Danno da prodotto, salute e OGM: un problema di etichettatura e non solo

10 Luglio 2014

Nella Direttiva 2001/18/CE un Organismo Geneticamente Modificato (OGM) è definito come “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o ricombinazione genetica naturale.”
OGM e diversità di approccio alla problematica

Alcune precisazioni preliminari:

  • l'art. 38 della CARTA dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (cd. Carta di Nizza 2000, come modificata a Strasburgo nel 2007), stabilisce (art. 38) “Protezione dei consumatori” “Nelle politiche dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori”;
  • in alcuni Stati dell'Unione Europea è possibile coltivare piante transgeniche (ad es. Spagna, Portogallo, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania), in altri Stati dell'Unione, se da un lato la coltivazione di alcuni OGM sarebbe consentita dalla normativa europea, dall'altro le normative interne risultano estremamente restrittive, (come ad es. in Italia, di cui si farà cenno oltre), anche se l'importazione non è vietata;
  • un dato in fase di aggiornamento, indica che nel mondo vi sono 175 milioni di ettari di coltivazioni di piante geneticamente modificate, di cui almeno il 40% si trova negli Stati Uniti, buona parte in Canada, Argentina, Brasile, Paraguay, India, Cina e Sud Africa;
  • in Italia, gran parte dei mangimi utilizzati negli allevamenti italiani è di importazione da Paesi ove i mangimi sono prodotti da soia e mais OGM, quali gli Stati Uniti, il Canada e l'America Latina.

Un dato ulteriore: nel comparto industriale delle biotecnologie, l'Italia è il terzo Paese europeo, dopo Germania e Inghilterra, con sette miliardi di Euro di fatturato e 422 aziende impegnate nel settore.

Per la definizione di biotecnologia si richiama la Convenzione sulla Diversità Biologica delle Nazioni Unite del 1992: “La biotecnologia è l'applicazione tecnologica che si serve dei sistemi biologici, degli organismi viventi o di derivati di questi per produrre o modificare prodotti o processi per un fine specifico.”

Mentre le “biotecnologie tradizionali” hanno origini antichissime (si potrebbe risalire al 6.000 a.C. quando in Egitto furono utilizzate le prime fermentazioni per ottenere birra, vino e pane o in Cina nel 4.000 a.C. con l'utilizzo di batteri fermentanti per ottenere yogurt e formaggio), per le “biotecnologie avanzate” si tratta di una storia molto recente.

Era solo il 1953, quando J. Watson e F. Crick descrivevano la struttura a doppia elica del DNA; era il 1973, quando due ricercatori statunitensi riuscirono per primi a “clonare” un gene di rana all'interno del batterio Escherichia coli, dimostrando che era possibile trasferire materiale genetico da un organismo ad un altro (e, dopo un periodo di moratoria internazionale per l'impatto della scoperta, iniziare a produrre attraverso la E. coli proteine umane ricombinanti: la somatostatina e l'insulina, commercializzata a partire dal 1981). Solo nel 1994 la Food and Drug Administration degli Stati Uniti approvò il primo alimento geneticamente modificato, il pomodoro “Flavr Savr”, mentre solo nel 2002 veniva “sequenziato” interamente il genoma della pianta di riso, prima specie di uso agricolo ad essere interamente sequenziata.

Le applicazioni biotecnologiche sono numerose, da quelle farmaceutiche a quelle industriali, a quelle ambientali; in agricoltura si parla di biotecnologie agroalimentari.

Nella Direttiva 2001/18/CE un Organismo Geneticamente Modificato (OGM) è definito come “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o ricombinazione genetica naturale.”

Con una definizione tecnica, si può dire che gli OGM vengono ottenuti tramite l'uso di tecniche di ingegneria genetica, che permettono di inserire, all'interno di un genoma di un organismo, frammenti di DNA provenienti anche da altri organismi, tramite un “vettore”. Il DNA così ottenuto è definito DNA ricombinante.

Per fare un esempio, il mais MON 810 contiene un gene del batterio del terreno Bacillus thuringiensis (Bt), che secerne tossine Bt nella pianta del mais. Tali tossine consentono di combattere le larve della piralide del mais, farfalla parassita, le cui larve pregiudicano lo sviluppo della pianta, distruggendo le cellule dell'apparato digerente delle larve, causandone la morte.

Per quanto attiene l'“approccio” degli Stati agli OGM, si può dire che vi sono due “modelli” a confronto: quello statunitense, ove solo in caso di rischio alimentare conclamato e quando il singolo produttore non ritiene di essere in grado di gestire autonomamente le conseguenze, viene bloccata la libera circolazione degli alimenti e dei mangimi, e quello dell'Unione Europea, ove vi è una lettura precauzionale del rischio, costringendo il produttore, l'importatore, il distributore ad uno sforzo di valutazione del rischio prima dell'immissione del prodotto nel mercato, con limiti alla circolazione del prodotto finché vi è un “dubbio non smentito” di salubrità.

Si potrebbe dire che il modello statunitense è orientato verso il produttore (product-oriented), - il prodotto “biotech” è una sorta di invenzione industriale, con brevetto e come tale da tutelare come attività inventiva -, mentre nell'Unione Europea vi è una lettura precauzionale del rischio; il modello comunitario potrebbe definirsi market-oriented.

L'Unione Europea e l'Italia

Come ha avuto risalto nei maggiori quotidiani, i ministri dell'ambiente dell'Unione Europea in data 12 giugno 2014 hanno trovato un accordo politico che lascerebbe ad ogni Stato membro la libertà di scegliere, se consentire o meno la coltivazione nel proprio Paese di OGM; in ogni caso il progetto è in itinere, in quanto il testo approvato dal Consiglio dovrà tornare al Parlamento Europeo per la seconda lettura (entro dicembre 2014), essendo la materia soggetta a procedura di codecisione.

Si ripercorrono, in breve, le fasi che hanno portato alla normativa attuale nell'Unione Europea e in Italia in attesa dei prossimi cambiamenti.

Unione Europea

Anni 1990 – 1997

Con la prima Direttiva 90 /220/CEE venivano stabilite determinate procedure per le autorizzazioni, ed in base a tale direttiva 17 organismi diversi, tra cui 14 piante (ad es. diverse varietà di mais, colza, soia) e due vaccini ad uso veterinari, furono autorizzati. Con il Regolamento CE 258/1997, una serie di prodotti derivati da OGM, ma non contenenti OGM (sostanze prodotte da piante geneticamente modificate, ma non contenti i semi portatori della modifica), furono ammesse al libero scambio: olio di soia e di colza, amido di mais, etc.; in tal caso la procedura di autorizzazione era più semplificata, in quanto era possibile dimostrare, che non vi erano differenze dal punto di vista nutrizionale, organolettico e tossicologico rispetto ai prodotti corrispondenti ottenuti da colture convenzionali.

Anni 1998 - 2004

In tale periodo nessun nuovo OGM venne autorizzato dall'Unione Europea, creandosi una sorta di moratoria di fatto, in quanto, nel 1997 alcuni Stati membri iniziarono a rifiutare l'autorizzazione all'uso di OGM nel propri territorio, appellandosi alla cd. “clausola di salvaguardia” e nel 1998 diversi Stati votarono per il blocco delle autorizzazioni di OGM a livello europeo, finché non fosse garantito il diritto di scelta dei cittadini attraverso norme sull'etichettatura ed una revisione della normativa alla luce del principio di precauzione.

Le multinazionali agrobiotecnologiche e gli Stati Uniti, in quanto maggiori produttori di piante OGM, denunciarono il mancato rispetto degli accordi sul commercio internazionale, regolati dall'Organizzazione Mondiale del Commercio, per il principio che solo pericoli per la salute scientificamente provati, possono costituire una barriera all'importazione e nel maggio 2003 Stati Uniti, Canada e Argentina promossero azione formale presso l'OMC, in quanto la moratoria europea non era sostenuta da nessuna evidenza scientifica di rischio per la salute umana, animale o dell'ambiente.

Anno 2001 - la nuova fase: il principio di precauzione

Dopo ampi dibattiti trovò la luce la Direttiva 2001/18/CE, che riscriveva le regole per l'approvazione di OGM; subito dopo furono approvati i Regolamenti n. 1829/2003/CE e n. 1830/2003/CE, che regolano autorizzazione, etichettatura, tracciabilità degli alimenti e dei mangimi (food & feed) costituiti o derivati da OGM; la Raccomandazione 556/2003, che indica le linee guida sulla coesistenza tra colture OGM e convenzionali, cui le norme nazionali e regionali dovrebbero allinearsi; in materia di coesistenza, da ultimo, è stata pubblicata la Raccomandazione della Commissione UE 13 luglio 2010 Racc 2010/ C 200/01.

Il principio che informa la direttiva 2001/18/CE è il principio di precauzione, volto alla valutazione di tutti i rischi potenziali, con autorizzazioni rilasciate solo per un limitato periodo di tempo, durante il quale vi è obbligo di monitoraggio sugli effetti ambientali e sanitari.

La procedura in estrema sintesi è la seguente:

1) le aziende che abbiano sviluppato un certo organismo, devono presentare domanda (con dossier scientifico) alla Commissione Europea

2) la valutazione viene fatta dall'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA, con sede in via Carlo Magno n. 1 a Parma), che fornisce il suo parere alla Commissione

3) la Commissione vota tramite un esperto per Stato membro; se non si raggiunge il consenso nel Comitato di esperti

4) la decisione va al Consiglio dei ministri, che vota con maggioranza qualificata; se non si raggiunge la maggioranza in Consiglio

5) la decisione torna di nuovo alla Commissione. Ad oggi, per le varietà di OGM attualmente autorizzate, non si è raggiunta la maggioranza, né nel comitato di esperti, né in Consiglio, e alla fine l'autorizzazione è stata data dalla Commissione, in base al parere dell'EFSA

Per l'etichettatura è stato individuato il valore soglia dello 0,9% di proteine e/o DNA derivanti da modificazioni genetiche presenti nell'alimento e nei singoli ingredienti, al di sotto del quale è consentito non etichettare il prodotto come contenente OGM.

Italia

Rispetto alla normativa europea, nel 2000 il decreto Amato invocò la clausola di salvaguardia (nel 2004 il Tar Lazio annullò tale decreto). La direttiva 2001/18/CE venne recepita dall'Italia attraverso il d.lgs. n. 224/2003, aggiungendo alcune restrizioni ulteriori in materia di valutazione preventiva. Per quanto attiene la coesistenza tra coltivazioni convenzionali, biologiche e OGM, era stato approvato il decreto legge n. 279/2004 divenuto L. n. 5/2005, che prevede la parità tra i diversi tipi di agricoltura, demandando a Regioni e province autonome l'approvazione di un “piano di coesistenza”; con sent. C. cost., n.116/2006 il decreto venne dichiarato parzialmente incostituzionale. Attualmente la problematica della coesistenza tra colture (tradizionali, bio e OGM) è di competenza delle Regioni e molte di queste hanno stabilito norme severe in materia di contaminazione e coesistenza, tali da rendere effettivamente difficoltosa la possibilità di coltivare OGM in Italia (ad es. stabilendo determinati tempi di raccolta, per evitare che si arrivi ad un periodo di eccessiva “maturazione”, e ci sia dispersione di OGM nelle colture limitrofe e quindi la contaminazione tra OGM e colture tradizionali, etc..).

Il contenzioso per le autorizzazioni

Come dianzi accennato, il mais Bt è una pianta di mais modificata geneticamente in modo da produrre una tossina batterica, proveniente dal Bacillus thuringiensis (da cui il nome Bt), tossica per gli insetti.

Le procedure di autorizzazione in seno all'Unione Europea sono spesso lunghe e difficoltose. Era l'anno 2001, quando le società Pioneer e Mycogen presentavano alla competente autorità spagnola una notifica, ai sensi della precedente direttiva, per l'immissione in commercio del Mais 1507; l'EFSA nel 2005 si era pronunciata, ma il Comitato della Commissione Europea “latitava”, per cui la società Pioneer decise di adire la Corte di Giustizia ex art. 265 TFUE, con causa T-164/10, che effettivamente dichiarò la carenza della Commissione, la quale a quel punto dovette procedere. Tuttavia in Commissione non si raggiunse la maggioranza necessaria, passando quindi la decisione al Consiglio, che in data 11 febbraio 2014 non raggiunse la maggioranza qualificata, tornando quindi la questione alla Commissione. In data 12 giugno 2014 la Commissione ha preannunciato che intende autorizzare la coltivazione del mais transgenico TC 1507 del gruppo Pioneer, anche se non ha precisato quando.

Nel caso della patata Amflora, prodotta dalla multinazionale BASF, (patata OGM concepita per utilizzi industriali per produrre carta e colla, e non per scopi alimentari), dopo vari pareri dell'EFSA, nel 2009 si giunse ad un parere consolidato dell'EFSA, e sulla base di questo la Commissione rilasciò le autorizzazioni (anziché trasmettere gli atti ai Comitati); tali decisioni furono però impugnate dall'Ungheria ex art. 263 TFUE e annullate con sentenza del Tribunale UE del 13 dicembre 2013 e la vicenda è ancora aperta.

In ambito italiano sono in corso attualmente alcuni procedimenti. Il caso è quello di un'azienda agricola che ha fatto richiesta al ministero delle Politiche agricole per l'autorizzazione alla coltivazione di varietà di mais geneticamente modificate iscritte nel catalogo comune europeo, con risposta del ministero di non poter procedere all'istruttoria, perché la competenza era delle Regioni (per regolamentare la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche) e quindi con ricorso prima al TAR e poi al Consiglio di Stato da parte dell'azienda agricola. Il Consiglio di Stato, verificato che la varietà di mais era tra quelle consentite in sede comunitaria, accolse il ricorso dell'azienda, dichiarando l'obbligo del ministero di provvedere in caso di inerzia delle Regioni nel dare attuazione agli obblighi comunitari. Dopo varie vicende, tra cui, in ambito penale, il sequestro preventivo del mais OGM coltivato senza la prescritta autorizzazione e Cass. pen. Sez. III, 22.03.2012 n. 11148, che respinse il ricorso dell'agricoltore che ricorreva contro il provvedimento del Tribunale, da ultimo sono state depositate la sentenza TAR Lazio, 23 aprile 2014 a seguito ricorso n. 10302/2013 e la sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia, 24 aprile 2014 su ricorso n. 378/2013; nella motivazione di tale ultima decisione, a fronte di quanto contestato e dedotto dal ricorrente sig. Fidenato (titolare di azienda agricola situata in Friuli), si legge: “… L'intervento della Regione riguarda solo la fase della raccolta, non già quella della semina e dell'autorizzazione e la coltivazione de qua non viene affatto proibita dalla Regione medesima. ..” “.. le stesse disposizioni riguardanti la data di raccolta mirano a evitare che l'eccessiva maturazione delle spighe renda maggiormente probabile la commistione delle colture. Anche le disposizioni criticate dal ricorrente riguardanti la natura e la rimozione del terreno hanno lo scopo evidente di evitare che rimangano nel terreno stesso piante geneticamente modificate, con il rischio di contaminazione dei terreni limitrofi.” Ora si attende la decisione del Consiglio di Stato.

Il contenzioso per le richieste di risarcimento da parte dei coltivatori

Alcuni esempi.

La Corte federale degli Stati Uniti ha condannato la Bayer Crop Science a pagare due milioni di dollari di risarcimento a due risicoltori che avevano subito nel 2006 la contaminazione dei propri raccolti da parte di una varietà sperimentale di riso transgenico; Bayer non era stata in grado di controllare la diffusione del riso OGM nonostante avesse applicato le buone prassi per fermare la contaminazione.

Alcuni stati dell'India hanno proceduto legalmente nei confronti della Bayer (CropScience) per la fornitura di sementi OGM per la coltivazione di riso transgenico in India, accusando che vi è stato un calo nei raccolti, anziché l'auspicato aumento; la Bayer si difende imputando il calo dei raccolti alla cattive condizioni meteo e alla gestione sbagliata delle colture.

Nel 2003 Coldiretti Piemonte denunciava la presenza sul territorio di coltivazioni di mais contaminate; si legge nel comunicato: “Occorre accertare fatti e responsabilità, introdurre misure di tutela ambientale contro il rischio di eventuali inquinamenti e risarcire gli imprenditori agricoli danneggiati dall'inconsapevole uso di sementi contaminate da OGM commercializzate, in frode alla legge, nonostante il divieto in vigore in Italia.”

La questione dal punto di vista del consumatore: danno da prodotto ed etichettatura

Il Codice del Consumo (Dl. n. 206/2005) all'art. 5 (Obblighi generali) al comma II, stabilisce: “Sicurezza, composizione e qualità dei prodotti e dei servizi costituiscono contenuto essenziale degli obblighi informativi”, mentre nell'art. 6 (dal titolo “Contenuto minimo delle informazioni”) si legge: c. I “I prodotti o le confezioni dei prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio nazionale, riportano, chiaramente visibili e leggibili, almeno le indicazioni relative: … e) ai materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto”.

Lo scopo della normativa è quello di rendere libero il consumatore di scegliere, consapevolmente, quanto sta acquistando.

Il caso

Un caso molto specifico, ma emblematico delle difficoltà della materia, difficoltà apparentemente ermeneutiche, ma di fatto sostanziali per gli interessi in gioco, riguarda la sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione), 6 novembre 2011 nel procedimento C- 442/09, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell'art. 234 CE, dal sig. Bablok contro Freistaat Bayern (la Baviera), con l'intervento della Monsanto Technology LLC, Monsant Agrar Deutschland GmbH, Monsanto Europe SA/NV. La controversia era stata promossa dai Sigg. Bablok e da altri apicoltori, riguardo alla presenza in taluni prodotti apicoli, di polline di mais geneticamente modificato.

La premessa in fatto era, in sintesi, la seguente: nel 1998 la Monsanto Europe aveva ottenuto regolare autorizzazione dalla Comunità Europea all'immissione in commercio di granoturco geneticamente modificato, ma con decisione del 17 aprile 2009 la coltivazione del mais MON 810 era stata vietata in Germania. Il mais MON 810 contiene un gene del batterio del terreno Bacillus thuringiensis (Bt), che secerne tossine Bt nella pianta del mais, per combattere le larve della piralide del mais. Il Freistaat Bayern (la Baviera) è proprietario di diversi terreni sui quali, negli ultimi anni, era stato coltivato il MAIS 810 a fini di ricerca. Il sig. Bablok gestiva un'attività di apicoltura in un campo in prossimità di quelli appartenenti allo Freistaat Bayern, producendo anche polline, che vendeva come prodotto alimentare sotto forma di integratore. Nel 2005, nel polline (di mais) estratto dal sig. Bablok dagli alveari posti a distanza di 500 m da quelli con mais OGM, era stata riscontrata la presenza di DNA di mais MON 810 nella misura del 4,1% rispetto al DNA complessivo del mais e di proteine transgeniche.

Senza ripercorrere tutta l'articolata motivazione della Corte, si evidenzia quella che era la tesi propugnata dalla Commissione Europea, che effettuava un distinguo tra “ingrediente” e “elemento costitutivo naturale”, indicando che, appartenendo il polline alla seconda categoria, non sarebbe rientrato nell'ambito di applicazione del Reg. 1829/2003 art. 3 n. 1 lett. c).

La Corte respingeva l'interpretazione della Commissione e così statuiva: “gli artt. 2, punti 1, 10, 13, e art. 3, n. 1, lett. c) del reg. n. 1829/2003, art. 2 del regolamento n. 178/2002 e 6 n. 4 lett. a) della direttiva 2000/13 devono essere interpretati nel senso che, qualora una sostanza come il polline contenente DNA e proteine geneticamente modificati non possa essere considerata un OGM, prodotti quali il miele e gli integratori alimentari contenenti una siffatta sostanza costituiscono, ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. c) del reg. n. 1829/2003, “alimenti (…) che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM”.”

Ora, la differenza ha non poco rilievo, sol che si pensi che, se il polline è classificato come componente naturale, e non come ingrediente, qualora la percentuale di polline contaminato OGM sia inferiore alla soglia dello 0,9% non va indicato in etichetta, in base alla normativa vigente in materia. E, per quanto attiene l'Italia, in base ai dati della Coldiretti, il nostro Paese ha importato nel 2013 un quantitativo superiore alla produzione nazionale, per un totale di 18 milioni di chili di miele, dei quali quasi la metà dall'Ungheria, circa il 10% dalla Cina, oltre che da Romania, Argentina e Spagna, tutti Paesi ove sono autorizzate le coltivazioni OGM.

Ma, il 3 giugno 2014 è stata pubblicata nella Gazz. Uff. dell'Unione L. 164/1 la Direttiva 2014/63/UE che modifica la direttiva 2001/110/CE del Consiglio concernente il miele, che stabilisce che il polline non è un ingrediente del miele, ma un suo naturale componente.

E, come detto, tale principio ha rilevanti conseguenze in materia di etichettatura per i mieli che contengono tracce di polline derivante da organismi geneticamente modificati, per i quali non sarà necessaria l'indicazione in etichetta, nel caso la quantità di polline “contaminato” non superi lo 0,9 % e non sia stato introdotto volontariamente.

Conclusioni

In un mondo ormai assolutamente “globalizzato”, sembrano aprirsi, in conclusione, nuovi scenari per la tutela giurisdizionale dei diritti, con “nuove” tipologie di contenziosi, sia che si tratti di difesa dei consumatori, che di tutela dell'ambiente, sia si tratti di attività industriali “biotech”, piuttosto che di produzioni agricole.

De iure condendo, si aprono anche problematiche a livello di “omogeneità” normativa tra Stati e a livello mondiale (si pensi semplicemente ai casi degli Stati che vietano la coltivazione sul proprio suolo di OGM, ma poi importano mangimi OGM), in un pianeta che, come ricorda anche il tema dell'Esposizione Universale 2015, è sempre più affamato di cibo.

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