Assicurazione con clausola di regolazione del premio: il caso del mancato pagamento

02 Ottobre 2014

Nell'ambito dei rapporti assicurativi in cui la misura quantitativa del rischio si presenta strutturalmente variabile e non è possibile stabilire l'importo del premio sin dalla decorrenza del contratto, si riscontra normalmente la clausola che disciplina la cosiddetta “regolazione del premio”. Con tale clausola i contraenti pattuiscono che una parte di premio venga pagata all'atto della stipulazione del contratto in misura fissa e la parte rimanente venga determinata alla fine del periodo assicurativo, secondo le variazioni intervenute durante il periodo di efficacia del contratto sugli elementi presi a riferimento per la determinazione del premio (ad esempio, il numero dei dipendenti dell'impresa gestita dall'assicurato o il volume di affari di quest'ultimo).
Mancato pagamento del premio assicurativo

Nell'ambito dei rapporti assicurativi in cui la misura quantitativa del rischio si presenta strutturalmente variabile e non è possibile stabilire l'importo del premio sin dalla decorrenza del contratto, si riscontra normalmente la clausola che disciplina la cosiddetta “regolazione del premio”. Con tale clausola i contraenti pattuiscono che una parte di premio venga pagata all'atto della stipulazione del contratto in misura fissa e la parte rimanente venga determinata alla fine del periodo assicurativo, secondo le variazioni intervenute durante il periodo di efficacia del contratto sugli elementi presi a riferimento per la determinazione del premio (ad esempio, il numero dei dipendenti dell'impresa gestita dall'assicurato o il volume di affari di quest'ultimo).

La ratio della clausola è di creare un meccanismo che consenta l'adeguamento del premio all'effettivo rischio che le parti non erano in grado di stabilire al momento della sottoscrizione del contratto o dell'inizio del periodo assicurativo.

Come efficacemente osservato da attento studioso (Rossetti, Il diritto delle Assicurazioni, vol. I: L'impresa di assicurazione, Il contratto di assicurazione in generale, 2011, 1004), ai fini della corretta operatività di tale meccanismo, è necessaria la leale collaborazione dell'assicurato, il quale ha l'obbligo di comunicare all'assicuratore i dati necessari per il conteggio del premio definitivo e di pagare la differenza di premio risultante dalla regolazione.

La natura giuridica dell'obbligo di tempestiva comunicazione e le conseguenze del relativo inadempimento sono state oggetto di soluzioni non univoche della giurisprudenza, chiamata in particolare a stabilire se l'anzidetto inadempimento comporti gli effetti che l'

art. 1901 c.c.

ricollega al mancato pagamento del premio assicurativo.

Sospensione dell'efficacia del contratto

L'

art. 1901 c.c.

sancisce, innanzitutto, che l'inadempimento all'obbligazione di pagamento del premio si riverbera sull'efficacia stessa del contratto di assicurazione: invero, se il contraente non paga il premio (unico) o la prima rata di premio stabilita dal contratto, l'assicurazione resta sospesa con effetto immediato fino alle ore ventiquattro del giorno in cui il pagamento è effettuato (comma 1). Se non sono pagati i premi successivi (per tali intendendosi sia i premi successivi al primo sia le rate di premio successive alla prima: Cass. Civ., sez. III, sent. 25 maggio 1998 n. 5194), l'assicurazione resta sospesa dalle ore ventiquattro del quindicesimo giorno dopo quello della scadenza (cosiddetto periodo di tolleranza: comma 2).

<span ">Il contratto è riattivato se il contraente paga “quanto da lui dovuto” ossia il premio rimasto insoluto, gli interessi moratori e le spese di lite sostenute dall'assicuratore per recuperare il premio (Cass. Civ., sez. I, sent. 9 dicembre 1976 n. 4575): in tal caso, il rapporto riprende con effetto ex nunc, dalle ore ventiquattro del giorno del pagamento (ciò, anche per il caso di inadempimento di premi successivi: Cass. Civ., sez. III, sent. 12 giugno 2006 n. 13545), e restano non indennizzabili i sinistri verificatisi durante il periodo della sospensione. Viceversa, il contratto si risolve se l'assicuratore non agisce per la riscossione del premio entro sei mesi dalla scadenza del termine di pagamento (v. infra).

Tale disciplina evidenzia la necessità che il pagamento del premio avvenga anticipatamente, quale condizione della sopportazione del rischio da parte dell'assicuratore, ed è coerente con la natura e la struttura del contratto di assicurazione, ove “l'equilibrio tecnico ed economico non si realizza nell'ambito di ogni singolo rapporto contrattuale, ma fra l'insieme dei rischi assunti dall'assicuratore nell'esercizio della sua attività e l'insieme dei premi dovuti dagli assicurati” e nel quale “l'assicuratore, assumendo l'alea del pagamento della somma corrispondente al danno causato dall'evento previsto, deve poter contare sul puntuale versamento dei premi alle scadenze pattuite da parte degli assicurati in guisa da essere in grado di costituire e mantenere il fondo tecnicamente calcolato per eseguire i suoi obblighi e per costituire le garanzie reali imposte dalle leggi di controllo a tutela dei diritti degli assicurati, leggi che necessariamente presuppongono il puntuale versamento dell'ammontare dei premi da parte degli assicurati” (C. cost. sent. 5 febbraio 1975 n. 18, con la quale sono state rigettate le eccezioni di illegittimità costituzionale della norma sollevate con riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.).

La disciplina della sospensione dell'assicurazione è espressione del principio generale inadimplenti non est adimplendum. Specie in controversie relative all'inadempimento dei premi successivi, la giurisprudenza di legittimità ha tratto significative conseguenze dal suddetto principio sul versante della valutazione del comportamento dell'assicuratore, negando, in applicazione dell'art. 1460 comma 2 c.c., la facoltà di rifiutare la garanzia assicurativa ove ciò sia contrario a buona fede, come nel caso in cui l'assicuratore abbia, sia pure tacitamente, manifestato la volontà di rinunciare alla sospensione, ad esempio tramite accettazione senza riserve del versamento tardivo del premio (Cass. Civ., sez. III, sent. 26 gennaio 2006 n. 1698; Cass. Civ., sez. III, sent. 19 dicembre 2006 n. 27132). Si segnala, peraltro, l'orientamento, comunque minoritario, ad avviso del quale “la rinunzia agli effetti della sospensione non può essere desunta dall'aver l'assicuratore accettato il tardivo pagamento del premio, ma deve manifestarsi con una specifica espressione di rinunzia da parte dell'assicuratore” (Cass. Civ., sez. III, sent. 1 luglio 2002 n. 9554).

Risoluzione del contratto

Come anticipato, qualora il mancato pagamento del premio si protragga nel tempo, esso non si riverbera più sull'efficacia della copertura assicurativa ma determina la risoluzione ex lege del contratto, a meno che l'assicuratore non agisca per la riscossione entro il termine di sei mesi dalla scadenza del premio o della rata (art. 1901, comma 3, c.c.).

Ratio della norma è l'esigenza di rendere meno gravosa la posizione dell'assicurato e di evitare che l'assicuratore, prolungatamente inerte nell'esercitare l'azione di recupero coattivo del premio, possa mantenere in vita un rapporto da cui egli trae esclusivo vantaggio, a fronte del perdurante obbligo dell'assicurato di pagare il premio pur dopo il decorso del periodo di tolleranza e nonostante la cessazione della copertura del rischio (Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, 1954, II, 377).

Per evitare la risoluzione, l'assicuratore ha l'onere, entro il termine semestrale anzidetto, “di iniziare il giudizio mediante notifica dell'atto di citazione all'assicurato, con la conseguenza che, qualora la società assicuratrice attivi il procedimento monitorio, non è sufficiente che, nel termine di sei mesi, sia presentato il relativo ricorso o che il decreto ingiuntivo sia stato concesso, essendo per converso necessario che, entro tale termine, l'ingiunzione venga notificata al destinatario” (Cass. Civ., sez. III, sent. 10 novembre 2003 n. 16830). Decorso il termine senza che ciò avvenga, il contratto è risolto ope legis: la risoluzione opera di diritto, è retroattiva (con effetti che retroagiscono non al giorno della scadenza del termine di pagamento ma allo spirare del termine quindicinale di tolleranza ex art. 1901, comma 2, c.c.: v. Rossetti, op. cit, 1019) e la sua rilevazione in giudizio non è affidata al potere esclusivo della parte, potendo essere effettuata in via officiosa dal giudice (Cass. Civ., sez. III, sent. 12 gennaio 2007 n. 494).

In caso di risoluzione, l'assicuratore ha comunque diritto al pagamento del premio relativo al periodo di assicurazione in corso ed al rimborso delle spese. Secondo l'orientamento per lungo tempo invalso in giurisprudenza, per “periodo di assicurazione in corso” deve intendersi “il lasso di tempo al quale le parti hanno rapportato e commisurato, in ogni singolo contratto di assicurazione, il premio relativo, indipendentemente dall'eventuale frazionamento, e, nella generalità, il periodo annuale: ne consegue che l'assicurato inadempiente, mentre si giova della risoluzione di diritto del contratto (diverso dall'assicurazione sulla vita) qualora l'inerzia dell'assicuratore si protragga oltre i sei mesi dal giorno della scadenza del premio e della rata, è tenuto a corrispondere l'intero premio annuale fatto valere dall'assicuratore nel termine di prescrizione previsto dall' art. 2952 c.c., anche se ne sia stato convenuto il pagamento in due o più rate” (cfr. ex multis Cass. Civ., sez. I, sent. 22 luglio 1992 n. 8863; nello stesso senso in dottrina, Donati, op. cit., 363). Da ultimo, la Suprema Corte ha invece statuito che “il periodo di assicurazione in corso - relativamente al quale è dovuto il pagamento del premio, nonostante l'avvenuta risoluzione del contratto - è soltanto quello che sarebbe stato coperto dalla garanzia assicurativa se il premio non assolto fosse stato corrisposto”, con la conseguenza che, ove il contratto abbia durata annuale ed il pagamento del premio sia stato rateizzato in periodi più brevi, il periodo in corso è quello più breve coperto dalla singola rata” (Cass. Civ., sez. III, sent. 18 novembre 2010 n. 23264, annotata in Resp. Civ., Anno 2012, fasc. 12, pag. 908 e ss.).

La clausola di regolazione del premio

La clausola che prevede il pagamento del premio a regolazione differita costituisce una deroga, favorevole all'assicurato, al principio sopra esposto dell'anticipazione del premio. In virtù di essa, infatti, il pagamento della parte di premio “variabile” viene differito ad un momento successivo alla scadenza del periodo assicurativo. Nondimeno, l'assicurato è tenuto a comunicare all'assicurazione gli elementi mutevoli di regolazione del premio, al fine di consentirne l'esatta e definitiva determinazione: la corrispettività delle prestazioni è garantita solo laddove l'ammontare del premio rispecchi il rischio concretamente assunto dall'assicuratore, il quale intanto potrà apprezzarne esattamente l'entità in quanto venga posto nelle condizioni di conoscere tutti quei fattori che, nel caso specifico, possano aumentare o diminuire il rischio medesimo. L'informazione sul cosiddetto stato del rischio, tanto rilevante già nel momento genetico del rapporto contrattuale (v. artt. 1892 e 1893 c.c.) ed in sua costanza (artt. 1896, 1897 e 1898 c.c.), assurge, nelle polizze con regolazione del premio, ad ineludibile strumento di realizzazione dell'equilibrio contrattuale.

La legge non disciplina le conseguenze della omessa comunicazione dei dati o dell'omesso pagamento del conguaglio eventualmente dovuto, di talché la giurisprudenza, ora attingendo all'analogia legis ora ricorrendo all'analogia iuris, ha individuato soluzioni diverse in ordine al problema della qualificazione della clausola e della individuazione delle sanzioni da applicarsi in caso di violazione degli obblighi dalla stessa previsti.

La regolazione come elemento accessorio del premio

La validità della clausola è stata affermata dalla Corte di Cassazione in una oramai risalente decisione (Cass. Civ., sez. III, sent. 24 novembre 1970 n. 2495), che, evidenziando la persistente natura unitaria ed infrazionabile del premio, ha ritenuto che il dovere di trasmettere all'assicuratore i dati variabili rappresenti un ben preciso obbligo dell'assicurato, in quanto attinente intimamente all'adempimento dell'obbligo di pagamento: la regolazione del premio, essendone un accessorio, ne segue le sorti e la clausola che lo prevede è in armonia con i principi indicati nell'art. 1901 c.c..

Tale orientamento si è consolidato nella successiva giurisprudenza di legittimità, che, rimarcando che la comunicazione dei dati variabili è un elemento accessorio rispetto al premio assicurativo, ha ritenuto che la relativa omissione ponga l'assicuratore nella condizione di non essere in grado di quantificare l'esatto ammontare del premio ed equivalga al mancato pagamento di una parte di questo, la cui sanzione è costituita dalla sospensione della garanzia assicurativa da parte dell'assicurazione (cfr., per le più recenti, Cass. Civ., sez. III, sent. 6 maggio 2004 n. 8609; Cass. Civ., sez. III, sent. 19 dicembre 2003 n. 19561). Resta salva la valutazione del comportamento dell'assicuratore alla stregua della regola della buona fede ai sensi dell'art. 1460, comma 2, c.c. (cfr. Cass. Civ. sent. n. 13344/2004 cit., relativa ad una fattispecie nella quale l'assicuratore, dopo avere assunto, pur senza esservi obbligato, l'iniziativa di inviare periodicamente all'assicurato un modulo da compilare sul quale riportare i dati necessari per il conguaglio del premio, aveva improvvisamente interrotto tale prassi).

In tale prospettiva, è stata inoltre ritenuta la piena liceità della clausola – assai ricorrente nelle polizze per i contratti poliennali in corso – di sospensione della garanzia assicurativa per l'omissione di detta comunicazione, secondo i principi di cui all'art. 1901 c.c., in considerazione del tradursi dell'omissione medesima nell'inadempimento dell'obbligo di versamento del premio per l'indicata quota variabile (v. Cass. Civ., sez. I, sent. 11 maggio 1994 n. 4596).

La regolazione quale clausola autonoma

Da tale consolidato orientamento, la Corte di Cassazione si è discostata con una sentenza Cass. 28 febbraio 2005, n. 3370, che ha enunciato due principi: innanzitutto, che, nel contratto di assicurazione con clausola di regolazione del premio, quello della comunicazione dei dati variabili non è un obbligo complementare o accessorio che segue le sorti del mancato pagamento del premio iniziale, perché questo è stato già pagato e perché la comunicazione dei dati variabili ed il pagamento del premio definitivo potrebbero non essere dovuti in caso di saldo negativo del computo; inoltre, che la violazione dell'obbligo della comunicazione è estranea alla disciplina dell'art. 1901 c.c., comma 1. La decisione, in particolare, dopo avere premesso che la clausola di regolazione del premio si inserisce tra quelle che richiedono a pena di inefficacia l'approvazione specifica per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c., comma 2, in relazione all'art. 1342 c.c., comma 2, ha affrontato il problema dei rapporti che corrono fra la sospensione della garanzia assicurativa indicata dall'art. 1901 c.c. e quella nascente da clausola convenzionale di regolazione del premio ed ha ritenuto che le due ipotesi siano diverse e non riconducibili ad unità. Presupposto della prima sarebbe il mancato pagamento del premio; presupposto della sospensione convenzionale, invece, sarebbe l'avvenuto pagamento della parte fissa di premio assicurativo e la mancata comunicazione degli elementi variabili necessari a determinare la quota integrativa del premio stesso. Quanto alla ritenuta natura complementare ed accessoria dell'obbligazione di pagamento del premio, la sentenza ha dichiarato che si tratta di una forzatura inaccettabile sul piano logico e giuridico, perché tra la comunicazione ed il pagamento del premio non esiste una necessaria e costante correlazione, poiché, in assenza di variazioni, la prima potrebbe non comportare alcun onere economico per il contraente.

L'inadempimento dell'obbligazione di comunicare gli elementi variabili si configura, infatti, come violazione di un diverso obbligo pattizio, estraneo al modello dell'art. 1901 c.c.

Il contrasto giurisprudenziale così originatosi è stato composto dalle Sezioni Unite, che, nell'aderire all'impostazione data al problema dalla sentenza Cass. S.U., n. 3370/2005 da ultimo citata, hanno in particolare sancìto che la conoscenza degli elementi variabili conseguita dall'assicuratore fa nascere tra le parti un rapporto giuridico che può determinare una posizione debitoria o creditoria dell'assicurato, secondo lo scarto in più o in meno dell'ipotesi preventiva: nel secondo caso, la mancata comunicazione dei dati variabili non comporta alcun inadempimento all'obbligo di pagare il premio assicurativo, nel senso ipotizzato dall'art. 1901 c.c., e non conduce alla sospensione della garanzia assicurativa. Viceversa, nel caso di eccedenza del dato variabile, il comportamento dell'assicurato può risolversi nell'inadempimento di un obbligo convenzionalmente stabilito, ma esso deve essere valutato in concreto con il parametro della buona fede da lui tenuta nell'esecuzione del contratto; il che è come dire che, per esprimere un giudizio di inadempimento, è necessario individuare quali siano i suoi effettivi doveri giuridicamente rilevanti, tenendo conto anche del tempo in cui il suo comportamento doveva essere tenuto (Cass. S.U. sent. 28 febbraio 2007 n. 4631).

In tale mutato approccio ermeneutico, la violazione dell'obbligo di comunicazione non comporta l'automatica sospensione della garanzia, potendo giustificare un tale effetto, così come la risoluzione del contratto, solo in base ai principi generali in tema di importanza dell'inadempimento e di buona fede nell'esecuzione della prestazione.

La buona fede quale misura del comportamento dell'assicurato

Le coordinate ermeneutiche tracciate dalle Sezioni Unite sono state confermate dalla successiva giurisprudenza di merito (App. Firenze 2 marzo 2006, Commentario Breve al diritto delle assicurazioni, Volpe Putzolu, 2013, 54) e di legittimità (cfr. Cass. Civ. sez. III sent. 11 giugno 2010 n. 14065; Cass. Civ., sez. III, sent. 8 aprile 2010 n. 8368), pur dovendosi dare atto della diversità che pare emergere in ordine alla qualificazione ed alla disciplina giuridica della clausola contrattuale di sospensione: questa, invero, secondo talune pronunce, avrebbe natura di clausola vessatoria, invalida se non specificamente approvata per iscritto (cfr. Cass. Civ. sent. n. 8368/2010 cit., che ha ritenuto applicabile l'art. 1341, comma 2, c.c. per l'ipotesi in cui “sia pattiziamente predeterminato l'effetto sospensivo dell'obbligazione dell'assicuratore di corrispondere l'indennizzo per il caso in cui l'assicurato non paghi l'eventuale differenza di premio da versare a conguaglio oppure ometta di comunicare i dati necessari per la determinazione variabile del premio”; negli stessi termini, cfr. Cass. Civ., sez. III, sent. 14 luglio 2009 n. 16394); secondo altre pronunce, invece, la clausola contrattuale de qua, dovrebbe esser considerata nulla ai sensi dell'art.1932 c.c., in quanto, estendendo la sospensione della copertura assicurativa ad un caso non espressamente considerato dall'art. 1901 c.c., introduce una deroga alla disciplina di diritto comune in senso sfavorevole all'assicurato (Cass. Civ. sez. 6/3 ord. 13 dicembre 2011 n. 26783; Cass. Civ. sez. III sent. 19 dicembre 2013 n. 28472).

Nel concreto, può configurarsi una violazione del dovere di leale e onesta cooperazione tutte le volte in cui la condotta attiva od omissiva dell'assicurato generi un'alterazione del sinallagma, compromettendo la corrispettività tra premio e rischio: in questa prospettiva, può ritenersi che l'omessa comunicazione rilevi ai fini della valutazione ex art. 1460, comma 2, c.c., quando riguardi una variazione degli elementi mutevoli comportante, a titolo di conguaglio, la necessità di corrispondere una non trascurabile quota del premio. Ad esempio, si ritiene che possano integrare forti variazioni dell'elemento variabile quelle riguardanti, nella polizza infortuni di un'impresa, un numero proporzionalmente non irrilevante di dipendenti oppure, in caso di assicurazione della responsabilità civile verso terzi, le significative variazioni afferenti il fatturato, insomma ipotesi in cui pare prospettarsi una vera interruzione della corrispettività fra la quota di premio fissa inizialmente corrisposta dall'assicurato in forza della previsione di rischio operata al momento della sottoscrizione del contratto ed il rischio concretamente sopportato dall'assicuratore in costanza di rapporto. In tali casi, pare ipotizzabile che l'assicuratore rifiuti legittimamente il pagamento dell'indennizzo allegando la violazione, da parte dell'assicurato, dell'obbligo di comunicazione.

Eliminato ogni automatismo, si tratta in effetti di “accertare in primo luogo se siano effettivamente intervenute, nel periodo considerato, variazioni suscettibili di comunicazione; in secondo luogo se esse siano state così rilevanti da avere comportato un'alterazione del rapporto di adeguatezza fra rischio e premio, di tale entità da giustificare la totale sospensione della garanzia, per effetto dell'eccezione di inadempimento, o se invece l'eccezione sia da considerare proposta in violazione dei principi di buona fede nell'esecuzione del contratto” (cfr. Cass. sent. n. 28472/2013).

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