Il danno da nascita indesiderata per la mancata (ma richiesta) sterilizzazione da parte del ginecologo

Redazione Scientifica
04 Dicembre 2015

Ai fini del riconoscimento del danno non patrimoniale da nascita indesiderata del figlio, dovuta ad una inosservanza medica, i genitori devono provare ed allegare di aver subito un importante cambiamento di stile e ritmo di vita, un forte stress fisico e mentale, nonché un disagio familiare e sociale.

Un parto decisamente inaspettato. Una donna, incinta del quinto figlio, chiedeva ai medici di procedere, contestualmente al parto cesareo, anche all'intervento di sterilizzazione tubarica. A tal fine, sottoscriveva l'apposito modulo di manifestazione del consenso informato. Circa un anno dopo, però, restava nuovamente incinta e, decidendo di non interrompere la gravidanza, dava alla luce il suo sesto figlio.

Allora, la donna, insieme al marito, si rivolgeva al giudice di Reggio Emilia, chiedendo il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti a causa della nascita indesiderata del figlio.

La convenuta Azienda USL contestava la fondatezza della domanda attorea sostenendo che: la donna all'atto del prericovero non aveva richiesto di essere sottoposta a sterilizzazione tubarica; dalla lettera di dimissioni emergeva chiaramente il fatto che tale intervento non era stato eseguito; infine, scoperta la gravidanza, poteva abortire ai sensi della L. n. 194/1978.

La chiara volontà di essere sottoposta a sterilizzazione tubarica. Dall'istruttoria emerge che, diversamente da quanto sostenuto dalla convenuta, nel momento del prericovero per l'imminente parto, la donna aveva sottoscritto l'apposito modulo con cui dichiarava di autorizzare il personale medico del reparto di ostetricia a praticare la sterilizzazione tubarica. Il tutto era stato confermato dal medico ginecologo, che con la sua testimonianza ha ricostruito la vicenda, così come rappresentata dagli attori.

Nessuna rilevanza della lettera di dimissione. Da disattendere anche l'eccezione della controparte con la quale si affermava che nella lettera di dimissioni veniva riportato quale unico intervento posto in essere quello del parto cesareo. Tale circostanza, spiega il giudice di merito, non può essere considerata sufficiente a «mettere gli attori, peraltro stranieri, in condizione di comprendere che il richiesto intervento di sterilizzazione – per ragioni che erano e sono rimaste sconosciute – non era stato eseguito».

Nessun obbligo di aborto. Nemmeno l'eccezione con cui l'USL sosteneva che la donna avrebbe potuto sottoporsi a interruzione volontaria di gravidanza è meritevole di accoglimento. Infatti, benché nel nostro ordinamento esista un diritto all'aborto, ciò non comporta che tale diritto debba essere esercitato: l'aborto rimane una scelta non un obbligo.

Inoltre, non poteva dicerto chiedersi alla donna di sottoporsi ad intervento di interruzione volontaria della gravidanza al fine di evitare i danni conseguenti alla mancata esecuzione della sterilizzazione, comportando l'aborto un sacrificio alla salute e alla libertà di autodeterminarsi della madre.

Il danno non patrimoniale. Il giudice ha riconosciuto in favore della madre un danno non patrimoniale, dipeso dalla nascita indesiderata del figlio, che aveva stravolto i ritmi di vita della donna e causato stress nonchè disagio. Risarcimento che è stato invece negato al padre, non avendo lo stesso né allegato né provato quali fossero stati i concreti riflessi della nascita del suo sesto figlio sulle sue abitudini di vita.

Il danno patrimoniale. Il giudice, esaminando la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, proposta da entrambi i coniugi, ha riconosciuto che la nascita di un figlio comporta delle spese, necessarie per il suo mantenimento e la sua educazione fino a raggiungimento della sua indipendenza economica, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento medico e soddisfano l'ulteriore requisito della prevedibilità del danno ai sensi dell'art. 1225 c.c.. Pertanto, il danno economico risarcibile nel caso di specie – non avendo gli attori fornito alcuna informazione circa la loro situazione reddituale e lavorativa – deve essere liquidato facendo riferimento al «criterio generale e astratto del costo minimo per il mantenimento di un figlio che può essere individuato nell'importo di 300 euro mensili» sino al compimento del 23esimo anno di età, anno in cui, secondo la giurisprudenza, viene raggiunta l'indipendenza economica del figlio.

Le spese per la mediazione obbligatoria. Il Giudice aggiunge, infine, che «quanto invece alle spese anticipate nel corso del tentativo di mediazione obbligatoria (…) le stesse non possono essere considerate come autonoma voce di danno risarcibile, dovendo invece essere liquidate tra le spese di lite (Cass., 27 ottobre 1969, n. 3523)».

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