv. nella legge 27 ottobre 2008, n. 166 (Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi) che ha modificato la legge sulla ristrutturazione delle grandi imprese in crisi (d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 c.d. L. Marzano) che prevede espressamente per le società partecipate pubbliche, esercenti servizi pubblici essenziali, una particolare procedura, quella della ristrutturazione delle grandi imprese in crisi, rientrante, comunque, nell'alveo delle procedure di risoluzione della crisi. Fanno da corollario a tali motivazioni le raccomandazioni che Uncitral e Banca Mondiale hanno espresso in tema di insolvenza.

Pertanto, mancando un principio generale che declini nel senso di una esclusione si avverte che le eventuali eccezioni all'applicazione delle leggi sull'insolvenza devono essere chiaramente espresse ed essere fondate su stringenti ragioni non potendosi ammettere orientamenti giurisprudenziali mutevoli e/o incerti (Cfr. Assonime, Società a partecipazione pubblica e procedure concorsuali, Il Caso n. 2/2014, pag. 11).

Alcune considerazioni in tema di società in house

A questo punto, stabilita l'impossibile riqualificazione giuridica della natura di queste società, corre l'obbligo di effettuare alcune considerazioni in tema di società in house, per le quali valgono comunque le considerazioni sin qui svolte.

L'equivoco nasce, come detto, da una non corretta “interpretazione” (rectius lettura) estensiva delle considerazioni fatte dalle Sezioni Unite in tema di giurisdizione applicabile per le società aventi i requisiti dell'in house providing. Un'interpretazione che non può esondare dall'ambito proprio, quello sulla determinazione del giudice competente, per alluvionare aree circostanti rendendole incerte.

In primis ci si riferisce al rispetto e validità di tutte quelle norme societarie, che anche in tema di società in house continuano ad applicarsi. In altri termini, non sembra potersi revocare in dubbio, in queste società la volontà sociale e negoziale si forma e si manifesta secondo le vigenti norme di diritto comune ancorché possa essere “imposta” dall'ente dominante. A ben vedere, sia da un punto di vista gestionale, cioè sotto il profilo dell'organizzazione, del funzionamento, del rapporto fra i diversi organi interni alla società, sia dal punto di vista delle modalità in cui si manifesta la volontà negoziale di queste società rilevano tutte le disposizioni e regole previste dal diritto privato.

Basta a tal fine l'ultima legge di stabilità laddove il comma 613, dell'unico articolo, prevede che tutte le deliberazioni di scioglimento, di liquidazione, nonché gli atti di dismissione di società costituite o di partecipazioni societarie acquistate sono disciplinati unicamente dalle disposizioni del Codice Civile. Queste ultime non sembrano coniate per le “altre” società lasciando fuori la species in house. Allo stesso modo risultano applicabili tutte le disposizioni in tema di operazioni sul capitale e soprattutto di copertura perdite.

Su tale ultimo aspetto si evidenzia che, in via ordinaria, non è ammesso l'intervento pubblico teso a ricapitalizzare la società in caso di perdite con un chiaro effetto maggiormente restrittivo rispetto alle società private, cioè quelle società in cui il socio potrebbe continuare a ricapitalizzare la società nell'ambito della più ampia libertà economica. Tale condizione arbitraria non può verificarsi nell'ambito delle società pubbliche che devono essere rette nella propria gestione da principi di economicità, efficienza e legalità finanziaria, tutti principi che impediscono al socio pubblico un intervento di tale natura. Il legislatore ha da tempo adottato apposite disposizioni restrittive proprio nell'ottica del divieto di soccorso finanziario, dell'abbandono del salvataggio obbligatorio in caso di dissesto, nella considerazione che comunque l'ente non è obbligato ad accollarsi i debiti della società partecipata e che tale intervento deve essere sufficientemente ed adeguatamente motivato tanto da dar conto del vantaggio e delle effettive e concrete utilità per l'ente locale.

Inoltre, l'apporto di capitale sociale da parte dei soci pubblici, costituisce, peraltro, aiuto di stato, ammissibile nelle limitate ipotesi di cui all'art. 107 Trattato europeo e quindi soltanto se volto ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche senza alterare le condizioni degli scambi in misura contraria al pubblico interesse.

Da quanto detto risulta che le norme di diritto comune in tema di copertura perdite restano valide, che le società partecipate devono essere rette nella loro gestione da principi di economicità, efficienza e legalità finanziaria, che gli Enti partecipanti non possono intervenire per ripianare perdite, soprattutto in caso di dissesto, per contrasto con l'impianto normativo nazionale ed europeo oggi esistente, e che nello stesso tempo non sono obbligati ad intervenire.

In tale scenario appare evidente che l'eventuale esonero dal fallimento di queste società si troverebbe direttamente in contrasto con quel principio di divieto di soccorso finanziario, in quanto l'Ente, a causa dell'esonero dal fallimento, sarebbe costretto ad intervenire per ripianare il deficit della propria partecipata, il che rappresenterebbe nella sostanza ripianare le perdite.

Da ultimo si evidenzia che in ambito di società pubbliche trovano applicazione, senza necessità di alcun adattamento, tutte le norme in tema di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 e ss del Codice Civile. Queste possono rappresentare l'ambito normativo più idoneo per interpretare il fenomeno, e potremmo dire anche il giusto “contrappasso” in tema di eventuale, direi inevitabile, responsabilità dell'ente dominante in caso di fallimento della dominata.

A ben vedere tale considerazione non soffre neanche in tema di eventuale fallimento della partecipata, in quanto i creditori sociali troverebbero la propria tutela, diretta e rapida, mediante rinvio all'art. 146 in tema di responsabilità del socio. Infine, le nuove direttive comunitarie pubblicate sulla G.U. dell'UE del 28 marzo 2014 conferiscono all'in house providing il suo giusto inquadramento normativo con conseguenze anche ai fini del tema che qui si discute.

Le Direttive Comunitarie, che hanno in pratica recepito i principi declinati dalla Corte di Giustizia Europea in tema di in house, cui ci si riferisce sono: all'art. 17 della Direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione; all'art. 12 della Direttiva 2014/24/UE per i settori ordinari e all'art. 28 della Direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto per i settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, che dovranno essere recepite entro il 18 aprile 2016. E' chiaro che laddove siano presenti i principi identificativi di una relazione in house gli effetti saranno l'esclusione dall'applicazione delle direttive citate.

Ai fini dell'individuazione di tale relazione in house occorreranno la presenza di alcuni requisiti che sono notoriamente i seguenti:

a) controllo analogo, inteso come l'influenza determinante che l'amministrazione aggiudicatrice (o anche l'ente aggiudicatore per le concessioni) esercitata sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative dell'affidatario in house;

b) prevalenza dell'attività, sussistente quando oltre l'80% dell'attività svolta dal soggetto affidatario in house deriva dai compiti ad esso affidati dall'amministrazione aggiudicatrice o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione controllante;

c) totale partecipazione pubblica, in tal caso viene prevista anche la partecipazione di capitali privati purchè non comportino controllo o potere di veto ovvero non determinino alcuna influenza determinante sul soggetto affidatario in house. Inoltre, per le partecipazioni di minoranza, le amministrazioni possono esercitare il controllo analogo congiunto con le altre a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 1) gli amministratori dell'organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti; 2) i soci pubblici esercitino congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell'organismo controllato; 3) l'organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli dei soci pubblici partecipanti.

Stante la disciplina appena riferita sembra gioco forza concludere che il quadro rappresentato nella sentenza di Cassazione n. 26283/2013, laddove si vogliano estendere le conclusioni ivi raggiute oltre l'ambito proprio della corretta giurisdizione, sia stato superato sia per la nuova definizione di attività prevalente, ma soprattutto, per la presenza di soggetti privati che inevitabilmente produrrà l'effetto di “ricucire” ovvero evitare quello squarcio (piercing o lifting the veil) propria del superamento della personalità giuridica. In altri termini l'aver previsto, nella direttiva europea ancora non recepita, per la costituzione di società in house la partecipazione anche di soggetti giuridici privati, seppur entro certi limiti, porta l'interprete alla conseguente considerazione che le stesse società in house, sulle quali oggi il dibattito è ancora aperto, manterrebbero di conseguenza un proprio patrimonio separato rispetto agli enti partecipanti.

Il tema è già oggetto di discussione in ambito amministrativo. Si registrano nell'ordine parere della Sezione II del Consiglio di Stato del 30 gennaio 2015 n. 298, laddove si apprende che il principio affermato dall'Adunanza Plenaria non è ulteriormente applicabile in quanto l'art. 12, par. 1, della direttiva 2014/24 ammette l'esistenza del controllo analogo anche in casi in cui il soggetto che opera in regime privatistico è partecipato da soggetti privati, purché tale partecipazione sia ristretta nei limiti ivi stabiliti.

La compiutezza dell'art. 12, par. 1 della direttiva permette di ritenerla “self-executing” avendo indubbiamente un contenuto incondizionato e preciso. Tale indirizzo non viene seguito in un successivo arresto della VI Sezione del Consiglio di Stato (sent. n. 2660 del 26 magio 2015) che rileva come la presenza di un socio privato esclude che la stazione appaltante eserciti un controllo analogo a quello che esercita nei confronti dei propri uffici, mantenendosi conforme a giurisprudenza sostanzialmente pacifica (C. di S., A.P., 3 marzo 2008, n. 1).

Tale ultimo orientamento è stato seguito anche da un successivo arresto della Sez. V del 11 settembre 2015 n. 4253, che si richiama ai principi dettati dall'Adunanza Plenaria ed osserva che il legislatore comunitario ha individuato un termine per il recepimento della suddetta direttiva ancora pendente che impone di escludere che i nuovi principi acquistino immediata efficacia nei singoli ordinamenti nazionali.

Inoltre, l'art. 12 della nuova direttiva appalti, prevede che le "forme di partecipazione di capitali privati" devono essere "prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati", condizione che non risulta sussistente.

Inesistenza di disposizioni in tema di default di società pubbliche

A quanto fin qui riferito si possono aggiungere considerazioni di inopportunità derivanti dall'esenzione da procedure per queste società, in quanto si arriverebbe al riconoscimento di una società insolvente non soggetta ad alcuna forma di concorso.

Le società pubbliche, non riscontrando esplicitamente disposizioni di diritto pubblico in senso concorsuale, in presenza di uno stato di insolvenza conclamato, continuerebbero ad operare sul mercato fin tanto che i soci, o gli amministratori, non decidano di porla in liquidazione ovvero non intervenga una revoca dell'affidamento, con grave distorsione del mercato e chiara lesione della parità di trattamento fra imprese pubbliche e private, nonché palese violazione del principio di libera concorrenza.

A tal riguardo si evidenzia che il legislatore quando ha ritenuto che vi fossero interessi degni di particolare rilievo pubblicistico, ha optato per la diversa definizione dell'insolvenza o nelle forme della liquidazione coatta amministrativa ovvero in altre forme di risoluzione o gestione della crisi, tuttavia, in ogni caso, esiste sempre una procedura di gestione dell'insolvenza nelle forme del concorso.

Infine, le procedure concorsuali si presentano perfettamente compatibili con lo schema delle società partecipate pubbliche. Al riguardo basti pensare alle vigenti norme in tema di ristrutturazione delle grandi imprese in crisi; al fatto che la titolarità degli impianti, reti, immobilizzazioni restano comunque e sempre separate dalla società affidataria ed in capo all'ente conferente; alla possibilità di cui all'art. 104 l. fall. sull'esercizio provvisorio che resta perfettamente applicabile anche per tali società. Tale esercizio, che trova come proprio presupposto il grave danno derivante dall'interruzione dell'attività per il ceto creditorio, permetterebbe di salvaguardare anche gli interessi dei terzi cittadini che continuerebbero ad usufruire dello stesso servizio erogato dall'impresa fallita. Si aggiunga che in caso di insolvenza nessuna sostituzione dell'autorità giudiziaria all'autorità amministrativa si verificherebbe in quanto questa (autorità amministrativa) continuerà a intrattenere i medesimi rapporti che aveva prima del fallimento in attesa del nuovo soggetto che verrà nominato per lo svolgimento del servizio.

L'esonero dal fallimento per queste società produrrebbe un ingiustificato effetto preclusivo nei confronti di tutte quelle procedure tendenti al risanamento dell'impresa in crisi, come ad es. concordato preventivo in continuità art. 186-bis.

Le disposizioni in materia di Azienda Speciale: sono applicabili alle società partecipate pubbliche?

L'azienda speciale, qualificata come ente pubblico economico, nasce per gestire servizi di rilevanza imprenditoriale e risulta caratterizzata da un'autonoma personalità giuridica rispetto a quella dell'ente o enti di emanazione, acquisita attraverso l'iscrizione dell'azienda speciale nel registro delle imprese, ex artt. 2331, comma 1, e 2363, comma 3, del Codice Civile, come richiamato (il primo) dall'art. 123, comma 1 del TUEL; per avere non solo un proprio statuto, che ne disciplina l'organizzazione ed il funzionamento, ma anche per avere propri organi di governo (di emanazione dell'ente), di controllo (diverso dall'ente) ed un direttore (responsabile della gestione).

L'ente determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione e provvede alla copertura degli eventuali costi sociali. Si evidenzia che le predette caratteristiche non trasformano l'azienda speciale in un soggetto privato, ma la configurano solo come nuovo centro di imputazione di rapporti giuridici, distinto dal Comune e con propria autonomia decisionale.

Inoltre, l'azienda speciale può partecipare a società di capitali pur sempre nei limiti funzionali che legano l'ente al proprio territorio di riferimento e dell'evidenza pubblica nella scelta del partner privato.

Ancora, l'art. 114 del testo unico degli enti locali, che qualifica, appunto, l'azienda speciale come ente strumentale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, è stato recentemente integrato con la previsione del deposito del bilancio al registro imprese o R.E.A. presso la camera di commercio competente. In tale ambito sembra opportuno richiamare anche le osservazioni fatte, in sede di relazione, dal Commissario straordinario per la spesa pubblica C. Cottarelli del 7 agosto 2014 “Programma di razionalizzazione delle partecipate locali”, Sez. III, dove si apprende chiaramente che le partecipate trovano “il loro motivo di esistenza proprio in una maggiore elasticità di gestione rispetto agli enti di appartenenza, quanto più si estendono alle prime le regole che valgono per i secondi, tanto più si rimuovono quei vantaggi gestionali che le renderebbero utili”.

Da un punto di vista economico-finanziario, l'azienda speciale riceve dall'ente locale il capitale di dotazione e segue, nello svolgimento della propria attività, criteri di efficacia, efficienza ed economicità con obbligo dell'equilibrio economico. A tal fine sottopone all'approvazione del Consiglio Comunale il piano-programma, il budget economico almeno triennale; il bilancio di esercizio; il piano degli indicatori di bilancio.

A ciò si aggiunga la possibilità di trasformare non solo un'azienda speciale in società di capitali, ex art. 115 del testo unico enti locali, ma anche, grazie alle novità introdotte dalla riforma del diritto societario di cui all'art. 2500-septies, una società di capitali in un'azienda speciale perfettamente compatibile sia con le norme civilistiche, trattandosi di organismi entrambi dotati di patrimonio separato, a garanzia dei terzi e dei creditori, sia con le disposizioni pubblicistiche, intese a ricondurre tali organismi ad un regime uniforme quanto al rispetto dei vincoli di finanza pubblica (Cfr. Corte dei conti, Sezione delle autonomie, N. 2/2014 nell'Adunanza del 15 gennaio 2014. Nello stesso senso, possibile la trasformazione di una società di capitale in azienda speciale, anche Sezione di controllo per la Regione Puglia, 19 settembre 2013, n. 142 e Sezione di controllo per la Regione Lombardia, 23 ottobre 2013, n. 460; Contra: Corte d'Appello di Torino, 14 luglio 2010, Le Società, 12/2010, 1526 e ss. In dottrina per l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 2500-septies, circa la trasformazione eterogenea di una società di capitali in azienda speciale vedi A. Cetra, Le trasformazioni ‘‘omogenee" ed ‘‘eterogenee'', in (diretto da) P. Abbadessa e G.B. Portale, Il Nuovo Diritto Societario, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 4, Utet 2007, 139 e ss., nonché ivi G. Palmieri, Autonomia e tipicità nella nuova trasformazione, 101 e ss.; A. Pietrobon, La trasformazione dalla s.p.a. pubblica all'azienda speciale del servizio idrico integrato, Azienditalia n. 4/2014, 291 e ss.; M. Bana, Le operazioni straordinarie in (a cura di) D. Di Russo, Manuale delle società pubbliche, Eutekne 2015 che afferma da un lato la possibile trasformazione, da società di capitali in azienda speciale, in caso di svolgimento di attività non economica, dall'altro l'impossibilità nel caso in cui la società trasformante abbia ad oggetto lo svolgimento di servizi pubblici a rilevanza economica per contrasto coll'art. 35, comma 8, della Legge n. 448/01 che impone la forma di società di capitali in caso di svolgimento di servizi pubblici a rilevanza economica).

Questa non è sicuramente la sede per individuare tutte le caratteristiche dell'azienda speciale ma, a ben vedere, non si comprenderebbe la creazione di società pubbliche, soprattutto nella forma in house o strumentali, che formalmente si presentano autonome ma sostanzialmente sarebbero una articolazione interna dell'Ente (in tal senso si vedano Condiglio di Stato, sent. 3 marzo 2008 in A.P. e Corte Cost., sent. 03/11/2010 n. 325 ripresa dalla sent. 13/03/2013 n. 46), quando oggi il nostro sistema pubblico contempla già da tempo la figura delle aziende speciali perfettamente sovrapponibili alle società in house o strumentali, nella consapevolezza che il limite territoriale è superabile attraverso la creazione di consorzi amministrativi fra enti locali e che il limite di cui all'art. 35, comma 8, della Legge n. 448/01 sembra superato.

Conclusioni

L'esame delle norme e delle interpretazioni in dottrina e giurisprudenza, sembrano portare alle seguenti sintetiche conclusioni:

  • le considerazioni che traggono origine dalla necessità di garantire il rispetto dei principi: di uguaglianza fra imprese partecipate pubbliche e private, di legittimo affidamento dei terzi che entrano in rapporto con la società nonché di libera concorrenza sul mercato e di certezza dei traffici giuridici appaiono definitive e non sembrano giuridicamente superabili;
  • le società pubbliche partecipate sono soggetti privati e pertanto rientrano nel perimetro delle disposizioni di diritto comune con la conseguenza di essere soggetti alle diverse procedure concorsuali oggi previste, quand'anche la forma assunta sia quella della società strumentale o in house.

Fino a quando non verrà emanata una norma che disciplini espressamente in tema di partecipate pubbliche, magari anche solo, o specificamente, quelle in house o strumentali, e non verrà definita una procedura che regoli il dissesto o la crisi, la ricostruzione proposta appare l'unica sostenibile.

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