Perdita di chances di sopravvivenza: quale tutela?

10 Marzo 2017

Da oltre un decennio, la Cassazione appare orientata a riconoscere la tutela risarcitoria al paziente che abbia visto compromesse le sue opportunità di sopravvivenza, a causa di errori od omissioni da parte del medico, laddove non sia possibile stabilire che l'errato trattamento sanitario abbia provocato il decesso. Il modello di riferimento, in casi del genere, è quello della lesione della chance di carattere patrimoniale: ma le significative deroghe, da parte dei giudici di legittimità, rispetto a quello schema teorico mettono in dubbio la possibilità di operare una pura e semplice traslazione di un simile meccanismo nel settore delle chances di sopravvivenza, evidenziando la necessità di definire le coordinate attraverso le quali opera tale distinto ed autonomo modello risarcitorio.
Perdita di chances di sopravvivenza: il riferimento al modello applicato in ambito patrimoniale

Da alcuni anni la nostra giurisprudenza riconosce la tutela risarcitoria del paziente trovatosi, a seguito di un trattamento sanitario erroneo, ad essere privato dell'opportunità di sfruttare pienamente le sue chances di sopravvivenza: tale questione è stata risolta alla luce delle indicazioni derivanti dal paradigma interpretativo ordinariamente applicato dalla Suprema Corte per garantire il risarcimento alla vittima di un illecito o di un inadempimento, a seguito del quale venga a manifestarsi la perdita di opportunità favorevoli relative al conseguimento di un risultato utile di carattere patrimoniale.

Gli snodi essenziali sono focalizzabili in una pronuncia di legittimità (Cass. civ., 4 marzo 2004, n. 4400) riguardante un paziente che, accusando forti dolori addominali, veniva ricoverato al pronto soccorso con una diagnosi di globo vescicolare, per poi decedere poco meno di tre ore dopo per rottura di aneurisma dell'aorta addominale, senza che fosse possibile addivenire alla dimostrazione dell'esistenza di un nesso causale tra l'errata diagnosi e il decesso.

La Cassazione richiama, anzi tutto, la regola usualmente applicata in materia di responsabilità per colpa professionale, secondo cui, ai fini della ricorrenza del nesso di causalità tra omissione medica e decesso, basta rilevare che l'opera del professionista, se correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì serie e apprezzabili possibilità di successo. Si tratta dunque di accertare se «la condotta omissiva o in ogni caso colpevole del medico sia stata condizione necessaria dell'evento lesivo con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica».

Il principio opera nel caso in cui la richiesta risarcitoria riguardi il risarcimento costituito dal mancato raggiungimento del risultato sperato, rappresentato dalla sopravvivenza.

Una diversa ipotesi ricorre quando non sia possibile accertare il nesso causale tra morte e negligenza medica, ma risulti dimostrato che tale comportamento ha aggravato la possibilità del verificarsi di un esito infausto. In quest'ultimo caso, i giudici di legittimità riconoscono che «il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle chances, che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta».

Per affrontare questa particolare ipotesi, la Cassazione fa capo allo schema teorico usualmente applicato in materia di perdita di opportunità relative a vantaggi patrimoniali, ricordando che «la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita (…) configura un danno concreto ed attuale». Tale danno risulta incarnato dalla perdita di una consistente possibilità di conseguire un risultato utile, e deve dunque essere commisurato non già al vantaggio sperato, ma alla possibilità di conseguire lo stesso. Questo schema teorico viene ritenuto applicabile dalla Cassazione anche nel settore della perdita di chances di sopravvivenza.

Simili principi sono stati successivamente ribaditi dalla Suprema Corte (Cass. civ., 16 ottobre 2007, n. 21619), che ha evidenziato la peculiarità che riveste, sul piano teorico, l'ipotesi de lesione della chance «sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato terapeutico, da intendersi, rettamente, non come mancato di un risultato soltanto possibile, bensì come sacrificio della possibilità di conseguirlo, inteso tale aspettativa come ‘bene', come diritto attuale, autonomo e diverso rispetto a quello alla salute». Ove si ricada in un'ipotesi del genere, la Cassazione riconosce che «il ragionamento presuntivo non riguarda l'attitudine della chance a provocare l'effetto favorevole che il danneggiato non ha conseguito, bensì l'attitudine della situazione di fatto in senso lato in presenza della quale la chance può essere riconosciuta esistente» (Cass. civ., 19 maggio 2008, n. 23846). In definitiva, il danno da risarcire viene configurato quale distruzione di un'opportunità favorevole, vista nei termini di entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile.

Le conferme della Cassazione

Il riferimento al modello applicato in ambito patrimoniale risulta confermato, dai giudici di legittimità, anche nelle più recenti decisioni della Suprema Corte. Con Cass. civ., 27 marzo 2014, n. 7195 in particolare, è stato affrontato il caso di una paziente affetta da patologia tumorale, senza possibilità di guarigione, che – avendo subito l'asportazione parziale e non già totale delle ovaie – vedeva compromessa le possibilità, corrispondenti al 41%, di una sopravvivenza di cinque anni, di cui avrebbe goduto nel caso di intervento corretto. L'evento dannoso da prendere in considerazione, ai fini della verifica circa la sussistenza del nesso causale, risulta qui configurato quale «perdita della possibilità di vedere rallentato il decorso della malattia e quindi aumentata la durata della sopravvivenza». A essere posto in evidenza è l'elemento tempo, quale componente essenziale del bene della vita. La rilevanza di tale perdita, dichiara la Corte, deve essere riconosciuta «prescindendo dalla maggiore o minore idoneità della chance a realizzare il risultato sperato, ma reputandola di per sé un “bene”, cioè un diritto attuale autonomo e diverso dagli altri, ivi compreso il diritto alla salute». Una volta accertato che l'errore medico ha influito negativamente sulla possibilità di godere di un periodo (seppur limitato) di sopravvivenza, «la perdita di questa chance è comunque, in ipotesi, risarcibile, quale entità a sé giuridicamente ed economicamente valutabile». Non conta, ai fini della rilevanza risarcitoria, la percentuale di realizzabilità della chance, sulla quale si indagherà esclusivamente ai fini della quantificazione del danno.

Anche una successiva sentenza di legittimità (Cass. civ., 23 maggio 2014, n. 11522) si è occupata di un'ipotesi di omessa diagnosi relativa a un tumore incurabile: in questo caso i giudici non si sono soffermati tanto sulla perdita delle chances di sopravvivenza in capo al paziente, quanto piuttosto sul danno alla persona provocato dal ritardo nell'esecuzione di eventuali interventi palliativi, suscettibili di alleviare le sofferenze provocate dalla patologia.

In altro caso di tardiva diagnosi, riguardante una patologia tumorale particolarmente aggressiva, i giudici di legittimità (Cass. civ., 20 agosto 2015, n. 16993) hanno rilevato come l'omissione medica sia suscettibile di riverberarsi, in caso di processo morboso terminale, su un duplice versante:

  • incidendo negativamente sulla possibilità di sopravvivere per un periodo più lungo rispetto a quello effettivamente vissuto;
  • incidendo negativamente sulla possibilità di conservare una migliore qualità della vita durante quel periodo.

Per quanto riguarda la compromissione delle opportunità di cui godeva il paziente, la Corte ha sottolineato la necessità di correlare il concetto di patrimonialità al bene in relazione al quale la chance si assume perduta. Dunque, in riferimento al danno alla persona, ad una chance di conservazione dell'integrità psico-fisica o di una migliore integrità psico-fisica o delle condizioni e della durata dell'esistenza in vita».

È interessante notare come tutte le decisioni più recenti dei giudici di legittimità riconoscano la tutela del paziente anche laddove egli risulti affetto da un processo morboso ad esito fatalmente letale, per cui il risultato utile - identificato con la sopravvivenza – appare a priori non conseguibile. Questa, come altre considerazioni, spingono l'interprete a prendere le distanze da una logica propensa a traslare direttamente, nel campo della compromissione delle chances di sopravvivenza, lo schema teorico cui la giurisprudenza fa abitualmente ricorso in ambito patrimoniale. In effetti, bisogna considerare come un percorso del genere non risulti affatto scontato, dal momento che a venire in gioco appaiono opportunità connesse alla sfera strettamente personale della vittima. È di tutta evidenza la difficoltà cui si va incontro nell'assimilare, a un risultato atteso di carattere patrimoniale, un obiettivo del tutto differente, quale la sopravvivenza di chi si sottopone a un trattamento medico: diversità così radicale da mettere in dubbio la stessa possibilità di procedere all'applicazione del modello elaborato per addivenire al ristoro della perdita di opportunità favorevoli di carattere economico.

Le peculiarità della lesione di chances di sopravvivenza

La perdita delle chances di sopravvivenza è configurata dalla giurisprudenza quale ipotesi di danno risarcibile esclusivamente nei casi in cui l'errore medico non sia tale da fondare l'esistenza di un legame causale rispetto al successivo decesso. Una volta esclusa la responsabilità in ordine all'evento dannoso rappresentato dalla morte, ad essere presa in considerazione appare la lesione della chance: in questo caso assumerebbe rilevanza non già la violazione del diritto alla vita, bensì la lesione delle possibilità di sopravvivenza. Accertata la ricorrenza del nesso causale tra negligenza medica e perdita delle chances di sopravvivenza di cui godeva il paziente (attraverso l'applicazione della consueta regola civilistica del “più probabile che non”), si riconosce il risarcimento in corrispondenza alla vanificazione di tali opportunità favorevoli, che vengono ad incarnare il pregiudizio da risarcire alla vittima. La trasposizione del modello applicato in campo patrimoniale rende rilevante la chance sia sul piano dell'an (ai fini dell'individuazione dell'evento lesivo), sia su quello del quantum (per stabilire quale sia il danno da risarcire): lungo entrambi i versanti emergono, tuttavia, significative differenze rispetto allo schema di riferimento.

Per quanto riguarda la struttura del bene inciso alla lesione, in campo patrimoniale la giurisprudenza individua la sussistenza di un bene immateriale, configurabile come entità a sé stante (distinta dal risultato sperato)e corrispondente a un'utilità economica compresa nel patrimonio del soggetto. In senso analogo si procede, per quanto concerne le chances relative alla sfera personale, affermando che anche questo tipo di opportunità favorevoli sarebbero riconducibili al concetto, inteso in senso lato, di patrimonio. In realtà, un conto è qualificare in termini patrimoniali l'opportunità di conseguire un vantaggio di carattere economico, altro è riferirsi alle possibilità di sopravvivenza. Non solo non appare agevole ipotizzare per le stesse una veste di carattere patrimoniale; oggetto di discussione, in maniera più radicale, risulta la stessa praticabilità dell'idea che tali chances corrispondano, sia pure nei termini di costruzione puramente intellettuale, a un'entità tale da incarnare un bene distinto ed autonomo rispetto alla sopravvivenza in sé considerata.

Il distacco rispetto al modello applicato in ambito patrimoniale emerge anche in ordine all'individuazione dei confini entro i quali può assumere rilevanza risarcitoria la lesione della chance. Lì la tutela scatta in quanto la possibilità di ottenere il vantaggio sperato assume una consistenza concreta (di solito legata ad una percentuale superiore al 50%). Diversamente, nel campo delle chances di sopravvivenza, non rileva che le opportunità fossero o meno superiori ad un certo livello percentuale, ma soltanto che il trattamento medico abbia compromesso negativamente tali opportunità. Dal perimetro della tutela risultano escluse soltanto le ipotesi in cui risulti che, anche in presenza di una condotta diligente, le possibilità di sopravvivenza del paziente non sarebbero comunque venute a mutare.

A confermare la diversità del modello applicato interviene la constatazione che il risarcimento risulta accordato anche nelle ipotesi in cui ad essere coinvolto dalla negligenza medica sia un paziente affetto da una malattia destinata ad approdare a un esito mortale ineluttabile. In casi del genere il vantaggio sperato (sopravvivenza) appare per definizione non conseguibile; ciononostante, la giurisprudenza riconosce – secondo una logica del tutto condivisibile - come il trattamento negligente sia suscettibile senz'altro di determinare la lesione di chance anche in capo al malato terminale, con la precisazione che, in tal caso, le opportunità di sopravvivenza vengono misurate in relazione a un periodo di vita limitato, quale emerge dalle statistiche correlate a quel certo tipo di patologia.

Indicazioni per una lettura alternativa

Le illustrate differenze emerse tra i due settori portano a ritenere come il modello applicato in caso di lesione di chances di sopravvivenza risulti, in verità, del tutto autonomo, e come tale immune dalle criticità legate all'ambito patrimoniale.

A tale proposito, ricordiamo che i dubbi coltivati dagli interpreti con riguardo alla risarcibilità del danno derivante da lesione della chance patrimoniale riguardano la rilevanza dell'interesse che viene ad essere inciso in capo alla vittima; ci si interroga, in particolare, su quale sia la situazione violata a fronte della distruzione del bene, rappresentato dall'opportunità di conseguire il risultato utile, presente nel patrimonio del soggetto. Tali perplessità non si pongono, a ben vedere, per quanto riguarda il nostro campo di indagine: le chances di sopravvivenza non rappresentano, infatti, un bene a sé stante, riconducibile al patrimonio del soggetto, ma riguardano un'attitudine della persona. Ogni individuo, in quanto essere vivente, è dotato di una determinata capacità di sopravvivenza: capacità la cui conservazione viene garantita dall'ordinamento tramite l'attribuzione del diritto alla vita e che viene ad essere influenzata da una molteplicità di fattori, quali età, sesso, condizioni di vita, ecc. Tra gli elementi rientrano, ovviamente, le condizioni di salute; in particolare la presenza di patologie ad esito potenzialmente letale. In tal caso, la capacità di sopravvivenza appare condizionata da tale circostanza, ma continua a essere protetta dal diritto alla vita. È dunque quest'ultimo a costituire l'interesse da tutelare, a fronte di qualunque comportamento che incida negativamente sull'attitudine alla sopravvivenza.

Per quanto riguarda il pregiudizio da risarcire, l'applicazione delle logiche praticate in campo patrimoniale ha spinto gli interpreti ad affermare che, essendo il danno incarnato dalla perdita della chance, non emergerebbe alcun legame di carattere percentuale tra il bene compromesso e quello, differente, rappresentato dalla sopravvivenza, dal momento che la distinzione tra perdita di chance e perdita del risultato sperato sarebbe una questione di sostanza e non di quantità. In termini analoghi bisognerebbe ragionare allora per le chances di sopravvivenza.. Il fatto è che, in quest'ultimo ambito, non appare possibile ricorrere ad un'artificiosa differenziazione tra chance e risultato sperato: ad essere incisa è sempre e comunque l'attitudine alla sopravvivenza (in partenza condizionata, nel caso di lesione di chance, dalla patologia in atto). A ben vedere, è lo stesso concetto di chance ad essere richiamato in termini atecnici. In alcune sentenze, infatti, esso viene evocato anche in relazione alla perdita della possibilità di conservare una migliore qualità della vita (Cass. civ., 20 agosto 2015, n. 16993; Cass. civ., 27 marzo 2014, n. 7195). Non emerge, dunque, una diversità quanto al bene oggetto di tutela (e dunque non appare ipotizzabile la necessità di una domanda ad hoc rivolta ad ottenerne la tutela) ma la differenza andrà fatta emergere esclusivamente sul piano della quantificazione, essendo in gioco un'attitudine già compromessa dal processo morboso in atto.

La compromissione dell'attitudine alla sopravvivenza è un pregiudizio che assume carattere non patrimoniale. Tale qualificazione che non desta alcun problema sul piano di un'eventuale restrizione risarcitoria derivante dall'applicazione dell'art. 2059 c.c., una volta constatato che a venire in gioco è comunque la tutela del diritto alla vita.

Oltre al danno incarnato dalla compromissione della capacità di sopravvivenza dell'individuo, l'illecito trattamento medico potrà determinare anche ulteriori conseguenze di carattere non patrimoniale. In particolare, il paziente potrà trovarsi nella condizione di subire una sofferenza di carattere emotivo legata alla consapevolezza di essere stato privato delle opportunità di vivere più a lungo: danno, questo, riconducibile alla componente morale del pregiudizio. Potrà, inoltre, ravvisarsi la ricorrenza di un ulteriore pregiudizio, di carattere biologico, in quanto derivante da una concorrente lesione alla salute, nei casi in cui il ritardo diagnostico abbia impedito l'effettuazione di idonei interventi volti a migliorare la qualità della vita del paziente.

In conclusione

La questione della lesione delle chances di sopravvivenza, a fronte della responsabilità sanitaria, appare estremamente delicata, in quanto si intreccia con la più generale e controversa questione relativa all'accertamento del nesso causale tra i danni riportati dal paziente e il trattamento medico. Da molti interpreti l'applicazione di questo modello viene criticata, essendo un simile schema visto quale mero escamotage impiegato per assicurare la tutela del paziente anche nelle ipotesi in cui non risulti accertato il nesso causale tra il comportamento del sanitario e il decesso del paziente.

Considerazioni del genere possono essere, tuttavia, respinte una volta acclarato che, in questo campo, si tratta di riconoscere il risarcimento rispetto ad un pregiudizio che non viene ad incidere su un bene immateriale, inquadrato nei termini di opportunità favorevole riconducibile al patrimonio del soggetto, bensì viene incisa una attitudine propria dell'individuo, configurabile nei termini di capacità di sopravvivenza. Sarà l'alterazione negativa di tale attitudine, a fronte della quale appare prospettabile la lesione del diritto alla vita, a rappresentare il pregiudizio da risarcire, secondo uno schema che si stacca completamente da quello della lesione della chance patrimoniale, sottraendosi alle critiche che a quest'ultimo modello sono state mosse da molteplici voci.

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