Presunta usurara della banca: al “tasso creativo” del cliente segue la sua condanna per lite temeraria

Redazione Scientifica
06 Novembre 2015

L'usurarietà degli interessi corrispettivi o moratori va scrutinata con riferimento all'entità degli stessi, e non sulla base della sommatoria dei moratori con i corrispettivi, atteso che tali tassi sono dovuti in via alternativa tra loro; inoltre, la sommatoria rappresenta un “non tasso” o un “tasso creativo”, in quanto percentuale relativa ad interessi mai applicati e non concretamente applicabili al mutuatario. Sostenere il contrario integra una lite temeraria che espone alla condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c..

La vicenda. Una donna, dopo aver stipulato un contratto di mutuo ipotecario con una banca, agiva in giudizio contro quest'ultima, sostenendo l'usurarietà del tasso moratorio pattuito. Sicché chiedeva al giudice di merito di accertare l'invalidità della pattuizione, la conseguente non debenza degli interessi ex art. 1815 c.c. e la condanna della banca alla restituzione di quanto ricevuto in eccesso.

L'attrice, nel dettaglio, sosteneva che la somma degli interessi pattuiti - rispettivamente il 4,68% quale tasso corrispettivo e il 6,68% quale tasso moratorio – superasse la soglia limite dell'usura pari al 9,45%.

Come si calcola l'usurarietà del tasso? Il giudice, nell'affrontare la questione, precisa che «l'usurarietà degli interessi corrispettivi o moratori va scrutinata con riferimento all'entità degli stessi, e non già alla sommatoria» di questi, «atteso che detti tassi sono dovuti in via alternativa tra loro, e la sommatoria rappresenta un “non tasso” od un “tasso creativo”» (Trib. Catania, 14 maggio 2015; Trib. Padova 10 febbraio 2015, n. 739; Trib. Bologna, 17 febbraio 2015; Trib. Milano 12 febbraio 2015).

La lite temeraria. La comprovata totale e manifesta infondatezza della domanda attorea – completamente contraria al principio appena richiamato – impone, peraltro, la condanna d'ufficio della donna per lite temeraria ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. (Trib. Verona, 23 aprile 2015, n. 1070).

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