Il nuovo regime risarcitorio dei licenziamenti alla luce del jobs act

Francesco Meiffret
03 Settembre 2015

Il presente contributo mira a fornire un quadro generale dell'istituto del licenziamento alla luce dell'entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dal D.lgs. n. 23/2015. Verrà effettuata, quindi, un'analisi delle novità e dei punti critici della nuova normativa anche mediante un raffronto con quanto previsto dall'art. 18 L. n. 300/1970 e dell'art. 8 della L. n. 604/1966 che continuano a regolare le conseguenze sanzionatorie per i licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015.
Inquadramento

Per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, così come per coloro che termineranno il loro apprendistato o vedranno la conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato a partire da tale data, il D.lgs. n. 23/2015 sostituisce, a seconda delle dimensioni dell'azienda, le conseguenze sanzionatorie previste dall'art. 18 L. n. 300/1970 o dall'art. 8 L. n. 604/1966 nel caso di licenziamento dichiarato illegittimo. La nuova disciplina dei licenziamenti si applica inoltre, ai sensi dell'art. 1, comma 3, D.lgs. n. 23/2015, anche a quelle imprese che a seguito di nuove assunzioni raggiungano i requisiti occupazionali stabiliti dell'art. 18, commi 8 e 9, L. n. 300/1970. Per tutti gli altri lavoratori, quindi, si applicano le tutele, a seconda delle dimensioni aziendali, previste dall'art.18, L. n. 300/1970 o dall'art. 8, L. n. 604/1966.

Così come nella precedente riforma Fornero (L. n. 92/2012), non sono state modificate le ragioni per le quali il datore di lavoro può intimare il licenziamento, ovvero sussistenza di una giusta causa (in sintesi ex art. 2119 c.c. una «causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto»), di un giustificato motivo soggettivo (notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore) o di un giustificato motivo oggettivo (il recesso non dipende da comportamenti del lavoratore, bensì ragioni inerenti l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa), ma le conseguenze sanzionatorie del licenziamento, alcuni elementi della procedura nonché l'introduzione di un istituto premiale volto a favorire la risoluzione consensuale del rapporto.

Per quanto riguarda la tutela reintegratoria viene notevolmente ridotto il suo campo di applicazione che investe i licenziamenti orali, nulli e quelli intimati per ragioni di disabilità fisica o psichica del lavoratore. L'unico altro caso in cui il Giudice può ordinare la reintegrazione, a condizione che l'azienda soddisfi i requisiti dimensionali stabiliti dall'art. 18, commi 8 e 9, L. n. 300/1970, si verifica quando risulti insussistente il fatto materiale contestato al lavoratore.

Nelle altre ipotesi, incluso il licenziamento collettivo, è prevista la tutela indennitaria crescente in maniera proporzionale all'anzianità di servizio maturata i cui importi minimi e massimi sono ridotti nel caso di lavoratori di aziende per le quali si applica la tutela obbligatoria.

A livello procedurale per i nuovi assunti viene eliminato il tentativo di conciliazione obbligatorio nei casi di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo previsto nell'art. 7, L. n. 604/1966 e abrogato il c.d. "rito Fornero" per l'impugnazione del licenziamento.

Infine in un'ottica deflazionistica viene istituita l'offerta conciliativa: il datore di lavoro entro i termini per l'impugnazione stragiudiziale può offrire una somma al lavoratore tramite assegno circolare che non costituisce reddito imponibile. Se la somma viene accettata il lavoratore decade dalla possibilità di impugnare il licenziamento.

CAMPO DI APPLICAZIONE DELLE TUTELE PREVISTE DAL D.LGS N. 23/2015

categorie di lavoratori

Operai, impiegati o quadri

contratto a tempo indeterminato

Assunti con contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015

contratto a tempo derminato

Nel caso di conversione a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo

Contratto di apprendistato

Nel caso di conversione a contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015

Dipendenti di aziende che non raggiungono i requisiti dimensionali stabiliti dall'art. 18,L. n. 300/1970 e assunti prima del 7 marzo

Nel caso di nuove assunzioni che comportano il raggiungimento dei requisiti dimensionali stabiliti dall'art. 18, L. n. 300/1970

Dipendenti assunti dopo il 7 marzo in imprese di piccole dimensioni

Si applicano le tutele previste dall'art. 9 del Dlgs n. 23/2015

Il licenziamento discriminatorio, nullo o orale

Innanzitutto pare opportuno fornire una definizione di licenziamento discriminatorio, nullo e orale.

La fattispecie licenziamento discriminatorio si ricava tramite la lettura sinottica dell'art. 4,L. n. 604/1966 e dell'art. 15, L. n. 300/1970. La prima norma citata prevede la nullità del licenziamento intimato a causa delle opinioni politiche, della fede religiosa, dell'appartenenza al sindacato del lavoratore. Tale definizione è stata ripresa e sviluppata successivamente dall'art. 15, L. n. 300/1970 che sancisce la nullità dei licenziamenti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua e di sesso, di handicap, di età o basato sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.

Il licenziamento discriminatorio costituisce uno dei pochi casi - per lo meno prima dell'entrata in vigore del D.lgs n. 23/2015 - in cui spetta al lavoratore dimostrare gli elementi costitutivi della fattispecie (v. Cass. civ., sez. lav., 5 agosto 2010, n. 18283). Il lavoratore deve provare che l'intento discriminatorio è determinante e il nesso causale tra il licenziamento e la sua condotta e/o le sue opinioni.

Il licenziamento è nullo nei casi espressamente previsti dalla legge o nei casi derivanti dall'applicazione delle norme generali sui contratti e sugli atti unilaterali.

I casi espressamente previsti sono quelli stabiliti dal testo unico sulla tutela della maternità e paternità (v. art. 54, D.lgs. n.151/2001: è nullo il licenziamento intimato al padre o alla madre nel periodo compreso tra il concepimento e l'anno di vita del bambino, come pure il licenziamento intimato al padre o alla madre a seguito della presentazione della richiesta di congedo per la malattia del bambino o per la fruizione del congedo per adozione o affidamento sino a un anno da quando l'adottato è stato immesso nel nucleo familiare) e quelli previsti a tutela del matrimonio (art. 35, D.lgs. n. 151/2001: è nullo il licenziamento a partire dal giorno delle pubblicazioni del matrimonio sino all'anno successivo dalla data della celebrazione).

Oltre ai casi espressamente previsti dalla legge ve ne sono altri ricavabili dai principi generali come il licenziamento determinato da motivo illecito e quello in frode alla legge.

Il licenziamento per motivo illecito trova una copertura normativa nell'art. 1345 c.c. il quale sancisce la nullità del contratto quando è stato stipulato dai contraenti con un motivo illecito determinante. L'art. 1324 c.c. stabilisce l'applicabilità delle norme generali sui contratti anche agli atti unilaterali, categoria all'interno della quale rientra il licenziamento.

Il licenziamento in frode alla legge si manifesta quando la causa consiste nell'eludere l'applicazione di una norma imperativa (un esempio può essere il licenziamento intimato prima del trasferimento dell'azienda seguita dall'immediata riassunzione da parte dell'azienda cessionaria).

Il licenziamento orale consiste nella comunicazione non scritta del licenziamento.

È opportuno subito precisare che sia nella disciplina dell'art. 18 St. Lav. sia in quella prevista dall'art. 2, D.lgs. n. 23/2015 la tutela reintegratoria, nei casi di licenziamento, nullo, discriminatorio o orale, si applica indipendentemente dal numero degli occupati nell'azienda.

Dunque la fattispecie di licenziamento discriminatorio, nullo e orale è quella che - almeno in base ad una prima lettura - sembrerebbe non aver subito modifiche rispetto a quanto precedentemente stabilito nell'art. 18, commi 1 e 3, L. n. 300/1970. Infatti, in base all'art. 2, D.lgs. n. 23/2015 le conseguenze in questo caso sono pressoché le medesime: il giudice, acclarato il fatto che il licenziamento è stato intimato oralmente, è nullo o discriminatorio, dispone la reintegrazione del lavoratore. Oltre alla reintegrazione, il lavoratore ha diritto alle mensilità non corrisposte dalla data del licenziamento a quella dell'effettiva riassunzione dedotto quanto egli ha percepito nell'eventuale svolgimento di un nuovo lavoro. Il parametro per quantificare il risarcimento è l'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. In ogni caso tale indennità non può essere inferiore a 5 mensilità come sopra individuate. Su quanto ottenuto a titolo risarcitorio il lavoratore ha diritto al versamento dei contributi. Sempre in analogia con quanto stabilito dall'art.18, L. n. 300/1970 è previsto che l'ordine di reintegrazione decada allorché il lavoratore non ricominci a lavorare entro 30 giorni dall'invito del datore a riprendere l'attività lavorativa. Tuttavia, sempre nel medesimo termine di 30 giorni è prevista la facoltà per il lavoratore di richiedere, in luogo della reintegrazione, un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR non assoggettata all'imposizione contributiva.

Come anticipato, ad una prima disamina del decreto, sembrerebbero non sussistere differenze di trattamento tra i lavoratori assunti prima del 7 marzo e quelli assunti a partire da tale data.

Tuttavia, il campo di applicazione della c.d. tutela reintegratoria piena per i nuovi lavoratori potrebbe essere più ristretto. A differenza dell'art. 18,L. n. 300/1970 non viene indicato «il motivo illecito» mentre, dall'altra parte, nell'art. 2, D.lgs n. 23/2015 la tutela piena si applica solamente ai casi «espressamente» previsti dalla legge. Tali elementi potrebbero indurre a ritenere che il Legislatore abbia voluto escludere dal campo di applicazione della tutela reale piena i casi di licenziamento ritorsivo (ovvero comminato a seguito di legittime richieste del lavoratore), quello in frode alla legge o l'abuso del diritto in quanto fattispecie non espressamente normativizzate.

Una seconda differenza - non di poco conto - è il parametro sul quale viene calcolato il risarcimento. Il D.lgs n. 23/2015 abbandona la nozione onnicomprensiva di «l'ultima retribuzione globale di fatto» per prendere in considerazione «l'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo di TFR» andando, quindi, a ridurre la quantificazione del risarcimento.

Tipi di tutele

A)

Prima del 7 marzo 2015

B)

Dal 7 marzo 2015

Tutela reale forte

  • reintegrazione o, a scelta del lavoratore, indennità sostitutiva pari a 15 mensilità non sottoposta a contribuzione previdenziale;
  • pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quella della riassunzione. A tale indennità viene dedotto l'aliunde perceptum ma, in ogni caso, non può essere inferiore alle 5 mensilità;
  • condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali senza l'applicazione di sanzioni
  • Reintegrazione o indennità sostitutiva pari a 15 mensilità non sottoposta a contribuzione previdenziale;
  • pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dalla data del licenziamento a quella della riassunzione. A tale indennità viene dedotto l'aliunde perceptum ma, in ogni caso, non può essere inferiore alle 5 mensilità;
  • Reintegrazione o indennità sostitutiva pari a 15 mensilità non sottoposta a contribuzione previdenziale;
  • pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dalla data del licenziamento a quella della riassunzione. A tale indennità viene dedotto l'aliunde perceptum ma, in ogni caso, non può essere inferiore alle 5 mensilità;
  • condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali

Tutela reale debole

  • reintegrazione o indennità sostitutiva pari a 15 mensilità a scelta del lavoratore e senza il pagamento dei contributi;
  • risarcimento pari al massimo a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto dedotto l'aliunde perceptum e l'aliunde percipiendum e senza un minimo;
  • pagamento dei contributi previdenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva riassunzione, maggiorato degli interessi legali ma senza applicazione di sanzioni.
  • reintegrazione o indennità sostitutiva pari a 15 mensilità a scelta del lavoratore e senza il pagamento dei contributi;
  • risarcimento pari al massimo a 12 mensilità dell'ulyima retribuzione utile per il calcolo del TFR dedotto l'aliunde perceptum e l'aliunde percipiendum e senza un minimo;
  • pagamento dei contributi previdenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva riassunzione, maggiorato degli interessi legali ma senza applicazione di sanzioni.
  • reintegrazione o indennità sostitutiva pari a 15 mensilità a scelta del lavoratore e senza il pagamento dei contributi;
  • risarcimento pari al massimo a 12 mensilità dell'ulyima retribuzione utile per il calcolo del TFR dedotto l'aliunde perceptum e l'aliunde percipiendum e senza un minimo;
  • pagamento dei contributi previdenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva riassunzione, maggiorato degli interessi legali ma senza applicazione di sanzioni.

Tutela indennitaria forte

  • minimo di 12 mensilità e massimo di 24 mensilità;
  • parametro di riferimento ultima retribuzione globale di fatto;
  • I criteri di determinazione dell'indennità sono numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'attività, comportamento e condizioni delle parti.
  • indennità onnicomprensiva non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio;
  • l'indennità è compresa tra un minimo di 4 mensilità e un massimo di 24 mensilità.
  • indennità onnicomprensiva non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio;
  • l'indennità è compresa tra un minimo di 4 mensilità e un massimo di 24 mensilità.

Tutela indennitaria debole

  • Risarcimento onnicomprensivo con un minimo 6 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
  • L'entità dell'indennizzo viene parametrato sulla gravità della violazione formale o procedurale
  • Minimo di 2 mensilità e massimo di 12 mensilità;
  • aumento di una mensilità per ogni anno di anzianità di servizi.
  • Minimo di 2 mensilità e massimo di 12 mensilità;
  • aumento di una mensilità per ogni anno di anzianità di servizi.

caso

Assunti sino al 6 marzo 2015

Assunti dal 7 marzo 2015

Licenziamento nullo discriminatorio e orale indipendentemente dal numero dei lavoratori presenti in azienda

  • Tutela reintegratoria forte (vd colonna A)
  • Tutela reintegratoria forte (vd colonna B)
Tutela reintegratoria forte (vd colonna B)

Licenziamento per motivo illecito e altri casi di nullità

Come sopra

Incertezza (tutela reintegratoria colonna B o tutela indennitaria colonna B?) dal momento che la nuova disciplina non richiama la fattispecie del motivo illecito determinante e utilizza l'espressione “altri casi espressamente previsti dalla legge”

Il licenziamento per disabilità fisica o psichica

Rispetto all'art. 18, comma 7, della L. n. 300/1970, nell'ultima parte dell'art. 2, D.lgs. n. 23/2015 non è prevista la reintegrazione nel caso non sia stato superato il periodo comporto (periodo determinato dalla legge o dai CCNL entro il quale il lavoratore, assente per malattia, ha diritto di conservare il posto) e venga intimato il licenziamento. Infatti la norma prevede espressamente l'applicazione della tutela reintegratoria nel caso in cui sia accertato il difetto di giustificazione «per motivo consistente nella disabilità fisica e psichica del lavoratore anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3 della L., 12 marzo 1999, n. 68». Quindi nel caso di licenziamento illegittimo perché intimato prima del superamento del periodo di comporto troverebbe applicazione la tutela indennitaria forte prevista nell'art. 3, D.lgs n. 23/2015. Una possibile interpretazione volta ad estendere la tutela reintegratoria anche a quest'ultimo caso si potrebbe basare sull'avverbio “anche” utilizzato dal Legislatore prima di citare la L. n. 68/1999 che renderebbe quest'ultima ipotesi soltanto esemplificativa e non tassativa. Un'ulteriore argomentazione la si potrebbe ricavare dalla natura imperativa dell'art. 2110 c.c. che imporrebbe, quindi, la tutela reintegratoria nel caso di sua violazione.

Le tutele nei casi in cui il giudice accerti l'assenza del motivo oggettivo consistente nell'idoneità fisica o psichica del lavoratore risultano essere accresciute. Infatti l'art. 18, St. lav., prevede la tutela reintegratoria ridotta, ovvero il lavoratore ha diritto alla reintegrazione del posto (o in alternativa a sua scelta un'indennità risarcitoria pari a 15 mensilità) e un risarcimento in ogni caso non superiore alle 12 mensilità (indipendentemente dal fatto che il periodo tra il licenziamento e l'effettiva reintegrazione sia superiore) e senza un limite minimo oltre al fatto che a tale somma deve essere detratto il c.d. aliunde perceptum (quanto ha ottenuto svolgendo altre attività lavorative)o aliunde percipiendum (ovvero quanto avrebbe potuto percepire attivandosi diligentemente per la ricerca di un altro posto di lavoro). Per i nuovi assunti, invece, si applica la tutela reintegratoria piena descritta nel precedente paragrafo.

Infine, in forza del mancato richiamo nell'art. 9 del decreto -che disciplina le conseguenze sanzionatorie nel caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese- del comma 4 dell'art. 2 la tutela reintegratoria per inesistente inidoneità (e forse, come si è evidenziato, anche per il mancato superamento del periodo di comporto) viene estesa a tutti i lavoratori indipendentemente dai requisiti dimensionali dell'azienda a differenza di quanto viene stabilito nell'art 18, comma 5, L. n. 300/1970.

Licenziamento per disabilità fisica o psichica

Prima del 7 marzo 2015

Dal 7 marzo 2015

Requisiti dimensionali azienda

Si applica solo alle aziende che superino i requisiti dimensionali previsti dall'art. 18, commi 8 e 9, St. lav.

Si applica a tutte le aziende indipendentemente dal numero di impiegati a causa del mancato richiamo nell'art. 9 D.lgs n. 23/2015 del comma 4, art. 2

Idoneità fisichica o psichica ai sensi della l. 12 marzo 1999, n. 68

tutela reintegratoria ridotta (vd colonna A)

tutela reintegratoria ridotta (vd. colonna B)

Mancato superamento del periodo di comporto (art. 2110 c.c.)

tutela reintegratoria ridotta (vd colonna A)

Incertezza: possibile applicazione della tutela reintegratoria forte perchè l'art. 2110 c.c. è una norma imperativa e perché l'avverbio “anche” prima dell'indicazione della L. n.68/1999 lascia intendere che abbia natura esemplificativa

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nelle imprese con più di 15 dipendenti

Per i nuovi assunti nelle imprese che soddisfano i requisiti dimensionali stabiliti dall'art. 18, commi 8 e 9, L. n. 300/1970, qualora venga sancita l'illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo si applica la sola tutela indennitaria crescente (da qui la definizione "contratto a tutele crescenti") con l'aumentare dell'anzianità di servizio.

Il limite minimo dell'indennità è pari a 4 mensilità, quello massimo 24. Per ogni anno di anzianità è previsto un aumento di 2 mensilità, motivo per cui il lavoratore può aspirare alla tutela massima solo nel caso abbia raggiunto dodici anni di anzianità. L'art. 3, D.lgs n. 23/2015 precisa che l'indennità non è assoggetta a contribuzione previdenziale mentre l'art. 8 determina i criteri di calcolo per le frazioni d'anno di anzianità.

Le differenze rispetto all'art. 18 St.lav. sono tre:

  1. la prima è che l'indennizzo minimo non è più 12, bensì 4 mensilità;
  2. la seconda è che l'aumento dell'indennità è esclusivamente parametrato all'anzianità. Spariscono, infatti, gli altri criteri, ovvero numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'attività economica, comportamento e condizioni delle parti. Si evidenzia una specifica volontà del Legislatore volta a eliminare il potere discrezionale del giudice il quale con la nuova disciplina è tenuto a quantificare l'indennizzo mediante un mero criterio matematico.
  3. L'ultima - e non per importanza - è la completa eliminazione della tutela reintegratoria.

L'art. 18, L. n. 300/1970, stabilisce la possibilità della reintegrazione qualora venga accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico (ad esempio il lavoratore licenziato con la motivazione che viene soppresso il reparto A dell'azienda ma egli lavora nel reparto C). Appartiene alla discrezionalità del giudice se applicare o meno la tutela reintegratoria. Infatti l'utilizzo della locuzione «può altresì applicare» presuppone che il Giudice non sia costretto ad ordinare la reintegrazione.

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

Assunti prima del 7 marzo 2015

Assunti dal 7 marzo 2015

Tentativo di conciliazione

Obbligatorietà del tentativo di conciliazione presso la DTL

Scompare l'obbligo del tentativo di conciliazione presso la DTL

Tutela reintegratoria

Nel caso in cui sussista la manifesta insussitenza del fatto contestato il giudice puo' ordinare la reintegrazione (tutela reintegratoria debole vd colonna A)

Non esiste la reintegrazione in nessun caso

Tutela indennitaria

In tutti gli altri casi di illegittimità del licenziamento si applica la tutela indennitaria forte (vd colonna A)

Tutela indennitaria forte (vd colonna B)

Il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo

Ad una prima analisi, l'art. 3, comma 2, D.lgs n. 23/2015 - che disciplina le conseguenze sanzionatorie nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa illegittimo - sembra essere una norma di applicazione meno incerta rispetto ai commi 4 e 5, art. 18, L. n. 300/1970.

Infatti la sanzione della reintegrazione (r)esiste solamente nel caso in cui non sussiste «il fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto al quale rimane estraneo ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento». Quindi, la reintegrazione può essere disposta nel solo caso in cui risulti provato che il fatto non è stato commesso dal lavoratore eliminando qualsiasi margine di discrezionalità giudiziaria rispetto alla gravità di quanto egli ha commesso.

La locuzione "materiale" pone fine alla disputa tra fatto materiale e fatto giuridico. Come rilevato dalla sentenza Cass. n.23669/2014, dall'analisi sull'esistenza del fatto sono escluse valutazioni circa l'elemento soggettivo e la gravità dell'adempimento. Detta sentenza supera quel diverso orientamento, sviluppatosi nei tribunali di merito (cfr. Trib. Bologna, 15 ottobre 2012), che riteneva che il Legislatore, nel comma 4, art. 18, L. n. 300/1970, si riferisse alla nozione di fatto giuridico in base alla quale il Giudice era tenuto a considerare sia l'elemento oggettivo sia quello soggettivo nella condotta del lavoratore.

Quindi, per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, la reintegrazione per i licenziamenti "disciplinari" sarà possibile solo nel caso in cui risulti che il fatto contestato non è stato commesso. Tuttavia, la norma potrebbe creare una serie d'interrogativi nella sua applicazione. Primo fra tutti è l'onere probatorio. L'art. 5, L. n. 604/1966 pone a carico del datore l'onere di dimostrare la legittimità del licenziamento. Dall'altra parte, tuttavia, troviamo nel comma 2, art. 3, D.lgs n. 23/2015 l'espressione «direttamente dimostrato in giudizio l'insussistenza del fatto contestato» che lascia presupporre che spetti al lavoratore fornire la prova negativa di non aver commesso quanto gli viene addebitato. L'avverbio "direttamente" potrebbe inoltre comportare l'esclusione dell'utilizzo delle presunzioni, tipica prova indiretta.

La norma sarà, inoltre, di difficile applicazione quando la contestazione riguarderà più fatti imputati al lavoratore qualora quest'ultimo dimostri solamente di non averne compiuti alcuni. Analizzando l'intero articolato del decreto è presumibile che anche in questo caso la sanzione sia solamente indennitaria poiché, in base al comma 2, art. 3, D.lgs n. 23/2015, è esclusa qualsiasi possibilità per il Giudice di valutare la sproporzione tra la gravità del fatto ed il licenziamento.

Spetterà, dunque, all'avvocato che difende il lavoratore dimostrare che, nell'ambito dell'onere probatorio, il comma 2, art. 3, D.lgs n. 23/2015, è una norma "gattoperdesca" che sembra cambiare tutto ma lascia ogni regola immutata. A sostegno della sua tesi potrà richiamare l'art. 2697 c.c., e il già citato art. 5, L. n. 604/1966. Dall'altra parte l'avvocato “datoriale” potrà sostenere che il Legislatore, anche nella formulazione del comma 2, art. 3, D.lgs n. 23/2015, ha cercato di raggiungere gli obiettivi della legge delega ovvero certezza del diritto, riduzione delle conseguenze negative nel caso di licenziamento illegittimo al fine di favorire nuove assunzioni. Inoltre, potrà rilevare che mediante tale norma trova applicazione l'orientamento monolitico della Cassazione in tema di onere della prova sull'inadempimento dei contratti ovvero chi intende risolvere il contratto deve limitarsi a dimostrare l'esistenza del titolo, il contratto, e allegare l'inadempimento di controparte al quale spetterà dimostrare di aver adempiuto correttamente alle proprie obbligazioni o di non averle potute eseguire per fatti ad esso non imputabili.

Una volta dimostrata l'insussistenza del fatto materiale, il lavoratore, in base al comma 2, art. 3, D.lgs n. 23/2015, oltre alla reintegrazione, salva la possibilità di optare per l'indennità sostitutiva pari a 15 mensilità, ha diritto ad un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento fino all'effettiva reintegrazione sino ad un massimo di dodici mensilità (tutela reintegratoria debole).

Da tale somma viene detratto quanto il lavoratore ha percepito nello svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum) o quanto avrebbe potuto percepire (aliunde percipiendum) adoperandosi diligentemente per trovare un nuovo impiego.

Il lavoratore ha, inoltre, diritto al versamento dei contributi dal giorno del licenziamento sino alla data dell'effettiva reintegrazione ma senza l'applicazione di sanzioni a carico del datore.

In tutti gli altri casi in cui il licenziamento viene dichiarato illegittimo, il Giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di un indennizzo che varia da un minimo di 4 mensilità ad un massimo di 24 mensilità senza versamento dei contributi. Anche in questo caso l'aumento dell'indennizzo è esclusivamente parametrato all'anzianità di servizio con un aumento di due mensilità per ogni anno.

Le differenze rispetto all'indennizzo previsto in analoghi casi per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 consistono nella minore quantificazione del risarcimento minimo (si passa infatti da 12 a 4 mensilità) e nell'aumento esclusivamente parametrato all'anzianità di servizio. Anche in questo caso viene totalmente eliminata la possibilità per il Giudice di quantificare discrezionalmente - seppur con specifico obbligo di motivazione - il risarcimento.

Come già evidenziato, per gli assunti prima del 7 marzo 2015 continua a trovare applicazione l'art. 18 commi 4 e 5, St. lav., il quale prevede due ipotesi di reintegrazione nel caso di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ovvero insussistenza del fatto contestato o fatto per il quale i contratti collettivi prevedono l'applicazione di una sanzione conservativa. Per tutte le altre ipotesi di licenziamento illegittimo l'art. 18 St. lav., stabilisce una tutela indennitaria che varia dalle 12 alle 24 mensilità.

Analizzando brevemente la prima ipotesi considerata, si è già sottolineato come sia prevalsa in Cassazione l'interpretazione del fatto materiale e come tale impostazione sia stata fatta propria nel D.lgs. n. 23/2015.

La mancata riproposizione nel Jobs act della seconda ipotesi, ovvero obbligo di reintegrazione nel caso in cui il licenziamento sia stato cagionato da una condotta per la quale il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa del posto di lavoro, può giustificarsi sulla scarsa specificità dei casi descritti dai contratti collettivi passibili di interpretazione analogica e, quindi, potenzialmente in grado di frustrare l'obbiettivo di conoscere ab origine le ipotesi di applicabilità della tutela reintegratoria.

Tuttavia tale scelta potrebbe essere foriera di un pericoloso contrasto di giudicati. Infatti se il datore di lavoro licenzia un lavoratore in un'ipotesi per la quale il contratto collettivo applicato prevede una sanzione solamente conservativa del posto di lavoro, tale condotta sarebbe illegittima in base all'art. 28 St. Lav. il quale prevede che i sindacati possano agire in giudizio per la repressione di condotte antisindacali perpetrate dal datore. In caso di accoglimento il Giudice ordina al datore di lavoro con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti con conseguenze anche penali nel caso in cui non ottemperi. Dunque per la medesima fattispecie, affrontata in due procedimenti diversi, vi potrebbe essere da una parte un Giudice che, chiamato a decidere su un ricorso ex art. 414 c.p.c., condanna il datore di lavoro alla sola tutela indennitaria e dall'altra un Giudice che, al termine di un procedimento ex art. 28 St. lav., ordina la cessazione della condotta antisindacale e la rimozione degli effetti che non può essere altro che la reintegrazione del lavoratore.

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo e giusta causa

Prima del 7 marzo 2015

Dal 7 marzo 2015

Tutela reintegratoria debole

Nei casi d'insussistenza del fatto contestato o nel caso in cui il fatto rientri tra le condotte punibili secondo i ccnl con una sanzione conservativa del posto di lavoro (vd colonna A)

Esclusivamente nell'ipotesi in cui sia dimostrata l'insussitenza del fatto materiale contestato al lavoratore. (vd colonna B)

Tutela indennitaria forte

in tutte le altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi di giustificato motivo soggettivo o giusta causa (vd colonna A)

in tutte le altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi di giustificato motivo soggettivo o giusta causa (vd colonna B)

Le conseguenze sanzionatorie nel caso di licenziamento privo di giusta causa, di giustificato motivo soggettivo o oggettivo o per vizi procedurali e formali nelle piccole imprese

Il D.lgs n. 23/2015 ridetermina le conseguenze per i licenziamenti privi di giustificato motivo oggettivo, soggettivo e privi di giusta causa per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 nelle imprese rientranti nella cosiddetta area di tutela obbligatoria, ovvero quelle imprese che non raggiungono i requisiti dimensionali stabiliti dall'art. 19, commi 8 e 9, St. lav.

Eccezion fatta per i casi di licenziamento nullo discriminatorio e orale, la tutela prevista a favore del lavoratore è esclusivamente risarcitoria. Inoltre l'art. 9, D.lgs n. 23/2015 prevede un indennizzo minimo di 2 mensilità (anziché di 2,5 previsto dall'art. 8, L. n. 604/1966) e uno massimo di 6 (l'unità di misura è sempre l'ultima mensilità utile per il calcolo del TFR). Per ogni anno di anzianità è previsto un aumento di una mensilità anzichè due.

Rispetto agli assunti prima del 7 marzo viene meno la possibilità prevista dall'art. 8 della l. n. 604/1966 di innalzare sino a 10 mensilità l'indennizzo nel caso di lavoratore la cui anzianità di servizio superi i 10 anni e di 14 mensilità nel caso in cui l'anzianità di servizio sia superiore ai 20 anni e il datore di lavoro occupa più di 15 dipendenti.

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo, oggettivo e per giusta causa nelle aziende sino a 15 dipendenti

Assunti prima del 7 marzo 2015

Assunti dal 7 marzo 2015

Licenziamento illegittimo per assenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo o del giustificato motivo oggettivo

Il lavoratore deve essere riassunto entro tre giorni ma il datore di lavoro può decidere, in luogo della riassunzione, di corrispondere un'indennità compresa tra le 2,5 mensilità e le 6 mensilità. I criteri per determinare tale indennità sono numero di occupati, dimensioni dell'impresa, anzianità di servizio e comportamento e condizioni delle parti

Il lavoratore ha diritto al pagamento di un'indennità che varia tra le 2 e le 6 mensilità. L'indennità aumenta di una mensilità per ogni anno di anzianità di servizio maturato in azienda

Sanzioni per i licenziamenti affetti da vizi formali e procedurali

L'art. 4, D.lgs n. 23/2015 disciplina le conseguenze nel caso di licenziamento affetto da vizi formali o procedurali (omessa motivazione, mancato rispetto della procedura disciplinare prevista dall'art. 7, L. n. 604/1966) per i lavoratori delle aziende che superano i noti requisiti dimensionali. L'indennità è determinata in base all'anzianità di servizio con una forbice che varia dalle 2 mensilità alle 12 mensilità. In questo caso l'aumento è di una mensilità per ogni anno d'anzianità di servizio. Le differenze con l'art. 18, comma 6, St. lav. sono la diminuzione del minimo indennitario che passa da sei a due mensilità e, ancora una volta, la parametrazione della quantificazione esclusivamente sull'anzianità di servizio del lavoratore.

Il licenziamento nelle organizzazioni di tendenza

L'art. 4, comma 1,L. n. 108/1990 aveva escluso l'applicabilità della tutela reintegratoria nei confronti dei «datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, d'istruzione ovvero di religione o di culto». In tutte queste attività il Legislatore aveva ritenuto non conveniente il fatto che, a seguito di licenziamento, il rapporto potesse essere ripristinato con un lavoratore non allineato ideologicamente. Questa totale esclusione della tutela reintegratoria scompare nel D.lgs n. 23/2015 il quale, all'art. 9, comma 2, prevede che la nuova disciplina sui licenziamenti si applichi per intero agli assunti dal 7 marzo anche nelle organizzazioni di tendenza.

I licenziamenti collettivi

Per licenziamento collettivo si intende in base alla L. n. 223/1991 la volontà del datore di lavoro con un organico di più di 15 dipendenti di licenziare almeno 5 lavoratori (indipendentemente dal fatto che al termine delle procedura sindacale amministrativa i licenziati siano di numero inferiore a 5) nella provincia in un arco temporale di 120 giorni.

Il licenziamento collettivo è preceduto da una lunga procedura sia con i sindacati che con rappresentanti istituzionali di vario livello volta, in prima battuta, a verificare la possibilità di applicare misure alternative al licenziamento e, in seconda, a determinare i criteri di scelta per individuare i lavoratori da licenziare. In assenza di accordo sui criteri di scelta si applicano quelli prestabiliti dall'art. 5,L. n. 223/1991 (carichi di famiglia, anzianità e ragioni tecnico produttive senza che sia stabilito un ordine gerarchico).

L'art. 18, comma 7, St. lav., prevede che per i vizi attinenti alla procedura si applichi la tutela indennitaria forte mentre per la violazione dei criteri di scelta si applichi la tutela reale prevista dall'art. 18, comma 4.

Invece, in base all'art. 10, D.lgs n. 23/2010, per gli assunti dal 7 marzo c'è solo la tutela indennitaria prevista dall'art. 3, comma 1, del medesimo decreto sia per la violazione della procedura, sia per la violazione dei criteri di scelta.

Resta da chiedersi se la parificazione delle conseguenze derivanti dalla violazione dei criteri di scelta con quelle causate dalla presenza di vizi nell'espletamento della procedura possa superare il vaglio di legittimità costituzionale, considerato che due fattispecie di gravità indubbiamente diversa avrebbero le medesime conseguenze di legge.

Sin dall'entrata in vigore della riforma Fornero era stata evidenziata l'utilità dell'aver mantenuto la reintegrazione, seppur in forma attenuata, nel caso di violazione dei criteri di scelta. E ciò perché pareva opportuno mantenere una tutela “forte” per il lavoratore, che, in ogni caso, non comprometteva eccessivamente gli interessi del datore. Si ricorderà, infatti, che quest'ultimo, condannato a reintegrare il lavoratore, può - ex art. 17, L. n. 223/1991 - senza dover instaurare nuovamente l'intera procedura, licenziare il lavoratore che sarebbe stato sin dall'origine destinatario del provvedimento espulsivo qualora fossero stati applicati correttamente i criteri di scelta.

Proprio per questi motivi l'eliminazione nel D.lgs n. 23/2015 della tutela reintegratoria nel caso di violazione dei criteri di scelta è stata oggetto di un acceso dibattito. L'esclusione della tutela reintegratoria può minare l'efficacia dell'accordo sindacale per l'individuazione dei lavoratori da licenziare. La tutela indennitaria potrebbe indurre i datori di lavoro a non rispettare gli impegni assunti in sede di concertazione a causa della scarsa incisività delle sanzioni economiche che comporta il mancato rispetto degli impegni assunti. Risulterebbe, quindi, indebolita l'intera procedura sindacale amministrativa che costituisce il fulcro dell'istituto dei licenziamenti collettivi.

LICENZIAMENTO COLLETTIVO

Assunti prima del 7 marzo

Assunti dal 7 marzo

Licenziamento orale

Tutela reintegratoria forte (vd colonna A)

Tutela reintegratoria forte (vd colonna B)

Violazione dei criteri di scelta

Tutela reintegratoria ridotta

(vd colonna A)

Tutela indennitaria forte (vd colonna B)

Inosservanza delle procedure per l'intimazione del licenziamento collettivo

Tutela indennitaria forte (vd colonna A)

Tutela indennitaria forte (vd colonna B)

L'offerta di conciliazione

Ogni riforma di diritto del lavoro susseguitasi in questi anni ha introdotto nuovi strumenti deflattivi e abolito quelli introdotti dalle precedenti leggi.

Anche il D.lgs n. 23/2015 non si esime da questa “consuetudine”. Infatti da una parte abroga per i nuovi assunti il tentativo di conciliazione obbligatorio prodromico all'intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo previsto dall'art. 7 L. n. 604/1966 e dall'altra introduce all'art. 6 l'offerta conciliativa su base volontaria.

Il datore di lavoro, entro il primo termine d'impugnativa stragiudiziale di 60 giorni del licenziamento, deve offrire al lavoratore mediante assegno circolare in una delle sedi protette previste dall'art. 2213 c.c., comma 4, e dall'art. 82, comma 1, D. lgs n. 276/2003 una somma «di ammontare pari ad una mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a 18». Al fine d'incentivare l'accettazione di tale proposta viene prevista l'esenzione da qualsiasi imposizione fiscale e contributiva. Se accetta l'offerta il lavoratore decade dalla possibilità di impugnare il licenziamento.

Onde evitare pratiche elusive, l'offerta conciliativa detassata riguarda solo la rinuncia da parte del lavoratore di impugnare il licenziamento, ma non può avere oggetto altre obbligazioni del rapporto di lavoro quali, ad esempio, corresponsione del TFR o differenze retributive.

È presumibile che questo nuovo istituto possa avere un discreto successo. Infatti, l'importo che il prestatore otterrebbe anche se venissero accolte le sue doglianze in giudizio potrebbe essere inferiore. A ciò aggiungasi i costi di una causa e la sua durata destinata ulteriormente ad allungarsi alla luce del fatto che per gli assunti dal 7 marzo non si applica più il rito Fornero.

Brevi cenni processuali

Come anticipato nel precedente paragrafo in base all'art. 11 del D.Lgs. n. 23/2015 non si applica ai nuovi assunti il c.d. rito Fornero nel caso d'impugnativa dei licenziamenti. Dunque anche l'impugnativa dei licenziamenti per gli assunti dal 7 marzo rientra nel campo di applicazione del ricorso ex art. 414 c.p.c. E' evidente che in questo modo i tempi processuali saranno destinati ad allungarsi. Tuttavia tale scelta si è resa necessaria in quanto il nuovo rito aveva creato numerose difficoltà gestionali e applicative.

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