Casi giudiziari gravi e diritto all’oblio: prevale l’interesse pubblico

Ilenia Alagna
11 Aprile 2017

Nelle vicende giudiziarie di grave entità l'interesse pubblico a conoscere le notizie prevale sul diritto all'oblio delle persone coinvolte. Con questa motivazione il Garante della Privacy ha dichiarato infondata la richiesta di deindicizzazione di alcuni articoli presentata da un ex consigliere comunale.
Il caso analizzato dal garante privacy e le diverse accezioni del diritto all'oblio

Nel 2006 un ex consigliere comunale fu coinvolto in un processo per corruzione e truffa, conclusosi nel 2012 con sentenza di patteggiamento e pena interamente coperta da indulto.

Dopo il rifiuto di Google relativo alla deindicizzazione delle suddette vicende giudiziarie richiesta dall'uomo, questo ha presentato ricorso al Garante chiedendo la rimozione di alcuni URL che risultavano digitando il suo nominativo nel motore di ricerca.

Secondo il ricorrente, la permanenza di tali notizie sul web era priva di interesse poiché queste si riferivano a molti anni addietro, causandogli peraltro un danno all'immagine, alla vita privata e all'attuale attività lavorativa, non più legata ad incarichi pubblici.

Il diritto all'oblio, ovvero il diritto di un individuo a non essere più ricordato per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca, è anche l'esigenza al proprio anonimato, quando l'interesse pubblico alla conoscenza di un fatto ricompreso nello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, si affievolisce fino a scomparire.

Tale concetto ha avuto diverse interpretazioni, e dottrina e giurisprudenza si sono interrogate su quale sia il punto di equilibrio tra il diritto di cronaca, costituzionalmente garantito nei limiti della verità, pertinenza e continenza, e il diritto alla reputazione, alla riservatezza e all'onore. Il legislatore ha dunque cercato di fissare tali concetti all'interno del Codice della Privacy (d.lgs. n. 196/2003) prevedendo, da un lato, l'opportunità per i giornalisti, di trattare entro determinati limiti i dati dell'interessato anche in deroga alla normativa vigente, e dall'altro la possibilità per l'interessato di avere un ruolo attivo nella gestione dei propri dati personali, per le notizie che lo riguardano.

Con l'avvento di Internet il contesto in cui si colloca il diritto all'oblio è notevolmente cambiato relativamente al concetto di pubblicità e di tempo.

Quando una notizia è pubblicata nel web rimane a disposizione degli utenti per un tempo indefinito: non sarà più necessario prendere in considerazione il periodo di tempo intercorso tra una pubblicazione e l'altra, avrà invece rilevanza la persistenza dell'informazione in rete. Dal punto di vista giuridico, non si dovrà più giudicare la liceità di una nuova pubblicazione, ma collocare la notizia già pubblicata in un tempo presente, passando a valutare se le sia stato attribuito il giusto peso attraverso la contestualizzazione, affinché non leda la personalità dell'individuo. La Corte di Cassazione, difatti, ha condiviso tale orientamento in una pronuncia del 2012, sostenendo che il diritto all'oblio non è tanto un diritto a dimenticare, quanto un diritto alla contestualizzazione.

Ulteriore accezione considera il diritto all'oblio come il diritto alla rettifica e alla cancellazione dei dati personali, o all'opposizione al trattamento degli stessi come previsto dall'art. 12 della direttiva 95/46/CE, dalla quale deriva il d.lgs. n. 196/2003. Tale ultimo significato ha dato vita ad una delle più rilevanti ma anche rivoluzionarie sentenze della Corte di Giustizia Europea: nel 2014 la Grande Sezione è intervenuta riguardo gli obblighi dei gestori di motori di ricerca per la tutela dei dati personali, soffermandosi su modalità e limiti temporali dell'attività di indicizzazione degli stessi nel caso Google Spain.

Le decisioni di Google e del Garante privacy a partire dalla sentenza Google Spain

La Sentenza del caso Google Spain non ha lasciato indifferente Google, che ha adottato una soluzione che coincidesse con la direttiva europea in tema di trattamento dei dati personali, nonché con la decisione della Corte di Giustizia.

Nel 2010 il sig. Mario Costeja González, cittadino spagnolo, presentò all' AEDP, Agenzia spagnola di protezione dei dati, un reclamo contro l'editore di un quotidiano spagnolo molto noto (La Vanguardia Ediciones SL), e contro Google Spain e Google Inc.

Il sig. González sosteneva che inserendo il proprio nominativo nel motore di ricerca «Google Search», l'elenco di risultati mostrava dei link verso due pagine del quotidiano spagnolo, datate gennaio e marzo 1998. Tali pagine contenevano una vendita giudiziaria di immobili organizzata a seguito di un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali nei confronti del Sig. González stesso. Quest'ultimo affermava che, a distanza di sedici anni e ad avvenuta definizione del procedimento di pignoramento, la menzione del proprio nominativo nel web era priva di qualsiasi rilevanza. Per tali ragioni egli chiedeva, in primo luogo, al quotidiano di sopprimere o modificare le pagine suddette affinché i dati personali dell'interessato non vi comparissero più, oppure di utilizzare appositi strumenti forniti dai motori di ricerca per proteggere tali dati. In secondo luogo, si chiedeva che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di rimuovere o di occultare i propri dati personali, in modo che non comparissero più tra i risultati di ricerca e tra i link del quotidiano.

Mentre il reclamo contro La Vanguardia è stato respinto, poiché l'editore aveva legittimamente pubblicato le informazioni in questione, quello nei confronti di Google Spain e Google Inc. è stato accolto.

Conseguentemente Google Spain e Google Inc. hanno chiesto l'annullamento della decisione della AEPD con ricorso dinanzi all'Audiencia Nacional, che ha sospeso il procedimento e, data l'importanza della questione, ha sottoposto in via pregiudiziale il caso alla Corte di Giustizia dell'Unione europea.

È in questo contesto che la Corte ha sostenuto la sussistenza di una responsabilità in capo ai motori di ricerca quanto al trattamento dei dati personali, dando un'interpretazione estensiva del trattamento stesso, delineandone altresì l'ambito di applicazione dal punto di vista territoriale definendo il concetto di “stabilimento”.

Nella sentenza, si è precisato che, qualora le informazioni riguardanti un soggetto possano essere reperite attraverso l'inserimento del proprio nome all'interno del motore di ricerca, il gestore è tenuto, in presenza di determinate condizioni, ad eliminare dall'elenco di risultati i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a tale persona. Il motivo di tale estensione della responsabilità si ritrova nel fatto che, in un sistema simile, chiunque potrebbe avere facilmente il quadro della vita privata di un soggetto inserendo il suo nome nel web, ottenendo informazioni che altrimenti non avrebbe potuto procurarsi.

La Corte ha inoltre stabilito la possibilità di effettuare la richiesta di rimozione del collegamento alle informazioni direttamente al gestore del motore di ricerca, il quale dovrà procedere all'esame della fondatezza della stessa; qualora questo non provveda, il soggetto interessato potrà adire direttamente l'autorità di controllo o l'autorità giudiziaria affinché queste verifichino ed ordinino a detto responsabile l'adozione di conseguenti misure.

Nonostante tale Provvedimento dia un quadro preciso relativamente alla tutela dell'utente, non è possibile parlare di completa eliminazione delle informazioni dal web.

Nel caso ora analizzato, Google, tenendo a mente le decisioni e gli orientamenti ormai consolidati della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ha analizzato le istanze dell'uomo stabilendo di non procedere alla deindicizzazione, ad eccezione delle tre URL segnalate dall'utente, che già nel mese di giugno non figuravano più nella SERP. Per tali motivi l'uomo presentò ricorso al Garante Privacy facendo leva sul fattore del tempo, ovvero la lontananza nel passato dei fatti in cui è stato coinvolto e sulla mancanza di un interesse pubblico rispetto alle notizie relative alla propria persona, avendo abbandonato l'incarico pubblico di consigliere comunale.
L'Autorità, che già in altre occasioni si era mostrata in linea con l'orientamento del motore di ricerca, ha confermato la posizione di Google, negando all'uomo la deindicizzazione. Infatti il Provvedimento n. 400 del 6 ottobre 2016 ha affermato che non si può invocare il diritto all'oblio per vicende giudiziarie di particolare gravità e il cui iter processuale si è concluso da poco tempo; in tali casi, difatti, prevale l'interesse pubblico a conoscere le notizie.

Il Garante, nella propria analisi, ha ricordato che il trascorrere del tempo «incontra un limite quando le informazioni per le quali viene invocato risultino riferite a reati gravi». In particolare rilevava che la vicenda giudiziaria del ricorrente si è conclusa nel 2012, quindi in tempi relativamente recenti e, considerate la "particolare gravità" dei reati ascritti al soggetto ricorrente nonché l'attualità di certi URL, che testimoniano il vivo interesse pubblico, ha ritenuto infondata la richiesta di rimozione degli URL.

L'Autorità, anche alla luce delle Linee guida dei Garanti europei, ha rilevato che il trascorrere del tempo, componente essenziale del diritto all'oblio, incontra un limite quando le informazioni di cui si chiede la deindicizzazione siano riferite a reati gravi che hanno destato un forte allarme sociale; pertanto ha stabilito che in tali casi le richieste vanno valutate caso per caso.

Il Garante ha trattato il tema del diritto all'oblio con un intento di sensibilizzazione degli utenti ad un più intelligente uso della Rete richiamando il recente caso della giovane Tiziana Cantone, che dopo la diffusione di un video pornografico, diventato virale in Rete, ne ha chiesto la rimozione all'Autorità giudiziaria. Nonostante la decisione, in alcuni punti contrastante (il Tribunale di Napoli ha infatti riconosciuto da un lato il ritardo dei provider nella rimozione dei contenuti di cui sopra, mentre dall'altro ha negato la legittimità dell'esercizio al diritto all'oblio) la donna ha considerato il suicidio l'unica via d'uscita dalla situazione che da tempo la affliggeva.

Il Garante sostiene quindi che prima di postare un video o scrivere un giudizio in rete occorre utilizzare la stessa prudenza e responsabilità che si utilizzerebbero nella vita reale, proprio perché la vita dei social non è esclusivamente vita virtuale.

Diritto all'oblio vs diritto di cronaca

Una delle questioni più importanti riguardo il diritto all'oblio è determinare se esso prevalga o meno sul diritto di cronaca e quale sia il confine tra informazione e lesione della personalità. Il diritto di cronaca è riconosciuto dall'ordinamento italiano tra le libertà di manifestazione del pensiero e consiste nel diritto alla pubblicazione di ciò che è collegato a fatti e avvenimenti di interesse pubblico. L'esercizio di tale diritto non può avvenire in maniera assoluta e indiscriminata, occorre quindi rispettare i limiti che contemperino il diritto di cronaca con quello all'onore e alla dignità. Tali limiti identificabili nella verità, nella correttezza e nella continenza della notizia vanno a segnare il confine sottile tra l'esercizio di un diritto ed il reato di diffamazione.

È quindi fondamentale che la notizia pubblicata sia vera e che sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti. Il diritto di cronaca, infatti, giustifica intromissioni nella sfera privata laddove la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Il principio di continenza, infine, richiede la correttezza dell'esposizione dei fatti e che l'informazione venga mantenuta nei limiti dell'obiettività.

Ci si domanda se il riattualizzare una notizia di cronaca dopo un certo periodo di tempo, vada oltre i limiti di cui sopra fino a costituire una lesione della personalità del diretto interessato, rendendo possibile l'esercizio del diritto all'oblio, o se invece il diritto all'informazione, riguardando la collettività, ampli i limiti stessi prevalendo sul diritto del singolo.

Con sentenza n. 13161 (Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2016 n. 13161), la Corte di Cassazione si è espressa relativamente ad una vicenda giudiziaria la cui analisi potrebbe dare una prima risposta al quesito.

Il Tribunale di Chieti condannò al risarcimento del danno per violazione del diritto all'oblio il direttore e l'editore di una testata giornalistica telematica per la permanenza indefinita di un articolo su una vicenda giudiziaria avente carattere penale la quale aveva coinvolto i ricorrenti per un fatto avvenuto tempo prima e che non si era ancora conclusa. I ricorrenti lamentavano naturalmente il pregiudizio alla propria reputazione personale con conseguente danno all'immagine di un locale da loro gestito.

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, sostenendo che, benché le modalità iniziali di pubblicazione e diffusione dell'articolo in rete fossero lecite, come le modalità di conservazione e di archiviazione dello stesso, l'illecito trattamento di dati personali è stato ravvisato nel mantenimento dell'accesso a quel servizio giornalistico pubblicato molto tempo prima e della sua diffusione sul Web, quanto meno a decorrere dal ricevimento della richiesta nel settembre 2010 per la rimozione della pubblicazionedalla rete.

Tale Provvedimento è coerente con il fondamento normativo del diritto all'oblio contenuto nell'art. 11 del d.lgs. n.196/2003, il quale stabilisce che il trattamento non sia legittimo qualora i dati siano conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati. Con l'art. 7 dello suddetto decreto, è prevista la necessità per l'interessato di avere conoscenza di chi detiene i suoi dati personali, del modo in cui li adopera ma anche di opporsi al trattamento degli stessi chiedendone la cancellazione, la rettifica, l'integrazione, l'aggiornamento o il blocco.

Il diritto all'oblio può quindi essere considerato come la naturale conseguenza del diritto di cronaca, il quale per essere esercitato necessita di un interesse della collettività ad essere informata; di conseguenza con il trascorrere del tempo lo stesso interesse pubblico va affievolendosi diventando così ingiustificato e lesivo il facile raggiungimento della notizia attraverso la ricerca in rete.

Occorre domandarsi se esistano dei casi per cui l'interesse collettivo permanga. Sul punto si è espresso il Garante della Privacy, analizzando due diverse vicende.

La prima riguarda il caso in cui uno strumento di informazione riattualizzi un fatto di cronaca giudiziaria risalente nel tempo al fine di rendere noti gli attuali sviluppi della vicenda stessa.

Il provvedimento del Garante Privacy n. 187 del 21 aprile 2016 si riferisce al caso di un imprenditore che riteneva la reperibilità in rete sul sito di un quotidiano di un articolo che lo riguardava, come lesivo della sua reputazione professionale e personale dato che la notizia riguardava una vecchia vicenda giudiziaria, che non aveva più alcun interesse pubblico. Il quotidiano, dal canto suo, riteneva di aver pubblicato i risvolti attuali della stessa vicenda, nello specifico il rinvio a giudizio del ricorrente.

La posizione del Garante è stata a favore del quotidiano poiché, secondo l'Autorità il trattamento dei dati dell'imprenditore si riferiva a fatti rispetto ai quali poteva ritenersi ancora sussistente l'interesse pubblico alla conoscibilità della notizia in quanto gli sviluppi processuali, oggetto della nuova pubblicazione, ne hanno rinnovato l'attualità.

Quanto alla seconda situazione, in cui l'interesse collettivo all'informazione è prevalente, si fa riferimento al caso ora analizzato (provvedimento n. 438 del 27/10/2016).

Non si può assumere in via assoluta il prevalere dell'uno o dell'altro diritto, ma per ogni singolo caso, vanno valutate tutte le circostanze, al fine di tutelare l'interesse che, risulti preminente, nel caso concreto.

A seguito della pronuncia della Corte di Giustizia europea, si è avvertita sempre più la necessità di dettare delle linee guida per un'interpretazione conforme del diritto all'oblio in tutti i paesi dell'Unione. Difatti quest'ultimo è stato recepito nel Regolamento dell'Unione europea sulla protezione dei dati n. 679/2016 ove all'art. 17 è titolato “diritto alla cancellazione”. In particolare l'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo, se viene meno la necessità che ne rendeva lecito il trattamento, se l'interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento, e se non sussiste altro motivo legittimo per procedere allo stesso ecc.

La normativa europea stabilisce, inoltre, dei casi in cui l'interessato non può esercitare il diritto all'oblio per fatti che lo riguardano in presenza di due ipotesi. La prima si verifica se il trattamento dei dati personali è effettuato per l'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; la seconda nel caso in cui il trattamento sia effettuato per l'adempimento di un obbligo legale previsto dal diritto dell'Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento, o per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento.

Il diritto all'oblio potrà essere limitato solo in alcuni casi specifici: ad esempio, per garantire l'esercizio della libertà di espressione o il diritto alla difesa in sede giudiziaria; per tutelare un interesse generale (come la salute pubblica); oppure quando i dati, resi anonimi, sono necessari per la ricerca storica o per finalità statistiche o scientifiche.

Il diritto all'oblio può essere considerato come diritto della personalità?

Diviene naturale chiedersi se, in uno scenario come quello attuale ove la vita reale è riflessa ed influenzata dal digitale, aggiungere il diritto all'oblio alla lista dei diritti a tutela della personalità sia da considerare come doveroso.

Se si analizza il diritto all'oblio, nelle prime due accezioni suddette, si può notare che il bene tutelato è quello dell'identità personale. Si tratta, infatti, del diritto a non vedere travisata la propria immagine sociale; tale concetto si basa sul fatto che i motori di ricerca, attraverso le loro operazioni di raccolta e archiviazione dei dati, ricreano un'immagine digitale del soggetto non meno vera di quella reale. Si può quindi affermare che il diritto all'oblio è strumentale rispetto alla tutela del diritto all'identità personale.

La situazione cambia se, ad essere presa in considerazione, è la terza accezione, cioè quella del diritto all'oblio come diritto alla cancellazione dei dati se non più adeguati, aggiornati o pertinenti; In tal caso il bene giuridico tutelato dal diritto, non è più l'identità personale, bensì il dato personale.

In ogni caso la tutela dei dati e la tutela dell'identità personale sono concetti quasi sovrapponibili, in quanto i dati considerati nella Sentenza Google Spain, dalla legge italiana e dal nuovo Regolamento europeo, sono quelli che delineano l'immagine della persona in rete, la cui lesione può definire i suoi effetti sull'immagine reale del soggetto.

Un elemento essenziale è quello del tempo. Posto che l'immagine di un soggetto non è un'entità statica, ma qualcosa che si evolve con il passare degli anni parlando di diritto all'oblio diventano essenziali i concetti di contestualizzazione e storicizzazione.

In ogni caso come il diritto all'identità personale consiste nel diritto di vietare un travisamento dell'immagine sociale di un soggetto, il diritto alla rettifica comporta una forma di controllo sull'immagine sociale di un soggetto e il diritto, per questi, di fare correggere le pubblicazioni lesive o contrarie a verità. Quindi il bene giuridico complessivamente tutelato è uno solo, quello dell'identità personale, in tutte le sue forme.

In conclusione, non pare possibile considerare il diritto all'oblio come un nuovo diritto a tutela della personalità, ma come un ampliamento della tutela dell'identità personale resosi necessario con l'evolversi della società nel mondo digitale.

Guida all'approfondimento

M.COCUCCIO, Il diritto all'oblio tra tutela della riservatezza e diritto all'informazione, in Diritto di Famiglia e delle Persone (II), fasc. 2, 20;

G.FINOCCHIARO, Il diritto all'oblio nel quadro dei diritti della personalità, Il diritto dell'informazione e dell'informatica, 29, n. 4-5 (2014): pp. 592 ss. 15, p. 740;

R.COSA E L.VIOLA, Diritto all'oblio: il caso Google Spain, Sicurezza e giustizia, n. 2 (2015);

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, Privacy: nuovo Regolamento Ue, prime Linee guida dei Garanti europei, 19 dicembre 2016, cit.

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