Come liquidare e personalizzare il danno morale aggravato dalla condotta

05 Maggio 2015

Non è raro rinvenire in giurisprudenza il principio per cui, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, occorre considerare anche la gravità della condotta. In questo contributo si sviluppa oltre tale indicazione attraverso la doctrine del “danno morale aggravato dalla condotta”, già formalizzata per la prima volta dall'Autore nel 2010 ed ora ulteriormente affinata nei suoi risvolti teorici e pratici.
La prospettiva della liquidazione del danno non patrimoniale anche in ragione della gravità della condotta lesiva

La componente “morale” viene liquidata (allorquando questa seconda fase effettivamente ha luogo, il che avviene sempre più di rado) in ragione delle peculiari conseguenze, in senso naturalistico, sulla sfera personale del danneggiato: questa operazione si risolve generalmente in incrementi del tutto modesti, connotati da eccessivi automatismi.

Soprattutto, il risarcimento dei pregiudizi morali, laddove associati a dei pregiudizi psicofisici, tende a divenire un mero orpello del quantum del danno biologico: liquidazione e personalizzazione del danno non patrimoniale divengono “biologicocentriche”, risultando del tutto indifferenti a diversi altri fattori, ivi compresa la gravità delle azioni e/o omissioni poste in essere dal danneggiante, gravità che eppure si riflette eccome sulla sfera morale ed emotiva della vittima.

L'offesa morale, che la persona lesa riceve dalla particolare riprovevolezza della condotta e/o dai motivi abietti di questa, viene così svilita sino a perdersi in irrisori aumenti del quantum del danno biologico o, laddove questo sia liquidato unitariamente al morale, del danno non patrimoniale; anzi, nella maggior parte dei casi rimane del tutto negletta.

Tale svilimento emerge anche laddove non ricorra una vera e propria patologia: si pensi al caso in cui una persona sia stata esposta, per effetto di una condotta scellerata, ad un rischio elevato di perdere la vita od a gravi umiliazioni, senza, tuttavia, avere poi accusato un disturbo psichico od una lesione fisica.

Ciò premesso, ricorrono innumerevoli vicende di cronaca che impongono seri interrogativi circa limiti e lacune dell'attuale sistema risarcitorio, laddove svilisce sistematicamente ogni rilevanza della gravità della condotta del danneggiante ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale.

Si possono fare i seguenti esempi:

  • uccisone premeditata del famigliare;
  • violenza sessuale;
  • morte del lavoratore per l'omissione dolosa o gravemente colposa di cautele, inattuate magari per mere ragioni di risparmio e, quindi, per autentiche strategie aziendali;
  • disastri ambientali evitabili (frana che si abbatte su un abitato in una situazione di noto dissesto idrogeologico; fabbrica che per anni ha disseminato sostanze nocive provocando gravi patologie nella popolazione, senza che le amministrazioni si siano attivate nonostante le evidenze epidemiologiche);
  • mobbing perpetrato sistematicamente e per lungo tempo;
  • disastri aerei, navali o ferroviari prodotti dalla noncuranza per le più basilari norme di sicurezza (magari omesse per ragioni di maggior profitto o di totale noncuranza dei profili di sicurezza; per es., mancata sostituzione di componentistiche di un aereo nella piena consapevolezza di loro difetti; nave da crociera con personale privo di formazione per la gestione delle emergenze; aereo affidato ad un pilota psicolabile che lo schianta contro una montagna);
  • casa farmaceutica che mantiene in circolazione prodotti che sa essere nocivi;
  • medico il quale incorra in gravi errori e per coprirli falsifichi la cartella clinica;
  • testata giornalistica che, pur conoscendo la falsità delle informazioni, rovina la vita di una persona;
  • forze di polizia che, tradendo le proprie funzioni, infliggano umiliazioni e lesioni a cittadini inermi per il solo fatto di avere partecipato ad una manifestazione;
  • ovviamente, crimini di guerra e reati violenti intenzionali commessi contro diritti dell'uomo.

Anche il campo dei sinistri stradali può annoverare scenari connotati da condotte particolarmente riprovevoli:

  • “pirata della strada” (ubriaco oppure per effetto di sostanze stupefacenti), che provoca un incidente mortale o riduce in condizioni di grave invalidità una persona;
  • individuo violento che per futili motivi (un diverbio con altro automobilista) decide di schiantare la sua vettura contro un'altra oppure ne provoca l'uscita di strada;
  • società specializzata in trasporti che permette la circolazione di mezzi pesanti che sa essere pericolosi;
  • casa automobilistica che immette sul mercato veicoli a serio rischio per l'incolumità dei passeggeri, senza provvedere a richiamarli tempestivamente per una questione di mero calcolo economico o di immagine.

Sorge allora spontanea una domanda: la particolare riprovevolezza della condotta può incidere sul quantum del danno non patrimoniale e, laddove ricorrente un danno biologico (anche solo temporaneo o modesto), incrementare ulteriormente i valori recati dalle tabelle giurisprudenziali senza incontrare vincoli nei limiti posti per la loro personalizzazione?

La tesi, esposta in questo contributo, è che la risposta a questo quesito possa e debba essere positiva.

La rilevanza della gravità della condotta ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale: l'orientamento positivo già consolidatosi in giurisprudenza

In realtà non è necessario struggersi in ordine alla possibilità di importare in Italia modelli stranieri, quale il modello statunitense dei danni punitivi: infatti, la nostra giurisprudenza già reca precise indicazioni a favore della prospettiva di risarcimenti commisurati non soltanto ai pregiudizi-conseguenza subiti dal danneggiato sul piano del facere (cioè delle sue funzionalità biologiche), ma anche, al contempo, alla particolare condotta tenuta dal responsabile dell'evento dannoso ed alle ragioni della stessa.

In particolare, viene in rilievo quanto segue:

  • in diverse la Cassazione ha perorato la sicura possibilità di attribuire rilievo in seno alla liquidazione del danno non patrimoniale anche alla gravità della condotta tenuta dal responsabile, in primis laddove penalmente rilevante: «Nella liquidazione equitativa del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, deve tenersi conto della gravità dell'illecito penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso specifico» (così Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2004, n. 10035); cfr., altresì, le seguenti pronunce: Cass. civ., sez. lav., 19 maggio 2010, n. 12318 (la liquidazione del danno morale deve riflettere «la particolare gravità ed odiosità del comportamento lesivo e quindi la sua notevole capacità di offendere i beni personali costituzionalmente protetti»); Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18804 («ai fini della liquidazione dei danni non patrimoniali, il giudice può tenere conto - fra le molteplici circostanze rilevanti ai fini della valutazione equitativa - anche della gravità dell'offesa e dell'intensità dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, sicché l'omessa considerazione della provocazione potrebbe assumere rilievo sotto il profilo della violazione dell'art. 2059 c.c.»); Cass. civ., Sez. III, 9 novembre 2006, n. 23918; Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2000, n. 14752; fra la giurisprudenza di merito cfr. ex multiis: Trib. Milano, sez. X, 5 luglio 2012, G.U. Spera, ined. (sentenza intervenuta con riferimento ad un caso di aggressione: «La Cassazione recentemente ha statuito che, nella liquidazione del danno biologico, quando […] manchino criteri stabiliti dalla legge, […] garantisce […] uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano […]. Ma quid iuris nell'ipotesi di reato doloso? Ritiene il Tribunale che in tutte le ipotesi di applicazione della Tabella Milanese poiché comunque non sussistono vincoli normativi […], il Giudice dovrà aumentare o diminuire la liquidazione anche oltre i valori massimi e minimi, qualora la fattispecie concreta esorbiti dalla casistica media e tenuta presente durante i lavori di allestimento della Tabella Milanese. Ciò potrà accadere qualora il danno conseguenza - in termini di pregiudizi anatomo-funzionali, relazionali e di sofferenze - sia di particolare levità o gravosità: si pensi, per un verso, al danno non patrimoniale temporaneo e permanente conseguente al colpo di frusta e, per altro verso, alle particolari sofferenze fisiche e psichiche conseguenti a lesioni dolose o ad altre condotte penalmente rilevanti e/o particolarmente abiette. […] Alla luce di tutto quanto esposto, ai fini della liquidazione del danno biologico subito dall'attore, questo Giudice ritiene che occorra tenere conto delle modalità di verificazione del fatto, integrante gli estremi dei reati dolosi di lesione personale e danneggiamento, che ha certamente provocato all'attore sofferenze psicofisiche maggiori rispetto a quelle subite dalla vittima di un (comune) fatto illecito colposo. Appare dunque opportuno procedere alla personalizzazione del danno con valori monetari eccedenti quelli stabiliti dai criteri tabellari normalmente applicati in questo Tribunale»; cfr. altresì le altre pronunce milanesi citate sub § Quali criteri per la liquidazione/personalizzazione del “danno morale aggravato dalla condotta”? lett. b)); Trib. Modena, 8 agosto 2007, («La liquidazione del danno morale è affidata ad un apprezzamento equitativo del giudice di merito, il quale può tenere conto anche della gravità del reato, desunta soprattutto dall'intensità del dolo e dal grado di colpa dell'autore dell'illecito»); App. Bari, sez. III, 13 settembre 2006, in Banca dati Assago («La liquidazione del danno non patrimoniale, autonoma rispetto al danno biologico (C. Cost. n. 184/1986), consiste nell'ingiusto perturbamento dello stato d'animo del leso in conseguenza dell'offesa ricevuta la sua determinazione è rimessa al prudente criterio del giudicante, che deve proporzionarla alla gravità del fatto»);
  • a questa impostazione si associa il noto (ancorché spesso trascurato) principio per cui la liquidazione del danno morale non può risultare condizionata da quanto eventualmente riconosciuto a titolo di danno biologico; in particolare, come ribadito in più occasioni dalla Cassazione, «non può stabilirsi a priori il maggior valore del danno biologico rispetto al danno morale», essendo che «questo ultimo non è soltanto pretium doloris, ma anche la risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana» (così, ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2009, n. 13530); in breve, la liquidazione e personalizzazione del danno morale può sicuramente trascendere l'entità dei pregiudizi strettamente connessi alla lesione dell'integrità fisica e/o psichica, per l'appunto dovendosi considerare anche la lesione della dignità della persona pure in considerazione della «gravità del fatto»: «La liquidazione del danno morale operata mediante il meccanismo semplificativo del riferimento ad una mera frazione di quanto liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico non consente di cogliere quale sia stato il punto di riferimento dai giudici di merito in concreto preso in considerazione ai fini della debita personalizzazione della liquidazione del danno morale ai cui fini, per potersi considerare congrua ed adeguata risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana, è necessario che possa evincersi in quali termini si sia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento dello stato d'animo» (così Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228; cfr. anche Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361 e Trib. Roma, sez. XII, 25 novembre 2013); anzi, a ben osservare, è, innanzitutto, proprio muovendo dalla necessaria considerazione della gravità della condotta che la Suprema corte è pervenuta ad affermare il seguente principio: «Ne consegue che il ricorso da parte del giudice di merito al criterio della determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, non è di per sé illegittimo, a condizione che si tenga conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione del criterio alla specifica situazione, ed apportando, se del caso, i necessari correttivi, senza che la liquidazione del danno sia rimessa ad un puro automatismo» (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2004, n. 10035);
  • peraltro, la giurisprudenza ha inteso il danno morale proprio nel senso di servire anche alla riparazione dei sentimenti di «rabbia» (cfr. Trib. Roma, sez. XI, 13 luglio 2009) e di «indignazione» (App. Reggio Calabria, 4 dicembre 2009, in Il caso.it, 2010); cfr., altresì: Trib. Torino, Sez. Distaccata Chivasso, 15 giugno 2011, n. 38, G.U. Vicini, ined. (il «dolore cicettivo della sofferenza fisica per le lesioni e i loro postumi» si distingue dal dolore «c.d. psicosociale, rappresentato dal senso di inadeguatezza, di rabbia che inevitabilmente prova colui che non è più in grado di condurre una vita normale, soprattutto allorché ciò sia la conseguenza di una ingiusta condotta altrui»); Trib. Milano, 12 febbraio 2010, in Foro It., 2010, 5, 1, 1626, che ha ritenuto risarcibile, in capo al cliente di un'assicurazione rifiutatasi di corrispondergli il capitale minimo garantito di una polizza index-linked, «lo stato di angoscia e rabbia derivante dall'illecita sottrazione di una somma ingente»).

Rileva anche la versione 2009 della tabella del Tribunale di Venezia, laddove si afferma che la liquidazione del danno non patrimoniale deve effettuarsi considerandosi pure la «condotta del soggetto danneggiante, valorizzando in particolare l'intensità dell'elemento psichico, la finalità dell'agire e l'eventuale lucro conseguito».

Non sono poi mancati precedenti che hanno attribuito liquidazioni significative a fronte di condotte particolarmente riprovevoli:

  • nel caso della tragedia torinese dell'acciaieria della ThyssenKrupp, in cui morirono sette operai a causa di gravissime omissioni sul piano della prevenzione, la Corte di Assise di Torino (Ass. Torino, sez. II, 14 novembre 2011, in Lavoro nella Giur., 2012, 2, 152, confermata da Ass. App. Torino, sez. I, 28 febbraio 2013, n. 6)ha riconosciuto in capo a svariati lavoratori non presenti in fabbrica il giorno del grave incidente, i quali non avevano accusato pregiudizi biologici, il «danno non patrimoniale derivante da un reato di pericolo», prodotto dalla “mera” «consapevolezza» di essere stati sottoposti ad un ambiente lavorativo a rischio, liquidandolo nella somma di 50.000,00 Euro ciascuno; peraltro, sempre a fronte della «commissione dei reati … accertati» e della «… loro estrema gravità non solo per le dirette conseguenze, ma anche […] per le gravissime responsabilità in capo agli imputati che li hanno determinati, in particolare sotto il profilo delle plurime violazioni, perduranti del tempo, dolose e colpose, della normativa antinfortunistica» sono stati accordati maxi-risarcimenti a titolo di danno non patrimoniale anche in capo a diverse persone giuridiche, eppure prive della capacità di soffrire (Euro 800 mila alla Regione Piemonte, Euro 500 mila alla Provincia di Torino, 1 milione di Euro al Comune, 50 mila Euro per i sindacati e associazioni);
  • il Tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. X civ., 3 settembre 2012, n. 9749), nella persona del G.U. Damiano Spera (uno dei “padri” delle attuali “tabelle milanesi”), ha liquidato all'ex calciatore Bobo Vieri la somma di un milione di euro per un (N.B.) generico e non patologico «stato di inquietudine e di ansia dell'attore», da quest'ultimo accusato per avere appreso dell'illecita investigazione commissionata dal suo datore di lavoro e dell'illecito controllo delle sue telefonate, con conseguente (mera) «preoccupazione per una possibile divulgazione di notizia riservate» che lo riguardavano; inequivocabilmente ha inciso su tale davvero imponente liquidazione la (giusta) reazione del magistrato in questione alla riprovevolezza delle condotte subite dall'attore.

Insomma, che la gravità della condotta possa senz'altro assurgere ad un fattore rilevante per la liquidazione del danno morale è un dato che trova sicura conferma in giurisprudenza: è da sfatare il “mito” per cui la r.c. non sarebbe tale da permettere certi tipi di risarcimenti.

Perché, allora, casi come quello della ThyssenKrupp o di Bobo Vieri si contano sulle dita di una mano?

Com'è possibile che sistematicamente il danno morale sia svilito dinanzi a fatti gravi?

Già in altra sede (M. BONA, Il danno esistenziale nelle contese sulla responsabilità civile e sul “sistema giustizia”, in Ri.Da.Re.) si è prospettato come vi sia in una cospicua parte della magistratura più la preoccupazione di risarcire troppo alle vittime che quella di liquidare i danni al ribasso. Il problema è senza dubbio anche “culturale”.

Nondimeno, è pure da osservarsi come sia sin qui mancato lo sviluppo di una vera e propria doctrine circa la liquidazione del danno non patrimoniale altresì in considerazione delle peculiarità delle condotte dannose.

Evidentemente, allora, occorre non solo ribadire che attribuire rilievo alla gravità della condotta non implica affatto lo sconfinamento nei danni non compensativi, ma anche rafforzare sul piano della rappresentazione giuridica, in primis a livello di nomenclatura, i principi giurisprudenziali innanzi ricordati: le categorie e le costruzioni del diritto, laddove non previste dal legislatore, hanno sì una mera funzione descrittiva, ma contribuiscono più efficacemente a veicolare idee, aiutano magistrati ed avvocati a concretizzare astratti principi e criteri come quelli per la liquidazione del danno non patrimoniale.

Dunque, riprendendosi quanto già sostenuto in alcune controversie passate e recenti (il rogo della ThyssenKrupp di Torino; Costa Concordia) ed in precedenti pubblicazioni (cfr. M. BONA, La responsabilità civile per i danni da circolazione di veicoli - Nuovi scenari dell'azione ex art. 2054 c.c. e dell'azione diretta ex Cod. Ass. Priv., Milanofiori Assago, 2010, ), si verrà a sviluppare ulteriormente la seguente idea ed “etichetta”: il “danno morale aggravato dalla condotta”.

Il “danno morale aggravato dalla condotta”: indicazioni per una più equa ed accurata personalizzazione del danno non patrimoniale

Anche da noi, dunque, i magistrati, muovendo dal solco giurisprudenziale sopra illustrato, possono dare luogo ad una r.c. non solo tale da permettere risarcimenti integrali del danno non patrimoniale in quanto commisurati anche alla gravità della condotta dannosa, ma altresì idonea a promuovere più che opportuni incentivi alla prevenzione di vari eventi dannosi, in primis quelli maggiormente gravi e contrari al rispetto dei più basilari diritti dell'uomo, così come quelli, che, prodotti da condotte intenzionali o gravemente colpose e rivolte al profitto/risparmio, colpiscono su larga scala i consociati.

Quali logiche legittimano il giudice ad incrementare in misura confacente, anche ben oltre i massimi tabellari o le liquidazioni standard, il quantum del danno non patrimoniale, senza condurlo a porsi in contrasto con i principi generali e con i criteri dettati dalla giurisprudenza sopra illustrata?

Incrementi di questo tipo trovano diverse e più che fondate ragioni giuridiche nel nostro ordinamento:

  • in primis, viene in rilievo la constatazione, conforme alla giurisprudenza citata al paragrafo precedente La rilevanza della gravità della condotta ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale: l'orientamento positivo già consolidatosi in giurisprudenza, che la condotta ascritta al responsabile civile, allorquando presenti caratteristiche particolarmente riprovevoli (per la gravità dell'elemento soggettivo, per i suoi motivi, per l'elevato biasimo sociale), in genere, secondo l'id quod plerumque accidit, sia tale da aggravare nel danneggiato il senso dell'ingiustizia subita e, dunque, il suo turbamento, la sua frustrazione, la sua offesa morale (per es.: maggiore è l'evitabilità di una morte, più elevata è la difficoltà ad accettarla; la consapevolezza della vittima che la sua tragedia è stata cagionata con dolo o per mere ragioni di profitto od abusando del suo affidamento od in cattiva fede è di norma fonte di maggiore patimento morale); dinanzi a queste considerazioni e memori della categoria di matrice inglese degli “aggravated damages” (LAW COMMISSION, Aggravated, Exemplary and Restitutionary Damages, London, 1997), è, allora, fondato perorare la prospettiva del “danno morale aggravato dalla condotta”; il riconoscimento di questa componente del danno non patrimoniale si pone in piena linea con la logica del risarcimento a scopi riparatori, giacché si valorizzano dei veri e propri riflessi morali dell'illecito o dell'inadempimento sulla sfera della vittima, cioè si continua a ragionare in termini di pregiudizi-conseguenza;
  • in secondo luogo, rileva l'esigenza che, laddove emergano violazioni significativamente riprovevoli e di elevato disvalore sociale, il risarcimento, una volta individuate le somme da liquidarsi secondo i consueti criteri riparatori, debba differenziarsi a seconda della particolare gravità della condotta, ciò onde:
  1. scongiurare che - contrariamente a quanto statuito all'art. 3 Cost. - azioni od omissioni, fra loro diverse quanto a rilevanza penale e/o intenzionalità e/o evitabilità/prevenibilità dell'evento dannoso, siano poste sullo stesso piano, con conseguente depotenziamento della funzione preventiva (o di “deterrence”) del sistema risarcitorio (funzione precauzionale);
  2. rendere possibile alla responsabilità penale ed a quella civile - in piena conformità con gli obiettivi dell'ordine pubblico e di promozione della tutela dei diritti fondamentali - di segnalare ai consociati il particolare disvalore sociale di determinate condotte (funzione esemplare);
  3. sempre in ragione dell'art. 3 Cost., evitare che la condanna al risarcimento del danno, quale meccanismo dell'ordinamento che interviene a sanzionare il responsabile civile, esprima reazioni rimediali uguali pur a fronte di condotte di gravità diversa, e cioè far sì che la condanna risarcitoria costituisca una sanzione corretta e proporzionata al livello di antigiuridicità della condotta (funzione sanzionatoria imposta ex art. 3 Cost.); risulta inconcepibile un sistema risarcitorio che non operi distinzioni tra chi arrechi danno per una mera ed improvvida negligenza (per esempio, il pedone maldestro, il quale correndo, urti un altro passante) e chi mandi al creatore il suo prossimo con dolo (per esempio, il ragazzo, il quale, per futili motivi, sferri in pieno volto un pugno ad una donna provocandone la morte); così come, rimanendosi all'interno della funzione compensativa, non si concilia con tale norma costituzionale un modello risarcitorio che non consideri diversamente, da un lato, l'offesa morale ricevuta da un soggetto vittima di una gravissima condotta e, dall'altro lato, quella arrecata ad un individuo danneggiato da un'omissione colposa imputabile ad una mera episodica disattenzione.

In realtà, al magistrato non è precluso di svolgere ragionamenti di questo tipo, sol considerandosi che il medesimo si trova a liquidare il danno non patrimoniale nel contesto di una valutazione equitativa, la quale logicamente implica sia un apprezzamento di tutte le circostanze del caso (artt. 1226 e 2056 c.c.) sia il pieno rispetto del precetto di cui all'art. 3 Cost.

Più nello specifico, l'incremento delle liquidazioni “standard” (anche oltre i limiti indicati dalle tabelle come “massimi”) in ragione della particolare gravità della condotta scrutinata è senz'altro conforme a tali articoli, costituendo molto semplicemente un “secondo livello della personalizzazione”, ossia nientemeno che una fase della valutazione in via equitativa (in questa direzione cfr. le pronunce milanesi di cui al § Quali criteri per la liquidazione/personalizzazione del “danno morale aggravato dalla condotta”? lett. b)).

Per essere più precisi si possono delineare due distinti livelli di liquidazione e personalizzazione:

  • in seno al primo livello il danno non patrimoniale di base viene individuato e personalizzato in considerazione dei pregiudizi subiti dalla persona lesa alla sua sfera biologica, esistenziale, relazione e morale, senza attribuirsi rilievo alle peculiarità della condotta dannosa;
  • entro il secondo livello il magistrato personalizza ulteriormente la componente del danno morale in considerazione delle peculiarità della gravità della condotta subita dal danneggiato, a ciò essendo legittimato per l'appunto in quanto: a) per certo l'offesa è maggiore per il danneggiato, il quale sia stato vittima di una condotta intenzionale o, comunque, di una situazione di rischio tollerata ed accettata dal responsabile civile, magari in vista di un maggior profitto, per ragioni di risparmio o per altri abietti motivi; b) sarebbe discriminatorio ed insensato ai fini della responsabilità, sia penale che civile, trattare allo stesso modo, sul piano della sanzione risarcitoria, un soggetto che abbia cagionato un danno per mera sventura (uno sciagurato momento di disattenzione o di imprudenza, od ancora un errore umano in ambiti delicati e sempre a rischio, come nel caso di tutta una serie di attività mediche) ed un soggetto il quale abbia agito con dolo oppure messo in bilancio di cagionare un danno.

Peraltro, la necessità che la gravità della condotta riceva adeguata e distinta considerazione ai fini della determinazione del quantum trova conferma nell'esigenza che in sede di motivazione il giudice, pur nel contesto del danno non patrimoniale unitario, rispetti il principio della liquidazione in via analitica: «la valutazione unitaria del danno non patrimoniale deve esprimere analiticamente l'iter logico ponderale delle poste (sinteticamente descritte e tipicizzate in relazione agli interessi o beni costituzionali … lesi) e non già una apodittica affermazione di procedere ad un criterio arbitrario di equità pura, non controllabile per la sua satisfattività» (Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2009, n. 13530); in altri termini, «pur se l'importo del risarcimento va quantificato in un'unica somma (come indicato da Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008 n. 26972, leading case in materia), il giudice deve dimostrare nella motivazione di avere tenuto conto di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale abbia assunto nel caso concreto» (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2012, n. 22909).

Conformemente a tale principio, dunque, s'impone al giudice di merito anche di esplicitare se ed in quale misura abbia attribuito rilievo alla gravità della condotta.

In definitiva, è corretto sostenere che un giudice possa eccome valorizzare la gravità della condotta e/o gli obiettivi illeciti della stessa (per es., un ingiusto profitto a danno di terzi), ciò senza porsi in contrasto con l'ordinamento: non si tratta altro che affinare e concretizzare, in applicazione del principio della liquidazione analitica, le indicazioni già rinvenibili in giurisprudenza (cfr. supra La rilevanza della gravità della condotta ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale: l'orientamento positivo già consolidatosi in giurisprudenza).

Una totale chiusura a scenari di questo tipo finirebbe per sminuire il ruolo della r.c.:

  1. sarebbe svilita la sua funzione compensativo-satisfattoria, giacché si negherebbe rilevanza ad una componente importante del danno morale e la vittima non troverebbe soddisfazione;
  2. la prospettiva della sanzione civile del risarcimento non incuterebbe alcun particolare timore in chi possa permettersi di far rientrare i risarcimenti tra i costi della propria attività;
  3. si perverrebbe a far pagare il responsabile, che abbia posto in essere condotte particolarmente riprovevoli, allo stesso modo di chi sia incorso in una colpa lieve; non pare equo un modello risarcitorio che non sappia distinguere, attraverso liquidazioni differenti, fra chi agisce con dolo o per profitto od in spregio ad i diritti fondamentali altrui e chi, invece, sia incorso in un momento assolutamente disgraziato della sua esistenza (ancorché, comunque, illecito).

Per inciso quanto sin qui prospettato dimostra la totale fallacia, anche sul piano della conformità costituzionale, dei tentativi, giurisprudenziali e legislativi, di relegare liquidazioni e personalizzazioni del danno morale entro limiti massimi invalicabili, oppure di discioglierlo del tutto nel danno biologico.

Quali prove per il “danno morale aggravato dalla condotta”?

È evidente come la liquidazione della componente risarcitoria in questione debba essere domandata correttamente con idonee allegazioni e prove: anche in questo caso occorre non trascurare il profilo probatorio, pur prospettandosi sicuramente la possibilità di ricorrere a ragionamenti di ordine presuntivo.

A quest'ultimo riguardo si premette quanto segue:

  • in merito alla prova dell'esistenza dei pregiudizi morali costituisce un'applicazione corretta dell'istituto della prova presuntiva assumere che ad ogni lesione della sfera biologica, quand'anche solo micropermanente, o della personalità si affianchi sempre un pregiudizio morale, e cioè che la violazione di tali diritti costituzionalmente tutelati sia inevitabilmente fonte di perturbamenti dell'animo, di frustrazioni ed altre situazioni di “sofferenza morale”; su ciò concordava anche M. ROSSETTI, Il danno da lesione della salute, Padova, 2001, 1114, il quale evidenziava, in relazione alla «prassi processuale» per cui il danno morale si presumeva sempre e non si accertava mai, come ciò fosse «ovvio ed anzi necessario», «sia perché non è agevole provare l'intensità del dolore altrimenti che per presunzioni (ex art. 2727 c.c., muovendo dall'entità delle lesioni); sia perché non è di norma sostenibile che da una lesione dell'integrità psichica o fisica dell'individuo non derivi almeno una sensazione di dolore, e quindi un danno morale»; anche a voler ipotizzare per assurdo che vi siano persone del tutto insensibili rispetto alla compromissione illecita del proprio corpo o della propria mente o della personalità, rimarrebbe che, per quanto consta, l'indifferenza per le disavventure subite (soprattutto con esiti lesivi dell'integrità psicofisica) non appartiene all'uomo comune e, quindi, oltre a dover essere contro-eccepita dai convenuti in giudizio, andrebbe altresì dimostrata positivamente da chi sostiene di trovarsi dinanzi ad una persona (l'attore danneggiato) tanto eccezionale da esulare completamente dalla norma; come affermato dalla Corte d'Appello di Torino, ben «può … ritenersi che un certo grado di sofferenza psicologica, poniamo x, scaturisca normalmente nella persona colpita dall'evento traumatico y e che pertanto possa essere automaticamente presunto grazie alla prova del fatto noto-lesione e del contesto di riferimento» (App. Torino, Sez. III, 5 ottobre 2009, n. 1315, Est. Scotti): «Tale automatismo presuntivo, pur vicino - da un punto di vista pratico - alla teorica del danno in re ipsa e alla categoria dei “danni punitivi”, se ne distingue per un essenziale passaggio concettuale che rispetta le scansioni della necessità di prova incombente al danneggiato. Sembra in effetti difficile negare … che una persona che subisca la frattura traumatica di un arto subisca, al di là del pregiudizio meramente biologico … anche un trauma psicologico, uno spavento, uno sconvolgimento conseguente alla percezione della propria integrità violata»;
  • in punto prova del quantum dei pregiudizi morali un giudice, il quale ricorra correttamente a ragionamenti di carattere presuntivo, non cade in automatismi: dopo le pronunce del “San Martino 2008” si è sin troppo esagerato nello spacciare per “automatismi” normali applicazioni del criterio tradizionale per cui i “dolori dell'animo” sono tanto più gravi quanto più è seria la menomazione psicofisica; questo criterio si fonda su una logica presuntiva, che, rimanendo suscettibile di correzioni nei singoli casi, è ispirata al buon senso, pragmatica, efficiente, conforme alle stesse sentenze dell'11 novembre 2008 sul ricorso alle presunzioni per la dimostrazione dei pregiudizi non patrimoniali non biologici [«attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri», Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972].

Orbene, così come si può legittimamente presumere che l'entità delle lesioni psicofisiche o delle violazioni della personalità abbia a riflettersi in misura proporzionalmente corrispondente sulla sfera morale, parimenti è possibile assumere per presunzione che la gravità della condotta abbia a sostanziare/aggravare il pregiudizio morale e che più è riprovevole/abietta l'azione o l'omissione più è significativa l'offesa subita dal danneggiato.

La pratica ci insegna, comunque, come le presunzioni siano da sostenersi adeguatamente tramite specifiche allegazioni e prove.

Se è pur vero che non è possibile fornire una prova “diretta” per ciò che sta e si agita dentro l'animo del danneggiato, cioè per l'intimo sentire o per la sofferenza per la dignità lesa, il che è stato posto in luce dalla stessa Suprema corte in svariate occasioni (il danno morale è «sofferenza interna del soggetto», quindi «non … accertabile con metodi scientifici» e suscettibile di «essere provato in modo diretto», «come per tutti i moti d'animo», «solo quando assume connotazioni eclatanti», «il più delle volte», invece, da accertarsi «in base ad indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità», Cass. civ., sez. III, 3 aprile 2008, n. 8546), nondimeno la dimostrazione del danno morale aggravato dalla condotta e della sua entità potrà presuntivamente trarsi, a mero titolo esemplificativo, dalle seguenti circostanze:

  • l'elemento soggettivo della condotta, motivazioni ed obiettivi perseguiti dal suo autore, l'eventuale riconducibilità della stessa a fenomeni criminosi di particolare rilievo sociale (per es., mafia, terrorismo, violenza sulle donne, violazione delle norme antinfortunistiche, ecc.) od a violazioni sistematiche o con effetti su larga scala;
  • la conoscibilità/conoscenza della vittima circa la gravità della condotta subita;
  • frustrazioni ed espressioni di “rabbia” manifestate dalla vittima verso i propri offensori;
  • iniziative assunte dalla vittima per perseguire i propri offensori;
  • il biasimo, da parte della comunità, dell'evento dannoso;
  • l'attenzione dedicata ai media all'evento specifico od al fenomeno cui esso si riconduce.

Quali criteri per la liquidazione/personalizzazione del “danno morale aggravato dalla condotta”?

La risposta a questo quesito non può che essere una sola: opera il criterio della valutazione in via equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.). Semmai possono prospettarsi i seguenti scenari, tali, peraltro, da confermare al di là di ogni dubbio come la valorizzazione del pregiudizio morale così come aggravato dalla condotta sia lungi dal risolversi in duplicazioni risarcitorie o nel riconoscimento di danni non compensativi.

a) La coerenza con i precedenti

In assenza di precisi criteri/parametri stabiliti a livello legislativo, del resto difficilmente immaginabili, il giudice non dovrebbe ignorare i precedenti già intervenuti a trattare il profilo in disamina, ciò onde non incorrere in discriminazioni.

Sennonché allo stato le pronunce, che, in termini di quantum liquidato, hanno attribuito in modo specifico concreta valenza alla gravità della condotta per il risarcimento del danno non patrimoniale, non offrono una casistica sufficiente a costituire un riferimento dirimente.

L'esigenza di preservare una certa qual coerenza dell'ordinamento dovrebbe indurre a ritenere non indifferente che Bobo Vieri abbia conseguito dal Tribunale di Milano (le cui tabelle sono state elevate a parametro a rilevanza nazionale) un milione di euro per un generico e non patologico «stato di inquietudine e di ansia» a fronte delle condotte dolose poste in essere dal suo datore di lavoro (investigazione e controllo delle sue telefonate), così come di sicuro interesse le liquidazioni accordate a Torino, sempre in considerazione della gravità delle condotte, per il caso della tragedia torinese dell'acciaieria della ThyssenKrupp (cfr. supra § La rilevanza della gravità della condotta ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale: l'orientamento positivo già consolidatosi in giurisprudenza).

Coerenza vorrebbe, altresì, che, se si condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. a pagare 5.000 Euro la parte che ha depositato la memoria conclusiva solo in forma telematica senza provvedere al deposito della “copia di cortesia” cartacea (così Trib. Milano, sez. II, 15 gennaio 2015, n. 534, in www.ridare.it), il danno morale sia liquidato con importi ben superiori ad una persona, la quale abbia subito anche soltanto una lesione di lieve entità per avere ricevuto un pugno o mentre si trovava ingiustamente trattenuta, con umiliazioni varie, dalla polizia (G8 Genova docet).

b) Lesioni personali e danni da uccisione: tabelle, incrementi dei parametri di base e “scale”

Nei casi, in cui operano tabelle di legge o giurisprudenziali (lesioni personali e danni da uccisone/da ferimento del congiunto), il problema è il seguente: per quale via ed in quale misura, in considerazione della gravità della condotta, è possibile incrementare il quantum rispetto ai parametri ivi riportati?

Preliminarmente occorre sottolineare quanto segue:

  • gli stessi redattori delle “tabelle milanesi” hanno precisato che il giudice, con adeguata motivazione e dinanzi a casi particolari, può modulare «la liquidazione oltre i valori massimi» (cfr., inoltre, Trib. Milano, sez. V, 6 maggio 2009, n. 6076, G.U. Spera, e Trib. Milano, sez. V, 9 giugno 2009, n. 7515, G.U. Spera, in www.altalex.it: «In ogni caso, il giudice sarà sempre libero di liquidare importi diversi da quelli indicati in tabella, con congrua motivazione, soprattutto laddove la fattispecie concreta presenti aspetti affatto peculiari»); il Tribunale milanese ha pure affermato il principio per cui, nei casi di illeciti tali da costituire fattispecie di reato, «ai fini della liquidazione del danno biologico subito dell'attore, [occorre] tenere conto delle modalità di verificazione del fatto, integrante gli estremi del reato, che ha certamente provocato all'attore sofferenze psicofisiche maggiori rispetto a quelle subite dalla vittima di un (comune) fatto illecito colposo», risultando «dunque opportuno procedere alla personalizzazione del danno con valori monetari eccedenti quelli stabiliti dai criteri tabellari normalmente applicati» (Trib. Milano, sez. X, 5 luglio 2012, G.U. Spera, ined.; cfr. analogamente i precedenti infra citati);
  • anche in seno alle linee-guida delle “tabelle romane” si rinviene sancito che «in presenza di un caso che si allontana dalle caratteristiche del cd caso medio in base al quale sono state redatte», il giudice rimane totalmente libero di «liquidare le somme che a suo avviso costituiscano il corretto risarcimento, salvo offrire una adeguata motivazione»;

per quanto concerne le tabelle recate dal Codice delle Assicurazioni Private è indubitabile che esse, allo stato, non riguardino il danno morale, questa essendo la ratio legis che le connota (cfr., da ultimo, M. BONA, Corte costituzionale n. 235/2014: cestinatela!, in Ri.Da.Re, v. § Il “danno morale aggravato dalla condotta”: indicazioni per una più equa ed accurata personalizzazione del danno non patrimoniale); anche laddove intervenissero modifiche legislative finalizzate ad ampliare la portata delle tabelle, rimarrebbe l'oggettiva inidoneità delle stesse a contemplare il danno morale aggravato dalla condotta (così come, del resto, il danno non patrimoniale da lesione di beni costituzionalmente garantiti diversi dal diritto all'integrità biologica).

Sovviene poi il noto orientamento della Suprema corte per cui la riparazione del danno morale, da effettuarsi a sua volta integralmente, deve tenere conto di tutte le circostanze del caso (gravità della condotta compresa), potendo così risultare del tutto incorretta una liquidazione circoscritta in via automatica ad una percentuale del quantum determinato per il danno biologico (cfr. supra § La rilevanza della gravità della condotta ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale: l'orientamento positivo già consolidatosi in giurisprudenza).

È pure da evidenziarsi come la partita del danno aggravato dalla condotta dovrebbe giocarsi per intero sul fronte della liquidazione e della personalizzazione della sola componente morale del danno non patrimoniale: infatti, l'oggetto dell'incremento in disamina è costituito dal maggior grado di offesa morale subita dal soggetto leso in ragione della particolare gravità della condotta.

Al contempo, tale più elevata soglia dell'offesa interiore non dipende strettamente, come invece per altri profili del danno morale, dall'entità del danno biologico e/o delle conseguenze esistenziali della lesione psicofisica o della perdita del congiunto, bensì da un fattore diverso ed indipendente: per l'appunto la gravità della condotta illecita o dell'inadempimento.

Tutto ciò induce a ritenere quanto segue: l'incremento a titolo di offesa morale aggravata dalla condotta dovrebbe effettuarsi senza operarsi quantificazioni commisurate in via percentuale al valore attribuito alle poste biologico-esistenziali.

Lo si ribadisce: qui il parametro è un altro, il riferimento è alla riprovevolezza della condotta del danneggiante ed alla sua offensività morale a prescindere dall'entità dei pregiudizi biologici ed esistenziali accusati dalla vittima così come dal dolore (morale) che, indipendentemente dalla gravità della condotta, si può provare per la lesione dell'integrità psicofisica o la perdita di un congiunto (il lutto).

La soluzione più corretta, dunque, dovrebbe essere quella di procedere ad aggiungere al danno non patrimoniale calibrato sui suoi profili più “canonici” un'ulteriore distinta somma, determinata in via equitativa e modulata (rectius motivata) in proporzione al grado di gravità della condotta posta in essere.

In pratica, la via che si caldeggia in questa sede è quella di una liquidazione equitativa “pura”, senza circoscrivere la liquidazione della componente in disamina a determinate percentuali del quantum accordato per l'invalidità temporanea e/o permanente.

Ciò ipotizzato, nondimeno si potrebbe pensare anche alla seguente soluzione:

  • fase 1: determinazione della quota corrispondente, in seno ai parametri tabellari, al danno morale “base” o “standard” (temporaneo e/o permanente); questa operazione è senz'altro possibile anche con le tabelle milanesi, laddove distinguono in seno alle colonne 2 e 3 fra «punto biologico 2008» rivalutato e percentuale di incremento standard per la posta morale; per i casi di danni da uccisione i minimi tabellari dovrebbero corrispondere al minimo sindacale stabilito per il danno morale da lutto (ossia, avendo presente la storia delle attuali tabelle, i minimi recati da queste);
  • fase 2: incremento di tale somma base in ragione del “grado di gravità della condotta”, ben potendosi presumere che più questa risulta riprovevole, più è elevato l'aggravamento dell'offesa morale;
  • fase 3: aggiunta di tale incremento al danno non patrimoniale personalizzato in considerazione di tutti gli altri pregiudizi (biologici, esistenziali e morali), quantificati senza alcuna correlazione con la gravità della condotta;
  • fase 4: eventuale contemperamento finale tra le varie poste nella prospettiva del danno non patrimoniale unitariamente inteso.

Nello specifico, ai fini della fase 2 si potrebbe immaginare di attribuire a ciascun grado di gravità della condotta alternativamente una percentuale di incremento (dall'1 al 100%) od un determinato moltiplicatore (per esempio, sulla base di una scala decimale).

Giusto per rendere l'idea si possono prospettare i seguenti modelli:

SCALA BASATA SU PERCENTUALI DI INCREMENTO DEL D.M.

colpa lieve generica

0%

colpa lieve specifica

1%-2%

colpa grave generica

3%-15%

colpa grave specifica

16%-25%

colpa cosciente generica

26%-35%

colpa cosciente specifica

36%-50%

dolo eventuale

51%-60%

dolo diretto

61%-75%

dolo intenzionale

75%-100%

SCALA BASATA SU MOLTIPLICATORI DI INCREMENTO DEL D.M.

colpa lieve

1x

colpa grave

2x-4x

colpa cosciente

5x-6%

dolo eventuale

7x

dolo diretto

8x

dolo intenzionale

9x-10x

a seconda della sussistenza o meno della premeditazione

Scale di questo tipo - logicamente affinabili - dovrebbero nella maggior parte delle situazioni scongiurare trattamenti discriminatori.

Tuttavia, questa impostazione sconta un chiaro vizio di origine: il moltiplicando è, comunque, strettamente ancorato al quantum del danno biologico, sicché in tutta una serie di casi la gravità della condotta potrebbe risultare non adeguatamente valorizzata o, all'opposto, eccessivamente enfatizzata.

Altro metodo per la personalizzazione del danno non patrimoniale in ragione della particolare gravità della condotta rispetto ad un comune fatto illecito colposo è stato delineato da alcune pregevoli decisioni rese dal Tribunale di Milano nella persona del G.U. Damiano Spera, il quale, dinanzi a specifici illeciti dolosi altresì integranti fattispecie di reato, ha incremento del doppio i valori massimi recati dai criteri tabellari sia in relazione all'invalidità temporanea che a quella permanente.

Peraltro, alcune di queste innovative pronunce hanno ovviato all'inconveniente di liquidazioni del danno non patrimoniale (incrementate in considerazione dell'aggravamento dell'offesa prodotto dalla condotta dolosa) eccessivamente vincolate al quantum tabellare per l'invalidità temporanea e/o permanente: infatti, il Tribunale ha aggiunto alla liquidazione del danno non patrimoniale “duplicato” in ragione dei reati dolosi un'ulteriore posta determinata in via equitativa, quella per la «sofferenza» connessa alla lesione di diritti costituzionalmente tutelati diversi dal diritto all'integrità biologica (onore, reputazione, decoro, identità personale, libertà sessuale, ecc.), ciò in considerazione delle seguenti constatazioni: «il danno da lesione del bene salute non è assorbito, né assorbe altre lesioni di diritti inviolabili della persona; se, oltre al diritto alla salute, vengono lesi anche uno o più diritti inviolabili, quali il diritto all'onore, alla dignità o all'immagine, o alla libertà sessuale, il giudice (di regola) dovrà accertare il giusto risarcimento con separate liquidazioni e certamente oltre i valori (complessivamente) previsti dalla tabella milanese. Può verificarsi infatti che, nelle particolari circostanze del caso concreto, il danno alla salute sia minimale rispetto al danno più rilevante alla libertà sessuale, alla libertà personale, all'onore, alla reputazione, ecc.».

In particolare vengono in rilievo le seguenti pronunce:

  • Trib. Milano, sez. X, 5 luglio 2012, G.U. Spera, ined.; l'attore, come accertato in sede penale, era stato aggredito fisicamente dal convenuto e da altre due persone rimaste ignote, venendo violentemente sospinto contro un muro e colpito con calci e pugni anche al volto, subendo così lesioni personali (trauma contusivo-escoriativo al volto ed al primo dito mano sinistra con lieve distrazione legamentosa collaterale ulnare), con conseguente periodo di inabilità temporanea parziale al 75% per giorni 7, inabilità temporanea parziale al 50% per giorni 7 ed ulteriore periodo di inabilità temporanea parziale al 25% per giorni 5, nonché postumi permanenti nella misura dell'1%; orbene, il Tribunale, per l'appunto a fronte di tali modalità dell'illecito ritenendo «opportuno procedere alla personalizzazione del danno con valori monetari eccedenti quelli stabiliti dai criteri tabellari normalmente applicati», ha proceduto attraverso due fasi: 1) dapprima ha quantificato il danno non patrimoniale, sia temporaneo che permanente, secondo i parametri tabellari («gli importi risultanti dalla tabella milanese, per la liquidazione del danno non patrimoniale permanente (con la percentuale massima di personalizzazione per un soggetto di circa 31 anni, nella specie pari al 50%) e temporaneo (Euro 136,00 per un giorno di inabilità temporanea totale) pari, rispettivamente, ad Euro 1.752,00 e ad Euro 1.360,00»); 2) poi li ha «equitativamente aumentati di circa il doppio» (Euro 3.500,00 ed Euro 2.720,00);
  • Trib. Milano, sez. X, 7 febbraio 2012, G.U. Spera, ined.: il convenuto, dopo avere portato a casa sua l'attore ed avere intrattenuto con questo un rapporto sessuale, l'aveva colpito al capo con un oggetto, provocandogli un'estesa ferita emorragica nella parte occipitale destra, e poi l'aveva denudato, privato di ogni suo effetto personale ed abbandonato in aperta campagna in stato di incoscienza; anche in questo caso il Tribunale - dinanzi ad un'inabilità temporanea assoluta per giorni 9, al 50% per giorni 20 ed al 25% per giorni 10, nonché a postumi permanenti pari al 3,5% (per esiti cicatriziali) - ha proceduto dapprima a quantificare il danno non patrimoniale da invalidità temporanea e quello da invalidità permanente secondo i parametri monetari tabellari, poi ha duplicato tali somme («l'importo risultante dall'applicazione della tabella (nei valori massimi) deve essere (pressoché) ulteriormente duplicato e per l'effetto devesi liquidare all'attore, a titolo di risarcimento per il complessivo danno non patrimoniale da lesione permanente e temporanea del bene salute, rispettivamente, le somme, rivalutate ad oggi, di € 14.000,00 e di € 6.200,00»); da notarsi come il Tribunale, altresì evidenziando come «il convenuto, nel denudare il corpo dell'attore, che a seguito di aggressione perdeva conoscenza, nel privarlo di ogni suo effetto personale e in seguito nel trasportarlo dall'abitazione sino al luogo del ritrovamento, ivi abbandonandolo, [avesse] gravemente offeso l'onore e il decoro dell'attore», abbia infine aggiunto l'ulteriore somma di € 15.000,00 «per la sofferenza … indubbiamente … derivata all'attore … per la lesione di questi altri beni costituzionalmente rilevanti»;
  • Trib. Milano, sez. X, 13 giugno 2012, G.U. Spera, ined.: l'attrice aveva subito per lungo tempo molestie morali, ingiurie, vessazioni e violenze sessuali da parte del proprio ex fidanzato, riportando un disturbo post-traumatico da stress cronico valutato nella misura del 15%, sindrome, per un periodo di un anno, manifestatasi con particolare acuzie per sei mesi al 50% e per sei mesi al 25%; anche in questo caso gli importi tabellari per l'invalidità permanente e quella temporanea sono stati incrementati del 50% per «tenere conto delle modalità di verificazione dei fatti, integranti gli estremi oggettivi e soggettivi di diversi reati, che hanno certamente provocato … sofferenze psicofisiche maggiori rispetto a quelle subite dalla vittima di un (comune) fatto illecito colposo»; a questa voce il Tribunale ha poi aggiunto, in via equitativa, l'importo di Euro 60.000,00 («Nel caso di specie è pertanto di tutta evidenza che [l'ex fidanzato], nel proferire le frasi e gli epiteti accertati nel procedimento penale e nel costringere con la violenza [l'attrice] a subire un rapporto sessuale, abbia gravemente offeso l'onore, il decoro e la libertà sessuale della stessa e debba quindi essere condannato al risarcimento del danno non patrimoniale per la sofferenza che indubbiamente ne è derivata»);
  • Trib. Milano, sez. X, 14 dicembre 2011, G.U. Spera, ined.: l'attrice era stata aggredita da parte dell'ex fidanzato che l'aveva colpita sulla regione anteriore del collo con un coltello multiuso, procurandole lesioni da punta e taglio, oltre un disturbo post-traumatico da stress; anche in questo precedente il Tribunale ha così proceduto: «Appare dunque opportuno procedere alla personalizzazione del danno con valori monetari eccedenti quelli stabiliti dai criteri tabellari normalmente applicati in questo Tribunale. Pertanto, … gli importi risultanti dalla tabella milanese, per la liquidazione del danno non patrimoniale permanente (con la percentuale massima di personalizzazione, nella specie pari al 46%) e temporaneo (Euro 136,00 per un giorno di inabilità temporanea totale) pari, rispettivamente, ad Euro 47.500,00 e ad Euro 6.800,00, devono essere equitativamente raddoppiati e pertanto devesi liquidare all'attrice, per i titoli di danno anzidetti, rispettivamente, le somme, rivalutate ad oggi, di Euro 95.000,00 e di Euro 13.600,00».

All'impostazione seguita dal Tribunale di Milano - ove distingue tra, da un lato, il danno non patrimoniale da lesione della salute (soltanto su questo versante procedendo ad incrementare il quantum, nella misura del doppio, in considerazione della gravità dell'illecito-reato) e, dall'altro lato, il danno non patrimoniale da lesione di altri diritti - si potrebbe obiettare come in realtà, dal punto di vista naturalistico, l'aggravamento del patimento morale per effetto di particolari caratteristiche dell'illecito sia da considerarsi unitariamente nel senso di rapportarsi a tutti i beni lesi dal reo: il quid pluris dell'offesa morale, prodotto dalle peculiari modalità della condotta (efferata e/o intenzionale e/o abietta), non si associa soltanto alla lesione personale, ma anche alla contestuale violazione degli altri diritti.

Inoltre la quota per il danno alla salute aggravato dalla condotta finisce per rimanere strettamente connessa alla misura dell'invalidità, ciò con il rischio di possibili svalutazioni, qualora il giudice non individui la violazione di altri diritti (del resto, non tutti i magistrati operano la distinzione tra danno non patrimoniale da lesione dell'integrità psicofisica e danno non patrimoniale da lesione di altri beni costituzionalmente tutelati).

Nondimeno, ancorché suscettibile di affinamenti, questo indirizzo giurisprudenziale risulta apprezzabile, a partire dal fatto che per questa via è del tutto chiara l'incidenza attribuita dal magistrato ai diversi fattori rilevanti per la liquidazione del danno non patrimoniale (gravità della condotta compresa).

c) Fattispecie diverse dalle lesioni personali e dai danni da uccisione: quali parametri?

Anche laddove non si prospettino danni all'integrità psicofisica o da uccisione del congiunto, potrebbero immaginarsi delle scale di graduazione degli incrementi del danno non patrimoniale commisurati ai diversi gradi dell'elemento soggettivo.

d) Può incidere sulla liquidazione del danno morale aggravato dalla condotta l'entità del profitto ricercato ed eventualmente conseguito dal danneggiante?

Tra i criteri per la liquidazione equitativa del danno il diritto positivo, con riferimento alla tutela della proprietà intellettuale ed industriale, annovera il parametro offerto dagli utili ingiustamente realizzati dall'autore della condotta illecita: l'art. 158, comma 2, legge dir. aut. prevede che «il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell'articolo 2056, secondo comma, del codice civile, anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto»; l'art. 125 C.P.I., al comma 1, precisa che «il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali … i benefici realizzati dall'autore della violazione …».

Tali norme si riferiscono sì alla liquidazione del danno patrimoniale e riguardano specifiche fattispecie; tuttavia, denotano pure come la liquidazione in via equitativa possa contemplare anche considerazioni circa i benefici economici conseguiti dal danneggiante: se ciò può valere per la quantificazione dei pregiudizi patrimoniali ai fini della tutela della proprietà intellettuale o industriale, a maggior ragione dovrebbe assumere rilievo per il risarcimento del danno non patrimoniale (il regno dell'equità), ciò in primis per la violazione di beni fondamentali dell'individuo.

Del resto, può osservarsi come la consapevolezza, da parte del danneggiato, circa il fatto, che il suo offensore ha tratto anche profitti o risparmi dalla condotta lesiva e, soprattutto, l'ha posta in essere con tali obiettivi, sia tale da incrementare la frustrazione del primo.

Pare allora logico assumere che in questa eventualità la liquidazione del danno morale aggravato possa tenere conto dell'offesa arrecata dagli eventuali benefici economici conseguiti dal danneggiante.

Come già ricordato al § La rilevanza della gravità della condotta ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale: l'orientamento positivo già consolidatosi in giurisprudenza, sovviene in questa direzione la versione del 2009 della tabella del Tribunale di Venezia, per la quale nella liquidazione equitativa del danno non patrimoniale può assumere rilievo anche «la finalità dell'agire e l'eventuale lucro conseguito».

A questo punto, però, com'è possibile in concreto attribuire valenza a questo specifico profilo?

Logicamente non si tratta di operare la retroversione del “saldo attivo” conseguito dal danneggiante, operazione che, a seconda dei casi, può assolvere ad una funzione o compensativa sul piano del risarcimento di poste patrimoniali od a obiettivi non compensativi.

Inoltre, non necessariamente ricorre una stretta correlazione tra l'entità dell'offesa morale ed il livello del beneficio economico ricercato od ottenuto dal responsabile (per es., la frustrazione del danneggiato può essere massima proprio in ragione della consapevolezza che la sua controparte, per conseguire un modesto risparmio, ha scientemente omesso di proteggerlo non adottando misure di sicurezza che avrebbero comportato costi del tutto irrisori).

Di conseguenza, risulta impossibile ipotizzare un criterio di liquidazione generale collegato al quantum del profitto o del risparmio del danneggiante.

Semmai, laddove si impiegassero scale quali quelle prospettate o metodi assimilabili a quello del Tribunale di Milano (il criterio del doppio), si potrebbe pensare ad ulteriori incrementi delle percentuali o del moltiplicatore (per es.: + 5%, oppure + 2x) per la valorizzazione dell'aggravamento dell'offesa prodotta dalla consapevolezza dei fini economici perseguiti e/o realizzati dall'autore della condotta.

Avvertenze finali: cum grano salis

Prima di tutto il modello delineato non condivide nulla con la diversa prospettiva dei “punitive damages” di marca statunitense, sicché sarebbe opportuno non rappresentare il “danno morale aggravato dalla condotta” alla stregua di un “danno punitivo”: chi si richiama alle logiche del modello USA per sviluppare le idee innanzi riportate non fa un buon servizio alla causa qui perorata.

In secondo luogo, sarà opportuno che avvocati e magistrati non impieghino le soluzioni sopra prospettate con leggerezza e con richieste/liquidazioni esorbitanti oltre ogni ragionevole limite.

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