Il reddito può essere definito come l'incremento che il capitale subisce per effetto della gestione. Se è riferito all'intera vita dell'azienda, si definisce "reddito globale" o "reddito totale"; se è riferito alle operazioni compiute durante un periodo amministrativo (l'anno solare, per convenzione), si definisce “reddito d'esercizio”. Il calcolo del "reddito" può essere fatto secondo due diversi procedimenti: il procedimento sintetico, dato dalla differenza fra capitale finale e capitale iniziale; il procedimento analitico, dato dalla differenza fra i ricavi e i costi di ciascun esercizio (in altri termini, secondo il principio della competenza economica).La determinazione analitica del reddito di ciascun esercizio è: astratta, perché per la sua determinazione la gestione dell'azienda, unitaria nel tempo, viene suddivisa fra più esercizi. Si spezzano cosi i legami (nel tempo e nello spazio) fra le operazioni di ciascun esercizio, solo per determinare il risultato di ciascun singolo periodo; ipotetica, perché dipende dalle ipotesi assunte dal redattore di bilancio circa la gestione futura; convenzionale, perché si basa su convenzioni, cioè su ipotesi largamente accettate dagli operatori (ad esempio, l'ipotesi della costanza del valore economico della moneta);nominale, perché derivando da astrazioni, ipotesi e convenzioni, la misura monetaria non e mai un dato effettivo. Tale reddito potrà essere positivo o negativo. Nel primo caso si parla di utile dell'esercizio, mentre nel secondo si parla di perdita dell'esercizio.
La destinazione dell'utile di esercizio: l'autofinanziamento
In linea di principio, l'utile di esercizio può essere destinato a riserva (si parla, in tal caso di utile “risparmiato”); ovvero assegnato ai soci (si parla, in tal caso di utile “distribuito”).
Nel primo caso, gli utili trattenuti alimentano il cosiddetto processo di autofinanziamento, inteso come capacità dell'impresa coprire in modo autonomo parte del fabbisogno finanziario generato dalla gestione.
L'autofinanziamento può essere inteso:
in senso stretto;
in senso lato.
In senso stretto, l'autofinanziamento si realizza con gli utili prodotti e non prelevati dall'imprenditore o dai soci. Poiché trattenuti all'interno dell'impresa, essi aumentano l'entità del capitale netto dell'impresa che serve a coprire parte del fabbisogno finanziario della stessa.
Si parla, a tale proposito, di capitale auto-generato, in quanto ricchezza prodotta all'interno dell'impresa a differenza del capitale di apporto, conferito dai soci al momento della costituzione della stessa o successivamente.
In senso lato, l'autofinanziamento si realizza attraverso le risorse monetarie create dalla gestione reddituale. Esso si misura:
in modo diretto, o analitico, attraverso la contrapposizione tra ricavi e costi “monetari” (che hanno generato, cioè, entrate e uscite monetarie);
in modo indiretto, o sintetico, sommando all'utile di bilancio i costi non monetari e sottraendo i ricavi non monetari (per “annullare”, gli effetti di quei costi e di quei ricavi che non hanno originato entrate e uscite monetarie).
La destinazione dell'utile di esercizio: l'assegnazione ai soci
Il riparto dell'utile nelle società di capitali è regolato da numerosi articoli del Codice Civile.
Innanzi tutto l'art. 2433 dispone il limite della distribuzione.
In particolare, “Non possono essere pagati dividendi sulle azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato”. Inoltre, “Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente”.
L'art. 2426, p. 5, dispone poi che: “… Fino a che l'ammortamento (dei costi di impianto e di ampliamento, dei costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale) non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l'ammontare dei costi non ammortizzati”.
L'art. 2430 disciplina, invece, l'accantonamento alla riserva legale: “Dagli utili netti annuali deve essere dedotta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire una riserva, fino a che questa non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale”.
In altri termini, ogni anno si deve accantonare nella riserva legale almeno il 5% degli utili, fino a che tale riserva non abbia raggiunto il 20% del capitale sociale.
Un regime proprio è previsto per la distribuzione di acconti sui dividendi.
L'art. 2433-bis, così come modificato dal D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, prevede, in particolare, che la distribuzione di acconti sui dividendi:
“… è consentita solo alle società il cui bilancio è assoggettato per legge a revisione legale dei conti, secondo il regime previsto dalle leggi speciali per gli enti di interesse pubblico”;
“… deve essere prevista dallo statuto ed è deliberata dagli amministratori dopo il rilascio da parte del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti di un giudizio positivo sul bilancio dell'esercizio precedente e la sua approvazione”;
“… non è consentita la distribuzione di acconti sui dividendi quando dall'ultimo bilancio approvato risultino perdite relative all'esercizio o a esercizi precedenti”.
La destinazione dell'utile di esercizio: casi particolari
Un regime particolare è previsto per la distribuzione di utili a soci promotori e fondatori e agli amministratori.
Per questi ultimi, da un lato, l'art. 2389 stabilisce che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo “… possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione”; dall'altro lato, l'art. 2432 prevede che le partecipazioni agli utili loro spettanti “… sono computate sugli utili netti risultanti dal bilancio, fatta deduzione della quota di riserva legale”.
Altra situazione specifica è prevista per la distribuzione di utili a soci possessori di azioni di risparmio.
In tal senso, riteniamo opportuno richiamare le disposizioni contenute nell'art. 145, c. 2 e c. 5 (Emissioni delle azioni) - Sezione IV - Azioni di risparmio ed altre categorie di azioni del Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza):
“2. L'atto costitutivo determina il contenuto del privilegio, le condizioni, i limiti, le modalità e i termini per il suo esercizio; stabilisce altresì i diritti spettanti agli azionisti di risparmio in caso di esclusione dalle negoziazioni delle azioni ordinarie o di risparmio”.
Riferimenti
Normativi
Art. 2426 c.c.
Art. 2430
Art. 2433 c.c.
Art. 2433 bis
Art. 145 T.U.F.
Prassi
OIC 28 – Patrimonio netto
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Sommario
La destinazione dell'utile di esercizio: l'autofinanziamento
La destinazione dell'utile di esercizio: l'assegnazione ai soci
La destinazione dell'utile di esercizio: casi particolari