Non sussiste danno alla professionalità per mobbing, se il lavoratore trova un nuovo posto di lavoro almeno equivalente a quello lasciato

Redazione Scientifica
13 Agosto 2015

E' da escludersi il danno alla professionalità laddove la lavoratrice, vittima di mobbing, abbia trovato un nuovo lavoro adeguato al suo inquadramento professionale, e le sia stata riconosciuta l'indennità di mancato preavviso a fronte delle dimissioni ritenute avvenute per giusta causa.

La vicenda. Una lavoratrice citava in giudizio la società per cui aveva svolto, sino alle dimissioni, attività di Area Manager, per vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per il mobbing subito dall'attrice, e che aveva poi portato alle sue dimissioni per giusta causa. La Corte di Appello aveva, in parziale riforma delle sentenza di primo grado, riconosciuto l'esistenza di una situazione di conflitto tra la dipendente e la società, determinata dal comportamento vessatorio della superiore dell'attrice, e condannato la società convenuta a risarcire il danno alla salute, nonché al versamento dell'indennità di fine rapporto, ritenendo le dimissioni per giusta causa legittime.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la lavoratrice, onde vedersi riconosciuto anche il diritto al risarcimento del danno morale, all'immagine ed alla professionalità.


Il nuovo lavoro. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16690, depositata il giorno 11 agosto 2015, ha rigettato il ricorso, per quanto rilevante in questa sede, affermando che il danno alla professionalità non può essere riconosciuto laddove il lavoratore abbia poi trovato un nuovo lavoro adeguato alla sua professionalità ed economicamente soddisfacente almeno quanto quello che ha dovuto lasciare.
La Suprema Corte ha infatti ritenuto condivisibili le statuizioni della Corte territoriale in merito al nesso esistente tra la condotta datoriale e i danni lamentati, anche alla luce delle risultanze della CTU, della gravità dei comportamenti posti in essere dal superiore della lavoratrice (frasi denigratorie, minacce, pressioni per farla dimettere), l'assenza di prova di inadempienze della lavoratrice tali da giustificare il trattamento punitivo riservatole, e che avevano portato a riconoscere la sussistenza del nesso con il danno biologico, sia pure temporaneo, dedotto dalla lavoratrice.
Ed è altresì stata affermata la non contraddittorietà del Giudice che, pur avendo riconosciuto il “mobbing”, ha negato la sussistenza del danno morale, all'immagine e alla personalità, per mancanza di allegazione e di prova di tali voci di danno. In particolare, con riguardo al danno alla professionalità, la circostanza che dopo la cessazione del rapporto di lavoro con la società convenuta, la lavoratrice avesse trovato una realtà lavorativa con trattamento economico e livello di inquadramento non deteriori rispetto a quelli goduti nel precedente posto di lavoro che aveva dovuto abbandonare, giustificava la reiezione della domanda risarcitoria. E' stato dunque ritenuto da escludersi il danno alla professionalità laddove la lavoratrice abbia trovato un nuovo lavoro adeguato al suo inquadramento professionale, e le sia stata riconosciuta l'indennità da mancato preavviso a fronte delle dimissioni ritenute rassegnate per giusta causa.

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