La diversa natura della responsabilità sanitaria: della struttura e del medico

16 Maggio 2017

Una recente sentenza del Tribunale di Milano del 23 novembre 2016, in un caso di corresponsabilità sanitaria di una struttura ospedaliera e del personale medico, dopo avere ribadito la solidarietà verso il paziente ha affermato il diritto della struttura sanitaria alla rivalsa nei confronti del medico, che era risultato essere unico responsabile.
Il quadro normativo

Le regole per la responsabilità sanitaria poste dagli artt. 1218 e 2043 c.c. sono integrate per diritto vivente da due importanti decisioni dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589 e Cass. civ., Sez. Un. 11 gennaio 2008, n. 577). Queste fonti comportano per la struttura sanitaria, alla quale si rivolge il paziente per ricevere cure ed assistenza, una responsabilità contrattuale e per il medico, che per conto della struttura fornisce al paziente le cure richieste, una responsabilità professionale da contatto sociale. La principale conseguenza di questa qualificazione omogenea di responsabilità per struttura e medico riguarda il riparto dell'onere probatorio; in particolare incombe sul debitore (struttura e medico) dimostrare l'esatto adempimento delle prestazioni sanitarie dovute. Per contrastare la spinta che questo orientamento, rapidamente consolidatosi in giurisprudenza, ha operato verso la c.d. medicina difensiva, l'art. 3 del d.l. n. 158/2012 (detto decreto Balduzzi), dopo avere escluso la responsabilità penale per colpa lieve del medico che si fosse attenuto alle linee guida, aveva richiamato per la connessa responsabilità civile le regole derivanti dall'art. 2043 c.c. La giurisprudenza prevalente, con l'avallo della S.C. (Cass. civ., 12 marzo 2013, n. 6093 e Cass. civ., 17 aprile 2014, n. 8940), ha interpretato il richiamo all'art. 2043 c.c. nel senso che il legislatore si sarebbe «preoccupato di escludere l'irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso certamente prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come di quella natura. La norma, dunque, non induce il superamento dell'orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni». In senso contrario, alcune sentenze del Tribunale di Milano (Trib. Milano, 17 luglio 2014, Trib. Milano, 23 settembre 2016 ed ora Trib. Milano, 23 novembre 2016) hanno ritenuto che il legislatore con la norma citata abbia «inteso fornire all'interprete una precisa indicazione nel senso che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al medico va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell'onere della prova, sia di termine di prescrizione quinquennale del risarcimento del danno». In questo contrasto di orientamenti giurisprudenziali è intervenuta la l. 8 marzo 2017 n. 24, che all'art. 7 ha, da un lato, affermato con sicurezza la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.; e, dall'altro lato, ha disposto che l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Con l'entrata in vigore di questa legge diviene impossibile negare la natura extracontrattuale della responsabilità del medico, che agisce nel contesto di una struttura sanitaria, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di disciplina

La diversa natura della responsabilità ed il diritto di regresso

In forza di una (ora) inequivoca disposizione di legge le responsabilità della struttura sanitaria e quella del professionista, che opera per suo conto, relative allo stesso evento dannoso hanno natura diversa. Questa diversità produce importanti conseguenze nella decisione dei casi concreti. Tra queste il tribunale di Milano, si è soffermato in particolare sul fondamento e sulla misura della rivalsa all'interno dei rapporti tra i soggetti corresponsabili. Nei confronti del paziente danneggiato è pacifica la solidarietà dei due corresponsabili obbligati per l'intero al risarcimento. Se la responsabilità fosse attribuita ad entrambi i corresponsabili per fatto illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., i rapporti interni sarebbero regolati dall'art. 2055 c.c., che consente a colui che ha risarcito il danno di agire in regresso contro gli altri, nella misura della gravità della loro colpa e della dell'entità delle conseguenze, che ne sono derivate, con la presunzione, in caso di dubbio, della pari gravità delle colpe. Similmente, per il caso di attribuzione ad entrambi di una responsabilità per inadempimento, l'art. 1299 c.c. riconosce al debitore, che abbia pagato l'intero debito, il diritto di regresso verso i condebitori per la parte di ciascuno di essi.

Il diverso titolo di attribuzione della responsabilità alla struttura ed al medico rende inapplicabili entrambe le norme citate. La sentenza 23 novembre 2016 del Tribunale di Milano, ribadita la responsabilità ex art. 1228 della struttura sanitaria per il comportamento negligente del medico, ha affermato che il diritto di regresso verso quest'ultimo deve trovare il suo fondamento nel rapporto contrattuale che legava i due soggetti. Nel caso deciso dal tribunale di Milano, l'accertata negligenza del medico ha comportato, in aggiunta alla sua responsabilità diretta verso il paziente ex art. 2043, anche una responsabilità verso l'ospedale, creditore della sua diligente attività professionale, per inadempimento della sua obbligazione. Questo ha costituito il titolo per il regresso della struttura per l'intero risarcimento riconosciuto al paziente, in quanto, nel caso di specie, a questa non si poteva imputare nessuna negligenza oltre a quella del suo ausiliario.

Ora l'art. 9 della legge n. 24/2017 detta una disciplina specifica del diritto di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti dell'esercente la professione sanitaria.

Preliminarmente occorre esaminare l'aspetto terminologico. Gli artt. 1299 e 2055 parlano di diritto di regresso; il tribunale di Milano ha riconosciuto un diritto di manleva/regresso; la legge n. 24/2017 disciplina un'azione di rivalsa.

Il regresso costituisce il diritto di uno dei condebitori, che abbia adempiuto l'intera obbligazione, di ripetere dai condebitori la parte di ciascuno di essi; presupposto è, quindi, la preesistenza di un unico rapporto che lega tra di loro i condebitori. Analogamente nell'art. 2055 il concorso di più atti illeciti lega in un unico obbligo risarcitorio i diversi responsabili. Il diritto di rivalsa, viceversa, è stato considerato il diritto di un garante che abbia pagato un debito di altro soggetto garantito di ripetere quanto da lui versato al creditore. Premesso che si può dubitare dell'unitarietà della stessa figura del regresso, a me sembra che le differenze tra regresso e rivalsa non possano essere collegate alla funzione di garanzia che sarebbe caratterizzante della sola rivalsa, in quanto anche per il regresso l'interesse sotteso all'obbligazione può essere esclusivo di uno dei condebitori (si pensi alla fideiussione) o proporzionato alle diverse misure dell'obbligazione solidale. Correlativamente la rivalsa non sempre è limitata ad ipotesi di garanzia di un obbligo altrui; basti pensare alla rivalsa prevista dal'art. 814 c.p.c. per l'obbligo solidale delle parti per il compenso spettante agli arbitri. Soprattutto non appaiono differenze sostanziali di disciplina tra regresso e rivalsa; entrambi i diritti sorgono come diritti nuovi (a differenza della surrogazione che integra un fenomeno di successione nei diritti), che sorgono ex novo in forza del pagamento all'unico creditore. In tal senso l'art. 1299 e l'art. 1951 attribuiscono il diritto di regresso al debitore che ha pagato; l'art. 9 della legge n. 24 dispone, per il caso che l'esercente la professione sanitaria non abbia partecipato al giudizio, che l'azione di rivalsa possa essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento. A prescindere dal nomen utilizzato dal Tribunale di Milano (regresso) o da quello previsto nella nuova legge (rivalsa) è certo, dunque, che la struttura sanitaria, che abbia risarcito integralmente il paziente in forza del suo obbligo, sia per fatto proprio sia per fatto del suo ausiliario, avrà poi diritto di recuperare dal medico suo collaboratore l'intero risarcimento pagato, in caso di colpa esclusiva del medico, o parte di esso, in proporzione alla misura della diversa attribuzione di responsabilità a quello e a se stessa.

Questo diritto ora è disciplinato dal citato art. 9 della l. n. 24/2017, che, peraltro, lo limita ai casi di dolo o di colpa grave. Il medico, dunque, andrà esente da responsabilità civile, non solo nel caso di mancata prova di una sua negligenza perché incombe al paziente l'onere della prova relativa, ma anche nel caso che sia positivamente accertata una sua colpa, se questa sia giudicata come lieve. Inoltre e fatto ovviamente salvo il caso di dolo, la rivalsa della struttura verso l'esercente la professione sanitaria sarà quantitativamente limitata al triplo del maggior reddito professionale conseguito nell'anno di inizio della condotta causa dell'evento.

Un'ulteriore limitazione dell'obbligo risarcitorio a carico del medico deriva dall'inciso contenuto nel comma 3 dell'art. 7 della nuova legge, secondo il quale, «il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 5 » e cioè di un condotta dannosa per imperizia, ma rispettosa delle linee giuda. Lascia perplessi la prevista incidenza sul quantum del risarcimento di una valutazione di una situazione soggettiva, che esclude la responsabilità penale e che dovrebbe influire solo sull'an della responsabilità civile. Questa dipende da un comportamento dannoso e da un criterio di imputazione soggettivo (dolo o colpa) od oggettivo; dalla sussistenza di questi elementi deriva l'obbligo di risarcire integralmente i danni che ne sono derivati; sulla misura del risarcimento non incide – almeno questo era un principio consolidato – la maggiore o minore riprovevolezza del comportamento del danneggiante, che è tenuto al risarcimento integrale anche senza colpa nei casi di responsabilità oggettiva ed anche nei casi di colpa lieve, ove questa sia sufficiente per attribuire la responsabilità. Questa nuova norma pare, invece, ammettere una rilevanza dell'intensità della colpa anche in sede di quantificazione del risarcimento.

L'accennata limitazione del diritto di rivalsa ai soli casi di dolo o colpa grave dell'esercente la professione sanitaria pare, però, escludere l'operatività di questa riduzione, nel caso di esercizio della rivalsa nei suoi confronti a favore della struttura che abbia risarcito integralmente il danno al paziente.

Altre questioni derivanti dalla natura extracontrattuale della responsabilità del medico

Altro problema derivante dalla diversità della natura della responsabilità dei due soggetti coinvolti, al quale in questo contesto si può solo accennare, riguarda la diversa disciplina del riparto dell'onere della prova. Le regole poste dall'art. 1218 gravano la struttura dell'onere di provare l'esatto adempimento della prestazione dovuta anche per quanto riguarda l'attività dei suoi ausiliari. Nei confronti del medico, invece, incombe al paziente danneggiato la prova della colpa o del dolo del danneggiante. Nell'ambito dello stesso giudizio promosso dal paziente contro la struttura sanitaria e contro il medico, può accadere che resti incertezza sulla diligenza del medico; in questo caso dovrà essere negata la responsabilità del medico, perché l'onere della prova al riguardo grava sul danneggiato, ma dovrà, ciononostante, essere affermata quella della struttura. Questa, infatti, risponde per il fatto doloso o colposo dei suoi ausiliari, ma, per il costante orientamento giurisprudenziale (a partire da Cass. civ., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533), subisce il rischio della mancata prova dell'assenza di colpa. Questa discrepanza di risultati pare ulteriormente accentuata dalla disciplina della rivalsa, che è concessa alla struttura sanitaria nei confronti del professionista solo in caso di dolo o colpa grave. A prescindere dalle perplessità sollevate in dottrina (VILLA) relative alla talvolta troppo rigorosa attribuzione al debitore dell'onere di provare l'esatto adempimento, la condanna al risarcimento della sola struttura mi pare coerente con la ratio dell'art. 1228 c.c.; questa norma attribuisce al debitore il rischio degli inadempimenti connessi alla collaborazione degli ausiliari in base ai medesimi criteri di imputazione (per colpa od oggettivi) che opererebbero per un adempiemmo diretto del debitore principale. In altri termini, l'interesse, che il paziente creditore ripone nella struttura sanitaria, alla quale si è rivolto o con la quale si instaura un preciso rapporto contrattuale, è, correttamente, tutelato più efficacemente rispetto all'interesse, che lo stesso paziente potrebbe riporre nell'attività di un medico, che non ha scelto e con il quale non si instaura (neppure per contatto sociale) un rapporto negoziale.

Al riguardo si deve accennare ad un problema applicativo connesso: la legge n. 24/2017, entrata in vigore il 1 aprile 2017, non contiene espresse norme di diritto transitorio; sussiste, perciò, incertezza sull'applicabilità alle liti in corso delle innovazioni introdotte come conseguenza della natura della responsabilità dell'esercente la professione sanitaria. Il convincimento, prevalente in giurisprudenza, che si trattasse di responsabilità contrattuale comportava che nelle cause pendenti si applicasse la disciplina relativa, differente, in tema di onere della prova, di prescrizione e di applicabilità dell'art. 1225, da quella conseguente alla nuova qualificazione della responsabilità del medico imposta dalla recente legge. Se è certo che un illecito non può essere fonte di responsabilità, se tale è qualificato da una legge successiva al suo compimento, meno sicura è l'applicabilità della nuova legge alle conseguenze di un fatto avvenuto prima della sua entrata in vigore ed alle modalità del suo accertamento.

Il principio di irretroattività della legge sancito dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge comporta che la nuova legge non tocca gli effetti già prodotti in base a fattispecie già perfezionate prima del suo entrare in vigore e che, se la fattispecie costitutiva non è completa, si applica la legge vigente al momento del suo perfezionamento. Alla luce di questo principio, ritengo che il limite posto dall'art. 1225 c.c., precluderebbe il risarcimento dei danni non prevedibili al momento della prestazione medica difettosa, se anteriore al 1 aprile 2017 (almeno per chi ritenesse che prima della nuova legge la responsabilità del medico fosse di natura contrattuale), in quanto in quel momento la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento era già perfezionata. Viceversa, il diritto al risarcimento, sorto prima dell'entrata in vigore della nuova legge, sarebbe, a mio parere, soggetto al termine di prescrizione più breve conseguente all'applicabilità dell'art. 2947 c.c., poiché il fatto estintivo sopravvenuto (prescrizione) interverrebbe su una fattispecie pendente. Infine, la distribuzione dell'onere della prova costituisce una norma processuale ed in quanto tale è soggetta al principio tempus regit actum. Il giudice di una causa pendente al momento di entrata in vigore della l. n. 24/2017, dovrà, a mio parere, porre a carico del paziente l'onere di provare la colpa del medico, e, in caso di incertezza sull'esito delle prove assunte, dovrà rigettare la relativa domanda nei confronti dell'esercente la professione sanitaria (potrà, però, accoglierla nei confronti della struttura).

In conclusione

La natura extracontrattuale della responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, a differenza di quella a carico della struttura sanitaria, riconosciuta da alcune decisioni del Tribunale di Milano (tra cui quella del 23 novembre 2016) in contrasto con il prevalente orientamento giurisprudenziale, ma ora sancita per legge, pone diversi problemi pratici. Il diritto di rivalsa (o regresso) verso il medico da parte della struttura sanitaria, che abbia risarcito per intero il danno lamentato dal paziente, è disciplinato dall'art. 9 l. n. 24/2017 e dalle eventuali pattuizioni negoziali intervenute tra struttura e medico per regolare il loro rapporto di collaborazione. La natura contrattuale della responsabilità della struttura comporta che gravi su di lei l'onere di provare l'esatto adempimento delle prestazioni fornite al paziente con la conseguente sopportazione del rischio della causa ignota; viceversa, il medico non dovrà essere condannato al risarcimento, se il paziente non avrà provato la sua negligenza. Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento sarà più breve (cinque anni) nei confronti del professionista, che contro la struttura. Il medico, a differenza della struttura sanitaria, però, risponderà anche dei danni non prevedibili al momento in cui ha provocato danni al paziente nell'esercizio della sua attività.

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