Ius variandi e limiti della proposizione della domanda di risarcimento in luogo di quella originaria di adempimento del contratto

Antonino Barletta
04 Agosto 2014

Entro quali limiti è possibile proporre, nel corso del processo, la domanda di risarcimento dei danni in luogo di quella originaria di adempimento del contratto?

Entro quali limiti è possibile proporre, nel corso del processo, la domanda di risarcimento dei danni in luogo di quella originaria di adempimento del contratto?

Con una recente pronuncia le Sezioni Unite hanno composto un contrasto giurisprudenziale, riguardante l'ammissibilità della domanda di risarcimento, a favore dell'interpretazione estensiva circa l'ambito dello ius variandi stabilito dell'art. 1453, comma 2, c.c. (Cass., S.U., 11 aprile 2014, n. 8510, in Giur. it., 2014, 1619, con nota di D'Alessandro). In particolare, la S.C. ha enunciato il principio di diritto secondo cui la parte insoddisfatta che abbia instaurato il processo con la domanda di adempimento può chiedere, oltre alla risoluzione del contratto, anche il risarcimento dei danni conseguenti alla cessazione degli effetti del regolamento negoziale e le restituzioni. Nello stesso senso, del resto, era disposta in precedenza la giurisprudenza prevalente (riguardo alla domanda risarcitoria cfr. Cass., 13 dicembre 2010, n. 25159; Cass., 31 ottobre 2008, n. 26325; riguardo all'azione restitutoria cfr. Cass., 27 maggio 2010, 13003; Cass., 27 novembre 1996, n. 10506) e la dottrina (G. Gabrielli, Proponibilità delle domande risarcitoria e restitutoria in corso di giudizio purché congiuntamente con quella di risoluzione del contratto inadempiuto, in Riv. dir. civ., 2012, I, 597 ss.; G. Sicchiero, La risoluzione per inadempimento, in Comm. Schlesinger, Milano, 2007, 485 ss.; A. Luminoso, in A. Luminoso-U. Carnevali-M. Costanza, Risoluzione per inadempimento, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1990, 122 ss.).

La sentenza delle Sezioni Unite fa seguito a una contraria recente pronuncia dei giudici di legittimità, la quale aveva, invece, accolto l'orientamento restrittivo riguardo ai limiti dell'esercizio dello ius variandi, in considerazione dell'eccezionalità della previsione di cui all'art. 1453, comma 2, c.c. rispetto alle norme che escludono la proposizione di domande nuove nel corso del processo ai sensi degli artt. 183 e 345 c.p.c. (Cass., 23 gennaio 2012, n. 870).

L'interpretazione estensiva della previsione di cui all'art. 1453, comma 2, c.c. ha, tuttavia, prevalso alla luce della ratio dello ius variandi, consistente nell'“offrire giusta protezione all'interesse dell'attore vittima dell'inadempimento, specie di fronte al comportamento del debitore convenuto in giudizio, che permane inattivo nonostante sia stato sollecitato a eseguire la prestazione” (così Cass., S.U., 11 aprile 2014, n. 8510, cit.). Occorre precisare, tuttavia, che la proposizione della domanda di risarcimento dei danni da risoluzione e di quella restitutoria è consentita solo in occasione e contestualmente al mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto. Si osserva, infatti, che l'azione risarcitoria, per quanto non legata da un nesso di conseguenzialità logico-giuridica alla domanda di risoluzione, completa le difese del contraente non inadempiente, consentendo a quest'ultimo di perseguire la “soddisfazione del suo interesse al negozio, i cui effetti vengono eliminati grazie alla risoluzione, come fonte anche di un determinato assetto quantitativo del suo patrimonio” (così ancora Cass., S.U., 11 aprile 2014, n. 8510, cit.).

Lo ius variandi – ribadiscono le Sezioni Unite nella sentenza cit. – è limitato dalle allegazioni compiute nell'atto introduttivo, poiché l'attore non può porre a fondamento dell'azione di risoluzione e di quelle di risarcimento o restitutorie un inadempimento diverso rispetto a quello originariamente dedotto alla base dell'azione di adempimento (in precedenza in questo senso Cass., S.U., 18 febbraio 1989, n. 962, in Giust. civ., 1989, I, 1049). L'art. 1453, comma 2, c.c. è giustamente interpretato come una disposizione processuale, che importa una deroga all'ordinario sistema delle preclusioni di cui agli artt. 183 e 345 c.p.c., consentendo all'attore di estendere l'oggetto del processo anche in una fase progredita del giudizio e in grado d'appello con l'allegazione del pregiudizio sofferto e dell'entità del danni, effettuando le relative deduzioni istruttorie, mentre al convenuto deve essere consentito di difendersi proponendo le eccezioni conseguenti alla nuova domanda risarcitoria e le deduzioni istruttorie.

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